The Kingmaker

The Kingmaker

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Presentato fuori concorso a Venezia 76, The Kingmaker, documentario diretto dall’americana Lauren Greenfield, parte come un ritratto della vedova del dittatore Marcos per poi allargare il discorso alla difficile situazione politica delle Filippine. E in questo modo perde parte del fuoco narrativo-discorsivo.

Don’t cry for me Filippine

Vi si indaga l’inquietante retaggio del regime di Marcos, documentando le pressioni esercitate da Imelda, vedova del dittatore, nel tentativo di far ottenere la vicepresidenza al figlio Bongbong. Per raggiungere il suo scopo, Imelda riscrive disinvoltamente la storia di corruzione della sua famiglia sostituendola con la narrazione dell’amore stravagante di una matriarca per il proprio Paese. [sinossi]

Certo, The Kingmaker, diretto dalla documentarista americana Lauren Greenfield e presentato fuori concorso a Venezia 76, ci aiuta a dipanare un po’ quell’enorme matassa che è rappresentata dalla situazione politica filippina, ma lo fa in un modo che non riesce a spegnere tutti i dubbi insorti nel corso della proiezione.
La Greenfield sceglie come protagonista del suo film Imelda Marcos, iconica vedova del dittatore Marcos (che governò le Filippine dal ’65 all’85), facendo pensare inizialmente a una sorta di ritratto di una figura tipicamente shakespeariana, una specie di re Lear al femminile, destinata a istupidire nel momento esatto in cui perde ogni contatto con il potere.

Ma, pian piano, si capisce che l’intento di The Kingmaker è ben altro; e dunque l’immagine di un Imelda generosa e ipocrita, maschera teatrale quasi catatonica, svela un’altra faccia, quella dell’Imelda gran burattinaia, quasi orrorifica nel suo machiavellismo, artefice in qualche modo della venuta al potere di Duterte (eletto nel 2016, pericoloso elemento che si è auto-definito l’Hitler delle Filippine), oltre che sostenitrice sfegatata dell’ancora incerta carriera politica del figlio, con cui intende sostanzialmente “eternizzare” la dinastia Marcos.

Se dunque nella prima parte di The Kingmaker si poteva avere la sensazione di una eccessiva acquiescenza nei confronti del potente (o ex-potente) di turno, fattore che abbiamo recentemente rilevato in diversi documentari simili a quello della Greenfield, da The Unknown Known di Errol Morris a Putin’s Witnesses di Vitalij Manskij, passando per The Brink – Sull’orlo dell’abisso di Alison Klayman, si finisce per capire nella seconda parte che la Greenfield – fiutato forse il rischio – si è gettata proprio verso l’intento opposto, riempiendo il suo film di testimoni e testimonianze potentemente accusatorie sia nei confronti del regime di Marcos che nei confronti della stessa Imelda, fino ad arrivare agli ultimi minuti in cui si spalanca l’abisso, la serissima constatazione che le Filippine stanno ricadendo in un periodo molto buio della loro storia.

Facendo così, però, la Greenfield perde il fuoco di The Kingmaker e lascia scivolare via ogni meccanismo cinematografico, abbandonandosi semplicemente all’invettiva e all’indignazione. Niente di male, sia chiaro, ma di The Kingmaker resteranno nella memoria esclusivamente le immagini di Imelda seduta nel salone della sua villa principesca, con quel volto pesantemente truccato e quelle sue affermazioni tanto egocentriche da risultare ridicole (come la presunzione di aver risolto il problema della Guerra Fredda nel corso di una conversazione di quindici minuti con Mao); resteranno nella memoria dunque quelle parti in cui le immagini sono più ambigue, in cui la figura di Imelda, attrae e ritrae, spaventa e intriga, come quando in ospedale consegna banconote ai bambini malati di cancro, assicurandosi con fermezza che siano i bambini stessi a ricevere i soldi nelle loro mani e non le madri.

Più interessante come contestualizzazione storica, ma totalmente nulla dal punto di vista della regia e del montaggio appare infatti tutta la parte relativa all’Imelda messa sul banco degli imputati, dove ad esempio non si riesce ad avere lo stesso sguardo curioso verso ciò che accade – involontariamente – in scena.
Va a finire così che The Kingmaker resta a metà del guado: occhieggia la chiave di lettura personale verso un potente e il suo smascheramento attraverso lo sguardo e l’immagine, ma poi si deve lasciare andare alla parola, alla verbosità dei racconti per poter descrivere un quadro politico-sociale in cui aiutare lo spettatore a orientarsi. E questo probabilmente accade perché The Kingmaker è pensato principalmente – se non esclusivamente – per un pubblico occidentale, totalmente digiuno di fatti filippini. Ciò ci rimanda dunque all’incipit: è vero, capiamo qualcosa in più sulle Filippine vedendo The Kingmaker, ma non sarà sempre per via di un retaggio esotico-imperialistico, di un innato senso di distanza di cui ovviamente siamo colpevoli anche noi quanto chi ha fatto il film?

Info
La scheda di The Kingmaker sul sito della Biennale di Venezia.

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