Non cadrà più la neve

Non cadrà più la neve

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Małgorzata Szumowska approda per la prima volta alla Mostra di Venezia, e in concorso, con Non cadrà più la neve, metafora politica sul dirupo che attende l’economia – e la morale – polacca che ha diretto insieme al fedele sodale Michał Englert, suo storico co-sceneggiatore e direttore della fotografia.

Finis Poloniae

Un massaggiatore dell’Est fa il suo ingresso nella vita dei facoltosi abitanti di una comunità scialba e inaccessibile, i quali, a dispetto della loro ricchezza, trasudano tristezza interiore e desiderio. Le mani del misterioso nuovo arrivato hanno proprietà curative, i suoi occhi penetrano le loro anime. Alle loro orecchie, il suo accento russo suona come una melodia del passato, un ricordo di un’infanzia più sicura e protetta. Zhenia, questo è il suo nome, cambierà le loro vite. [sinossi]

Never Gonna Snow Again. No, non cadrà più la neve, come spiega una bambina al protagonista Zhenia, aitante cittadino russo nato però a Pryp”jat’, la città fantasma dell’oblast’ di Kiev divenuta famosa a livello mondiale perché teatro del disastro nucleare della centrale di Chernobyl, la più devastante catastrofe in tal senso e l’unica, insieme all’incidente di Fukushima del 2011, a essere classificato con il settimo livello, la punta massima della scala INES che calcola il livello di distruttività. Viene dall’epicentro della tragedia sovietica, Zhenia, e dopotutto se deve scegliere una lingua nella quale esprimersi utilizza il russo – nonostante Pryp”jat’ sia dall’inizio degli anni Novanta parte del territorio ucraino, come conseguenza del discioglimento dell’Unione Sovietica. Viene dunque da lontano il protagonista del nuovo film di Małgorzata Szumowska, all’ottavo lungometraggio in venti anni di carriera e per la prima volta selezionata nel programma della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (lei che era finora una habitué della Berlinale, dove ha presentato nell’ultimo decennio In the Name of, Corpi e Un’altra vita – Mug); in quest’occasione a costruire la messa in scena la coadiuva il fedele sodale Michał Englert, che fino a questo momento si era “limitato” a occuparsi della fotografia e della collaborazione in fase di scrittura della sceneggiatura. Viene da lontano geograficamente e ancor prima metaforicamente: è un fantasma dell’Unione Sovietica, di quel Patto di Varsavia – e il film proprio nella capitale polacca è ambientato – che con la sua fine ha portato la cesura netta nei rapporti tra la Polonia e la Russia, con la prima entrata nell’orbita dell’Unione Europea. E proprio a una previsione sul futuro della nazione dei Jagelloni si rifà quel titolo così poetico e sibillino a un tempo: Non cadrà più la neve, non cadrà più la neve. Si predice infatti, basandosi su calcoli assai dettagliati, che la Polonia nel 2025 raggiungerà il livello di Prodotto Interno Lordo della media dell’Unione Europea. Smetterà dunque di “nevicare” in Polonia, ma a quale prezzo?

Zhenia porta con sé nelle case del sobborgo benestante in cui va a prestare a domicilio i suoi servigi di massaggiatore e pranoterapeuta il retaggio del passato, ma anche il contatto con la modernità (parla “tutte” le lingue, come dichiara all’ispettore del lavoro che va a trovare nel suo ufficio nella prima surreale sequenza del film). A questi annoiati alto-borghesi privi di un’identità regala il brivido dell’energia, del sentirsi vivi attraverso il corpo di un altro, figlio per di più a sua volta di una nevicata, il bianco candore dei detriti radioattivi che vennero sparsi su Pryp”jat’ e le zone circostanti. La Polonia, affossata nel proprio distacco dal mondo reale – le villette tutte uguali, linde e pinte, rimandano a un immaginario favolistico – trova contatto con un soprannaturale che gli si installa in casa, assorbendo le loro ansie, le loro paure, le loro difficoltà relazionali.
Cosa si prova a mescolare le geometrie sarcastiche di Edward mani di forbice di Tim Burton con le riflessioni pasoliniane sull’entrismo nella borghesia per distruggerla dall’interno che si diffonde dalle immagini di Teorema? In questo strano sposalizio trova l’interstizio per collocarsi Non cadrà più la neve, tra sequenze ispirate e reiterazioni eccessive del medesimo schema (i personaggi che Zhenia va a trovare a casa sarebbe stato possibile sforbiciarli senza che il senso e il messaggio del film ne venissero in qualche modo deturpati). Małgorzata Szumowska conferma in ogni caso il proprio talento visivo, lavorando a un ordito fotograficamente solo all’apparenza monocromatico ma in realtà ricco di sfumature, e gestendo con grande accortezza il non-visibile, quel fantasma che è a conti fatti lo spettro che si aggira per l’Europa, senza che nessuno se ne accorga neanche più. Per questo Zhenia può svanire nel gioco di prestigio, là dove invece il corpo dovrebbe riemergere per svelare e nascondere al contempo il trucco. Ma è finito il tempo per giocare per la Polonia, e non c’è più spazio in questi tempi mediocri per una stilla di memoria. L’apocalisse, si cantava una ventina di anni fa, è quello che c’è già.

Info
Non cadrà più la neve sul sito della Biennale.

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