Verifica incerta

Verifica incerta, che Alberto Grifi e Gianfranco Baruchello firmarono tra il 1964 e il 1965, è la prima grande riflessione teorica sull’immagine cinematografica, sul suo senso e sul senso della reiterazione. Un massacro del processo industriale che a distanza di oltre cinquant’anni appare ancora modernissimo, divertente, inventivo e impossibile da imitare. Tra i precursori di Blob, giustamente inserito nei festeggiamenti per il trentennale di Fuori Orario – Cose (mai) viste.

Una moviola vi seppellirà

La verifica incerta è quella che consiste nel maneggiare scarti di pellicola, film destinati al macero, utilizzando lo strumento del montaggio per dimostrarne la possibilità di esistere ancora, al di là delle volontà industriali nei cui vincoli quelle immagini erano nate. [sinossi]
Per vedere Verifica incerta sul canale youtube di AssociazioneGrifi, clicca a questo link.

Nel 1965 gli esponenti del Gruppo 63 si ritrovano a Palermo per discutere del “romanzo sperimentale”, da porre in contrapposizione alla norma di scrittori quali Carlo Cassola o Giorgio Bassani: la sera prima del convegno tutti insieme assistono alla proiezione di Verifica incerta (in più di un testo è possibile rintracciare il titolo anche con l’articolo determinativo davanti, La verifica incerta), quello che Umberto Eco nelle ‘Postille’ a Il nome della rosa nel 1983 definirà “un curioso collage cinematografico […], una storia fatta con spezzoni di storie, anzi di situazioni standard, di topoi, del cinema commerciale”. È proprio Eco, prendendo spunto dal film nella discussione del giorno seguente, a puntare l’accento sul fatto che tutti quegli elementi che solo pochi anni prima avrebbero fatto gridare all’eresia l’esercito dei benpensanti, erano oramai accettati di buon grado, solleticando addirittura le voglie del pubblico. Il criterio principale dell’avanguardia non era più dunque l’inaccettabilità del messaggio, e i fischi un tempo indispensabili perché un artista controcorrente comprendesse di aver fatto breccia nel proprio uditorio potevano benissimo trasformarsi in “normali” applausi di condivisione. Era iniziata la Pop Art. Dopotutto Roland Barthes aveva già dichiarato la necessità che l’universo massmediatico attribuisse un valore rassicurante all’interno della coscienza collettiva attraverso gli oggetti di uso quotidiano che potessero essere venerati e fonte di serenità. Anche il cinema sta già sacralizzando la propria immagine, iniziando quel processo tutt’ora in corso che prevede la santificazione dello sfarfallio sullo schermo, suggerendo allo stesso tempo la dittatura del formato, e di fatto dell’industria anche quando industria non è: il montaggio come atto inattaccabile e inscalfibile, intervento ultimo del divino (immagine = sacro) per mano dell’artista.
È interessante annotare come Verifica incerta sia un punto di (ri)partenza cinefila per una consistente parte di spettatori giovani, maggiormente interessati e predisposti a quelle che si potrebbero definire visioni “altre”. Visioni non accademiche, per l’esattezza. Come l’incontro vivifico con le notti di Fuori Orario – Cose (mai) viste (e non è certo casuale che il film di Grifi e Baruchello trovi ospitalità anche durante i festeggiamenti per il trentennale dello storico programma ideato da Enrico Ghezzi su RaiTre), anche questo splendido oggetto d’arte appassiona e coinvolge i giovani adepti del culto cinefilo, esaltandoli proprio nell’atto di distruzione e dissacrazione della loro divinità: l’immagine. Perché non esiste a memoria un’opera così radicale nello sverginare lo sguardo infantile del cinefilo, disseminando di demoni ritornanti – le immagini che si replicano, i brandelli di dialogo reiterati, le inquadrature che possono “funzionare” ruotate a 180°, come se lo specchio non deformasse la realtà ma la ribadisse, la moltiplicasse – i suoi incubi notturni.

Ma cos’è, nei fatti, Verifica incerta? Come spesso capita, è il frutto dell’occasione. Baruchello e Grifi si ritrovarono tra le mani un buon numero di pellicole, a volte già in sindrome acetica, che avevano raggiunto il termine del loro percorso in sala, ed erano finite in magazzino, pronte per il macero. Queste copie, che originariamente erano cinemascope 35mm, vennero rimontate in moviola per poi essere controtipate su un internegativo 16mm. Perché? A rispondere in modo lapidario è lo stesso Grifi, quando in più di un’occasione nei decenni a venire sentenziò “Mentre voi avevate il settimo cavalleggeri, il napalm, e le bombe di Hiroshima e Nagasaki, noi avevamo appena una vecchia moviola in un sottoscala per farvi a pezzi…”. Se quel noi è riferito a lui stesso e al suo sodale Baruchello, il voi è riservato all’ideologia dominante, alla politica statunitense, e alla connessione stretta che passa anche attraverso un giunto in moviola, uno stacco di montaggio, un campo controcampo. Baruchello e Grifi dunque, maneggiando queste pellicole all’approssimarsi della decomposizione, diedero loro nuova vita attraverso la costruzione di un senso solo labile, ma che in maniera subliminale svuotava di senso l’immagine primigenia spesso sovvertendone le volontà originarie. È un lungo détournement, Verifica incerta, un gioco che solo tale non è: il disvelamento progressivo e ineludibile dell’immagine come veicolo dell’ideologia, e non viceversa. La rappresentazione plastica della teoria del montaggio di Ejzenstein, resa attraverso l’utilizzo di materiale non solo già esistente, ma anche e soprattutto ideato e ragionato per veicolare un messaggio completamente opposto. Là dove c’è l’arrivano i nostri Grifi e Baruchello ipotizzano un parapiglia ridicolo; il languore sentimentale del maschio alfa di turno può celare pulsioni omosessuali; la famiglia borghese ben vestita e sorridente a bordo del proprio aeroplano privato osserva gaudente il bombardamento di una nave ammiraglia.
Si gioca su opposizioni anche evidenti e perfino facili – agli occhi d’oggi – durante il montaggio, e Grifi e Baruchello firmano un’opera non solo spiazzante e in grado di costringere anche lo spettatore più refrattario a porsi qualche interrogativo teorico, ma anche un film perfettamente godibile e persino spassoso. Perché, come segnalava anche Eco nel suo intervento, in un’epoca che ha vissuto e si è fatta penetrare dalla Pop Art un oggetto di demistificazione così profondo non può che solleticare l’istinto iconoclasta che si cela nella reiterazione del culto dell’immagine. In questo senso agisce anche il materiale a disposizione dei due artisti, perché le pellicole presentano un cast di prim’ordine, da Gregory Peck a Clark Gable, da Jennifer Jones a Charlton Heston, James Mason e Leslie Caron: tutti massacrati, nel buio di un sottoscala, restituendo all’immagine dominante lo stesso trattamento – in ogni caso molto meno cruento – che l’imperialismo statunitense dedicava alle popolazioni dell’Indocina.

Certo, è lecito leggere Verifica incerta come un sano, e in ogni caso geniale, esercizio dadaista. Dopotutto Tristan Tzara lo scriveva già nel 1918: “Qualunque opera pittorica o plastica è inutile; che almeno sia un mostro capace di spaventare gli spiriti servili, e non la decorazione sdolcinata dei refettori degli animali travestiti da uomini, illustrazioni della squallida favola dell’umanità”. E, quasi a voler sottolineare la loro non appartenenza al tempo presente, la loro pervicace volontà di distruggere la prassi per riappropriarsi del senso intimo dell’immagine, Grifi e Baruchello vanno a riprendere e inserire – in un film che non ha altrimenti immagini create ex novo – Marcel Duchamp nella sua casa parigina. È l’unico momento, di per sé sublime, in cui il film cerca una connessione con il reale e con il Tempo e con la Storia. L’unico dirazzamento da un percorso netto in cui il già creato è ripreso, fatto letteralmente a pezzi e restituito a una verità sempre falsa, sempre in movimento, sempre riproducibile. Nel punto di contatto cercato e ribadito con la presenza in scena di Duchamp Grifi e Baruchello aderiscono a qualcosa, mentre nel resto del film utilizzano la moviola come atto di cesura più che di collante: le immagini di questi infiniti scarti si uniscono tra loro e a distaccarvisi sono proprio i due artisti. Una presa di posizione politica che non ha nulla di giocoso, né di strettamente dadaista. Non nel cuore del discorso, per lo meno.
È proprio in questo passaggio, che potrebbe anche risultare difficile da decriptare a una prima visione del film, che Verifica incerta diventa un’opera più prossima all’esperienza autoriale di Alberto Grifi piuttosto che a quella di Gianfranco Baruchello. Già qui è presente la critica al processo industriale, alla glorificazione dell’artista al di sopra del lavoro collettivo – che non viene mai valorizzato –, all’immagine-massa che è sempre uguale, sempre conforme, sempre reazionaria, anche e soprattutto nel valore/disvalore del progressismo. In Verifica incerta c’è già quell’istinto politico che porterà Grifi ne L’occhio è per così dire l’evoluzione biologica di una lagrima a porre in contrapposizione le immagini del campo di concentramento di Auschwitz con i ripetuti e inconclusi tentativi di Monica Vitti di piangere sul set di Deserto rosso. Ed è già qui in nuce presente la decisione di scardinare il concetto di produzione, di atto dell’industria, che troverà compimento nello svincolo della narrazione che cambia il cuore pulsante di Anna. Leggere Verifica incerta come puro divertissement è un errore, perché non c’è attrazione cinefila a guidare questa rimessa in campo dell’immagine preesistente: quella risulterà in film analoghi, e comunque successivi, come The Movie Orgy di Joe Dante o il ben più recente Final Cut – Ladies and Gentlemen dell’ungherese György Pálfi. Grifi e Baruchello non lavorano quelle immagini perché rappresentano qualcosa a cui sono emotivamente o affettivamente legati, anche perché il materiale a disposizione non lo hanno scelto, se lo sono ritrovato tra le mani mentre andava al macero – in questo senso si potrebbe ardire persino un punto di connessione con il senso ultimo e intimo di Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini, almeno nel suo significato strettamente politico.

Il primo gennaio del 1981, mentre tutta Italia ancora dormiva dopo aver festeggiato il Capodanno, su Rai Radio Uno andava in onda un programma a cura di Armando Adolgiso e Pinotto Fava, dal titolo Se ci fosse una porta busserei, nel corso del quale Alberto Grifi affermava: “Ebbene, con tutti questi chilometri di pellicola acquistati al prezzo del macero, si può andare in proiezione… E tornerà in campo qualcosa di più di uno screening perverso, di tutto ciò che è scartato dal significato. Destinato in partenza a rimanere fuori campo come scarto di lavorazione, ridonda un’enorme complessità semantica e in ogni caso offre all’analisi cinematografica una ricchezza di linguaggio e di contenuti assai più stimolante di qualsiasi film famoso. Ma c’è di più. Il linguaggio con cui mi parlano questi rulli costituiti da scorie di lavorazione, è quello delle pratiche lavorative che i salariati del cinema svolgono fuori campo, nella penombra del set, nella penombra della moviola, nelle “sale positivi” degli stabilimenti di sviluppo e stampa. Da questi rulli, per chi abbia voglia di Ieggerli, esce una pulsione che traspare da questo strano rimontaggio casuale, collettivo, disattento, inconscio. Una pulsione che viene su dai gesti ripetitivi e insulsi, dalla catena di lavorazione della manodopera in grembiule, quella più bassa dell’industria della celluloide, quella per la quale il cinema è solo un incubo da dimenticare tutte le sere…rendendo evidente lo schema fasullo del racconto, gli errori, le lacrime sgocciolate dal truccatore, che rendono visibile il falso contrapposto alla vita vera. È il grottesco del cinema dei produttori e dei profitti, il linguaggio dominante che non parla la lingua di chi il cinema lo fa. Con pochi fotogrammi ci avverte che la manovalanza che il film lo costruisce è espropriata dalla propria vita mentre è asservita al fittizio”.

Info
Verifica incerta su Youtube.

  • verifica-incerta-1965-gianfranco-baruchello-alberto-grifi-04.jpg
  • verifica-incerta-1965-gianfranco-baruchello-alberto-grifi-03.jpg
  • verifica-incerta-1965-gianfranco-baruchello-alberto-grifi-02.jpg
  • verifica-incerta-1965-gianfranco-baruchello-alberto-grifi-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Notizie

    Fuori Orario festeggia i 30 anni con una Notte senza fine

    Fuori Orario, unica forma di resistenza cinefila nel deserto televisivo, festeggia il suo trentennale con una programmazione di oltre 45 film, che parte oggi 20 dicembre e terminerà il 22 gennaio prossimo. L'occasione imperdibile per vedere, sempre nel cuore della notte di RaiTre, inediti d'autore e titoli recenti.
  • Saggi

    Degli innominabili figli. A dieci anni dalla morte di Alberto Grifi

    A dieci anni dalla scomparsa di Alberto Grifi, padre di tutti i diseredati del cinema italiano (e non solo), pubblichiamo un contributo apparso all'interno del volume collettaneo “Alberto Grifi. Oltre le regole del cinema”, curato nel 2007 da Manuela Tempesta per Quaderni del Cinema Sud.
  • I Mille Occhi 2016

    Anna

    di , Al triestino I Mille Occhi è stata presentata anche una copia in 16mm di Anna, il capolavoro di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, punto di svolta del cinema sperimentale europeo.
  • Saggi

    alberto-grifiAlberto Grifi – Il cinema oltranzista

    Un ricordo di Alberto Grifi, tra le voci più rilevanti del cinema d'avanguardia italiano, politico e lontano da ogni compromesso.