Cigare au miel

Cigare au miel

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All’interno del frequentato e affollato genere dei racconti di formazione, il debutto di Kamir Aïnouz (francese, di origine algerina, sorella del più noto Karim) Cigare au miel si caratterizza per una regia iper-sensibile come gli umori di un’adolescente, e per una buona direzione degli attori e in particolare delle attrici protagoniste. A Venezia nel programma delle Giornate degli Autori.

Il tempo delle miele

Parigi, 1993, la diciassettenne Selma vive con la famiglia di origine algerina, benestante e secolare, quando incontra Julien, un ragazzo per cui prova una forte attrazione. Si rende così conto per la prima volta delle rigide regole date per scontate o implicite nelle relazioni della sua famiglia, che si pensa però progressista e illuminata, e di come queste influiscano sulla sua intimità di giovane donna. Mentre il fondamentalismo assume il controllo dell’Algeria e i conflitti con (e tra) i genitori aumentano, la ragazza scopre il desiderio e la sessualità. [sinossi]

All’interno del frequentato e affollato genere dei racconti di formazione, il debutto di Kamir Aïnouz (francese, di origine algerina, sorella del più noto Karim) Cigare au miel si caratterizza per una regia iper-sensibile come gli umori di un’adolescente, e per una buona direzione degli attori e in particolare delle attrici protagoniste. Carattere centrale attorno cui tutto ruota è Selma, interpretata con sensualissimo ed erotico candore da Zoé Adjani (la celebre Isabelle ne è la zia), il cui ruolo è davvero fondamentale visto che del film – piuttosto autobiografico, per Aïnouz – è punto di vista e veicolo percettivo. L’intero cast, dai genitori ai ragazzi che Selma incontra in un modo o nell’altro, riesce però a rendere vivido un intreccio semplice, un tempo delle mele ma con il miele dei dolci algerini (il “sigaro al miele” cui fa riferimento, anche un po’ birichino, il titolo) e qualche problema di maschilismo in più al posto degli spensierati anni Ottanta parigini. L’alchimia tra attrici e regista è capace di sopperire a un lavoro non proprio originale, con qualche pedanteria di troppo (la scena finale a piedi scalzi…) e a raccontare piacevolmente le vicissitudini intime di una diciassettenne francese cresciuta da due genitori algerini, di una giovanissima donna che scopre il sesso e il desiderio ma li deve affrontare avendo a che fare con una famiglia un po’ più rigida di quanto un’adolescente vorrebbe.

I titoli di testa (e coda) sono sparatissimi e promettono di immergere lo spettatore in un pop spinto che, per fortuna, invece lo spettatore non troverà se non in qualche vestito o accessorio. La naturalezza di Selma e della sua credibile interprete trainano invece subito il film attraverso non poche vicende, a ben guardare: la ragazza, vergine, si prende una cotta per il compagno di scuola più grande, Julien (Louis Peres), con cui si dà arie da esperta senza invece avere il coraggio di dirgli che non lo ha mai fatto. Per non arrivare impreparata al rapporto cui Julien non ha proprio nessuna intenzione di sottrarsi, Selma arriva persino a sverginarsi con una zucchina: ecco, il pregio del film è che una scena come questa non risulta ridicola, ma è semplicemente il gesto di una ragazza sul proprio corpo per risolvere un “problema”. Di sicuro il gesto sottende parecchie altre cose che non sono per niente ridicole o divertenti, ma hanno a che fare con le aspettative dei ragazzi, i loro schemi che si ripercuotono automaticamente sulle ragazze, i diktat stringenti che (soprattutto) il padre impone a Selma. In realtà, poi, questa famiglia franco-algerina si è un po’ smarrita strada facendo, stando a Parigi e lontana dalla Cabilia da cui proviene, forse non del tutto consapevole dell’ibridazione culturale o forse pensando di padroneggiarla perfettamente, di certo non rendendosi conto dei non detti tra i genitori e delle strutture maschiliste implicite nelle relazioni. La situazione politica in Algeria, dove il fondamentalismo sta sconvolgendo il Paese, e la naturale ma difficile adolescenza di una figlia scuoteranno le abitudini consolidate del nucleo famigliare, comprese le percezioni identitarie e i conflitti tra i generi sepolti sotto i tappeti di casa. Che la regia sia in grado di restituire vissuti e cambiamenti, momenti intimi e momenti buffi, lo dimostrano bene entrambe le cena a casa degli amici dei genitori, la prima in cui Selma viene invitata a prendere in considerazione un impacciato fanciullo come potenziale marito, la seconda in cui Selma – appesantita e sovrastata da episodi personali negativi e di cui non può parlare con nessuno – scoppia e fa esplodere litigate incrociate. La gestione delle scene, brillanti o drammatiche, è piuttosto decisa e stilisticamente matura considerando che sono tanti gli attraversamenti presenti nel film.

All’interno di un genere affollato come il coming-of-age, Cigare au miel non si contraddistingue per chissà quale idea indimenticabile, ma si fa notare per una certa grazia registica e per la capacità di far percepire i dettagli emotivi. Le luci squillanti mentre Selma fuma e beve e si diverte, il piacere dei primi piani di due ragazzi nel fare l’amore, i movimenti più burrascosi di macchina nei momenti di inquietudine, sottintendono un ascolto di Kamir Aïnouz alla sua (forse in ogni senso) storia che rende il film un apprezzabile esordio. L’altro elemento da non buttare via è come la storia riesca a passare da un “assolo” di Selma a un duetto con la madre, cui presta perfetto corpo e volto Amira Casar: il risveglio di una donna si riverbera in quello della genitrice, che decide al fine di dare per la prima volta l’esempio alla figlia e intraprendere una strada del tutto inattesa. L’adolescenza è mutazione per antonomasia e un’adolescente può portare al cambiamento di altri equilibri instabili attorno a sé, rivitalizzare qualcosa che sembrava in coma, riattivare circuiti sopiti. In tutto ciò, superficialmente o anzi “compreso nel prezzo” della storia di Selma, troviamo le mille domande su come stare al mondo degli algerini in Francia, comunque colonizzati, comunque schiacciati da un Paese che quando va bene li vuole assimilare (il ceto sociale borghese della famiglia prevede come esito l’assimilazione) o altrimenti gettati nella minaccia ancora peggiore della violenza in una patria data in pasto al miglior offerente dopo la guerra d’indipendenza.

Info
Cigare au miel sul sito delle Giornate degli Autori.

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