Polish Film Festival 2018 – Presentazione
È in corso fino al 22 settembre il Polish Film Festival 2018, giunto alla 43esima edizione, con sede nella città di Gdynia, vicino a Danzica. Una manifestazione tesa a promuovere il cinema nazionale, con ospiti come Jerzy Skolimowski, e in cui Quinlan.it è quest’anno ospite per la prima volta.
Un festival come il Polish Film Festival, che si tiene dal 17 al 22 settembre a Gdynia, nel nord della Polonia vicino a Danzica, è una manifestazione certamente da invidiare, soprattutto in Italia, dove il sostegno al cinema nazionale, al di là di promesse mai (troppo) mantenute, è sempre altamente deficitario. E infatti questo festival, giunto alla 43esima edizione, ha un’importanza fondamentale per il cinema polacco, di cui rappresenta la vetrina – vengono selezionati i film di finzione prodotti nel corso della stagione appena conclusa, vale a dire quest’anno da agosto 2017 ad agosto 2018 -, ma in cui si fa anche un indispensabile punto della situazione, nel senso che in questa settimana a Gdynia cineasti, produttori, selezionatori e distributori si ritrovano per discutere della stagione appena passata e si confrontano sulle prospettive per ripartire con la nuova stagione cinematografica.
Un appuntamento imperdibile, dunque, per chiunque faccia parte di questa comunità e per chiunque voglia approfondire lo stato di salute di questa cinematografia, che negli ultimi anni ha riacquistato vitalità, come dimostra – solo per fare un esempio – il recente successo di un regista come Pawel Pawlikowski, vincitore nel 2015 dell’Oscar come miglior film straniero con Ida, oltre che del premio per la miglior regia alla scorsa edizione del Festival di Cannes con il più recente Cold War (titolo che, ovviamente è in selezione anche qui a Gdynia).
Nato nel 1974 per iniziativa del Cineclub di Danzica Zak e dell’associazione dei cineasti polacchi, il Polish Film Festival ha sempre avuto un’impronta anti-autoritaria, opponendosi in tutta la prima fase della sua storia alla censura comunista e subendo anche un’interruzione di due anni, tra l’82 e l’83, quando la Repubblica Popolare Polacca impose nel paese la legge marziale per provare a spegnere le proteste legate a Solidarność. Riattivato nel 1984, il festival venne poi spostato di sede da parte delle autorità nel 1987, quando venne abbandonata Danzica, città più ‘calda’ dal punto di vista contestatario e fino a quel punto storica location della manifestazione, per trasferirsi alla vicinissima ma più tranquilla Gdynia – che resta tuttora la sede del festival -, città portuale fondata nei primi anni Venti. Da allora si è persa un po’ quella vena ribelle, ma nonostante questo – pur ottenendo col tempo sempre maggiore appoggio istituzionale – si è mantenuta quella orgogliosa posizione di indipendenza da parte del cinema nazionale rispetto alle varie forme di potere che si sono avvicendate negli anni. Una indipendenza che si fonda soprattutto a partire dalla forte capacità associativa dei vari registi, attraverso le generazioni, testimoniata – e sorretta – dalla illustre tradizione di scuole di cinema locali, quella di Łódź (la più celebre, dove hanno studiato tutti i più grandi, da Polanski a Wajda, fino a Kieślowski), quella di Katowice (più dedicata al cinema documentario) e proprio quella di Gdynia. Le tre, statali, sono affiancate da altre private e ugualmente rinomate, come quella fondata proprio da Wajda nel 2002, che ha anche un dipartimento di produzione.
Il Polish Film Festival è dunque passato nel corso dei decenni attraverso varie fasi di crisi, ma ha ritrovato forza – e con lui tutto il movimento del cinema polacco – a partire dal 2005, quando viene fondato il Polish Film Institute, strumento fondamentale a partire da quel momento per la produzione del cinema nazionale. Ed è anche così che si spiega – a parte l’aura di alcuni grandi vecchi, tra cui ancora Andrzej Wajda, scomparso appena due anni fa dopo aver realizzato un ultimo grande film (Afterimage) -, il successo della produzione polacca di questi anni. Oltre al già citato Pawlikowski, basti ricordare alcuni lavori passati negli ultimi anni al Trieste Film Festival, lavori di matrice più indipendente, come Communion, All These Sleepless Nights o l’intera opera di Marcin Koszałka, presente qui al festival come giurato.
Diretto dal 2017 da Leszek Kopeć, il Polish Film Festival è diviso attualmente in tre sezioni principali competitive, il concorso principale, il concorso Vision Apart (dedicato per l’appunto a titoli più ‘appartati’) e quello dei cortometraggi. Accanto a queste, vi sono sezioni non competitive, come Pure Classics (una selezione di film storici nazionali restaurati, tra cui quest’anno si contano Eroica di Andrzej Munk e Rysopis – Segni particolari nessuno di Jerzy Skolimowski, cui verrà consegnato il Leone di platino alla carriera), Pre-war Cinema Treasures (per l’appunto Tesori del cinema pre-bellico, in cui è previsto un omaggio a Pola Negri), Polonica (una selezione di film co-prodotti con altri paesi, tra cui Frost di Sharunas Bartas), e un piccolo gruppo di titoli passati alla scorsa edizione del Festival di Cracovia (tra cui, Over the Limit di Marta Prus). Questo, senza dimenticare le retrospettive, che quest’anno hanno un sapore particolare, dato che una è dedicata ai cinquant’anni dal ’68 (che in Polonia fu non a maggio, ma a marzo), osservato però sotto l’ottica della questione ebraica, visto che la persecuzione antisemita condotta dal regime comunista si intrecciò all’epoca con le proteste studentesche (un titolo, in tal senso, è Index di Janusz Kijowski; e la questione ebraica in Polonia è sempre d’attualità, anche tenendo conto della controversa approvazione – risalente allo scorso marzo – di una legge che vieta che venga attribuito ai polacchi qualsiasi tipo di complicità – persino di singoli cittadini – con l’Olocausto perpetrato dai nazisti); mentre l’altra retrospettiva è dedicata al festeggiamento dei 100 anni d’indipendenza del paese, a partire da quel 1918 in cui la Polonia – dopo 123 anni in cui era scomparsa dalle carte geografiche per mano di austriaci, prussiani e russi – è tornata ad avere uno Stato. In questa sezione è presente, tra gli altri, anche Cenere e diamanti di Andrzej Wajda.
In ultimo, nel concorso principale, sono da tenere d’occhio, oltre al già citato Cold War, a Fuga di Agnieszka Smoczynska (selezionato anch’esso a Cannes, alla scorsa edizione della Semaine de la Critique) e a Face di Małgorzata Szumowska (Orso d’Argento alla Berlinale 2018), Clergy di Wojtek Smarzowski – una feroce satira della Chiesa cattolica, che farà scalpore anche da noi, se mai qualcuno dovesse avere il coraggio di portare questo film in Italia -, Werewolf di Adrian Panek – su otto bambini sopravvissuti a un campo di concentramento – e A Hole in the Head di Piotr Subbotko – una raffinata riflessione sull’attore come idiota e sull’idiota come attore.