Love Streams – Scia d’amore

Love Streams – Scia d’amore

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Ultimo film ‘intimo’ della carriera di John Cassavetes (due anni dopo arriverà lo spurio Il grande imbroglio, disconosciuto dallo stesso regista) Love Streams – Scia d’amore è un dolente commiato alla vita, e al cinema, che affonda le sue basi nella consolidata poetica dell’autore. In programma domani, mercoledì 4 marzo, alle 21 a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, per la retrospettiva organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e La Farfalla sul Mirino. In 35mm e a ingresso gratuito.

In stato di ebrezza

Robert e Sarah sono fratello e sorella. Lui è uno scrittore erotico di successo, ma conduce un’esistenza dissipata e perennemente ubriaca; lei, che soffre di improvvise crisi comportamentali, si è vista togliere l’affidamento della figlia dopo il divorzio. Sarah raggiunge Robert, l’unica persona per cui prova un affetto sincero e profondo, nella sua casa… [sinossi]

Soppiantato dai conclamati capolavori della carriera di John Cassavetes (Una moglie, Mariti, Ombre, La sera della prima) un film come Love Streams – Scia d’amore ha finito con il tempo per essere posto in una posizione subalterna, rischiando seriamente di finire nel dimenticatoio. Questo nonostante il successo critico che gli arrise all’epoca, quando il film venne premiato alla Berlinale con l’Orso d’Oro. Paradossalmente il suo carattere di film “ultimo” all’interno della filmografia del regista potrebbe aver nociuto alla sua lettura postuma. In realtà Love Streams non è, stricto sensu, l’ultima regia di Cassavetes, visto che due anni dopo la sua uscita, nel 1986, raggiungerà le sale Big Trouble, tradotto in Italia con Il grande imbroglio, ma si tratta in quel caso di un’opera pressoché spuria, disconosciuta dallo stesso autore che si era ritrovato a mettere le mani, a produzione in corso, su un film pensato in ogni suo dettaglio da Andrew Bergman. È dunque più che giustificato connotare Love Streams come opera “definitiva”, postrema resistenza della poetica cassavetesiana. L’affezionato cultore del regista vi troverà infatti all’interno molti dei suoi temi prediletti, dalla riflessione sulla caducità della vita a quella sulla solitudine umana, dallo straripante caos delle feste notturne alla consolazione alcolica, unica fonte di perdizione/sollievo per l’uomo, dalla messa in scena della crisi di coppia fino all’utilizzo mai solo esornativo del jazz. Posto di fronte a una sentenza senza appello, quella pronunciata dalla cirrosi epatica che di lì a cinque anni lo condurrà alla morte, Cassavetes scarta dalla pièce teatrale da cui aveva tratto ispirazione (opera di Ted Allan, che accettò di rielaborare il testo in fase di sceneggiatura seguendo i suggerimenti del regista) e trasforma Love Streams in un lungo e accorato atto finale, estremo gesto d’amore tanto verso i suoi stessi film quanto verso Gena Rowlands. Se infatti tra le pieghe della messa in scena si ode il riecheggiare di Assassinio di un allibratore cinese, Una moglie e Volti, ogni singola inquadratura sembra volersi incollare a Rowlands, quasi potesse l’immateriale spazio tra macchina da presa e attrice risolversi in un abbraccio dolce, caldo, delicato.

È dopotutto un racconto di addii, Love Streams, fin dal suo incipit. Nel rinchiudersi di fratello e sorella in una vita-non-vita che lasci fuori dalla porta di casa tutto e tutti c’è già l’idea di strappare i vari cordoni ombelicali, veri o presunti, che hanno puntellato fino a quel momento la loro esistenza. Lo scrittore di racconti erotici Robert non rinuncia all’alcol, suo unico fedele sodale, ma ha liquidato – anche in forma economica – le donne di cui si circondava a mo’ di harem, e sia lui che Sarah non hanno più la patria potestà sui rispettivi figli. Robert l’ha abbandonato a Las Vegas in una stanza d’albergo mentre andava a ubriacarsi in un bordello; Sarah, che soffre di improvvisi e imprevedibili scarti d’umore ai limiti della follia, ha fatto addirittura di peggio, investendo sua figlia e il suo ex marito con l’automobile, senza ucciderli. Per rappresentare al meglio questa addizione di schizofrenie e di sovversioni alle regole del vivere civile (Sarah piomba in casa del fratello invadendola non solo con le sue valigie, ma anche con un vero e proprio zoo composto di capre, pony, oche, pappagalli e via discorrendo) Cassavetes sceglie un duplice registro espressivo, da un lato ragionando una volta di più sul concetto di improvvisazione, e dall’altro incardinando il film in una forma più prossima allo standard classico, così levigato da apparire quasi hollywoodiano in alcuni frangenti. Questa duplicità, da alcuni letta come una concessione al mainstream, permette in realtà a Cassavetes di sfondare in territori fino a quel momento lasciati in secondo piano all’interno della sua filmografia: nel recondito non detto della vicenda, che affonda il rapporto amoroso nel rapporto fratello-sorella (a sottolineare la componente sottilmente erotica e incestuosa è la scelta di essere lui stesso presente in scena, nel ruolo del fratello di quella che nella realtà è sua moglie da trent’anni), si avverte il sentore della psicologia bergmaniana, presente anche nelle ripetute sequenze oniriche, deliquio nel quale si trova a galleggiare la psiche di Sarah. Love Streams diventa a suo modo il punto di contatto, quasi disperato, tra il vitalismo all’impronta dell’indipendenza newyorchese e il nuovo corso cittadino, con una classe intellettuale e artistica sempre più prossima alla scomposizione, all’autodistruzione sistemica e sistematica. Ma, come si scriveva dianzi, Love Streams è soprattutto un lungo ultimo sguardo di Cassavetes a Rowlands: quando alla fine Robert non riesce a vedere dalla finestra la sorella che, ultima tra gli ultimi, lo abbandona al suo destino di morte e solitudine, è perché una pioggia torrenziale si frappone fra i suoi occhi e la parata di taxi che la sta portando via. L’addio è impossibile, non esiste sguardo in grado di mostrare il distacco tra Cassavetes e Rowlands, né mai esisterà.

Info
Il trailer originale di Love Streams – Scia d’amore.

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