Matrix

Sinfonia polisemica di temi e stili, Matrix è ormai un brand, un neologismo da contestualizzazione istantanea, come da facile parodia immediata. A poco più di un ventennio dall’uscita nelle sale, è probabilmente giunto il tempo di ricontestualizzare un testo audiovisivo fondamentale del(la fine del) secolo scorso. Andy & Larry Wachowski scrivono nel 1999 un nuovo inizio, e sarà solo Lana all’auspicato ritorno al cinema, senza più Lilly, ad aggiornare il discorso con il quarto, prossimo, capitolo…

Wake Up!

Nel XXII secolo il Grande Fratello ha trasformato il mondo in un universo virtuale, cioè simulato, simile a quello degli ultimi anni del XX secolo, grazie al gigantesco computer Matrix, collegato con i cervelli degli esseri umani. Thomas Anderson detto Neo, asso dell’informatica, si aggrega a un gruppo di resistenti il cui capo Morpheus crede di avere riconosciuto in lui l’Eletto, destinato a svegliare l’umanità dal sonno cibernetico e a lottare contro i poteri del Male che l’hanno ridotta in schiavitù. Prodotto da Joel Silver per la Warner a 70 milioni di dollari, girato a Sydney (Australia), scritto e diretto dai trentenni fratelli Wachowski che con altri quattro figurano anche come produttori esecutivi, è sicuramente il più costoso, probabilmente il più cupo, forse il più fantasioso cyber-action movie degli anni ’90. [sinossi]

Carlo Freccero, massmediologo spesso brillante (anche se a volte vittima del “personaggio” mediatico autocucitosi addosso), ha spesso sostenuto che l’Italia, dal 1992 circa, sia bloccata in una sorta di “eterno presente”, che lo sia l’intera postmodernità, con le novità tecnologiche tutte che concorrono a questa illusione, a questa strenua difesa di un modello di società non aggiornato, cristallizzato nei suoi pilastri portanti, quelli economici, e in continua, quasi frenetica ridefinizione in ogni altro ambito. Si può essere d’accordo o meno con questa riflessione, ma bisogna riconoscere che è l’espressione di un fenomeno non solo nazionale, bensì mondiale, o ancora più precisamente Occidentale. La fine del XX secolo rappresenta “l’apice della civiltà umana” anche per l’agente Smith, entità informatica addetta alla sicurezza di Matrix, ed è per questo che le macchine hanno ambientato lì, in eterno, la prigione della mente in cui rinchiudere l’intera umanità. Per Andy e Larry Wachowski, autori della sceneggiatura di Matrix, era una questione chiara già “in diretta”, mentre il Novecento stava calando il sipario: è per questa e tante altre intuizioni, sia volontarie che non, che il film non potrà che rappresentare un punto di partenza per ogni analisi sulla fantascienza di QUESTO secolo negli anni a venire, come anche un punto fermo e sintesi di quella dei due decenni precedenti. Al contrario di quello che dice l’Eletto Neo nel monologo fuori campo che chiude il film, Matrix è quindi venuto a dirci sia come va a finire, che come comincerà. E, come anticipato poche righe fa, non dice tutto in maniera consapevole, ma spesso catturando quello spirito del tempo che oggi, a distanza di un ventennio abbondante, possiamo riconoscere come tale, un tocco magico che ha una connotazione culturale e insieme anagrafica, il cinema (o l’arte in generale) dei venti/trentenni calati appieno nella propria epoca (il tocco del Tarantino di Pulp Fiction, per fare un facile esempio sempre dei Novanta, o di Burton da Beetlejuice a Edward mani di forbice, d’immediata e quasi feroce sintonia con i propri coetanei: tutti gli altri capiranno, ma POI).

Matrix, dunque, come punto di arrivo. Arriva in chiusura del decennio iniziato con Terminator 2 e Jurassic Park, il decennio della definitiva transizione al digitale dell’effettistica cinematografica, e ne fa un uso rivoluzionario, inventando l’ormai celebre “bullet-time”, perfezionando, grazie al team di John Gaeta, l’interazione attori/sfondo, liberando il live action dalla forza di gravità per avvicinarlo all’animazione, o al videogioco. Nello stesso tempo, e grazie alla consulenza del celebre coreografo Yuen Wo Ping, i Wachowski appendono ai cavi gli interpreti nelle scene di combattimento, regalando una fisicità alle evoluzioni altrimenti impensabile. Il meglio del passato, il meglio del presente: magari l’addizione di questi due fattori non ottiene forzatamente il futuro come risultato, ma una rappresentazione credibile e, ebbene sì, realistica di quel futuro indubbiamente sì. O forse, ancor di più, un’illusione di futuro: il “bullet-time” altro non è che l’evoluzione di una vetusta tecnica fotografica nota come “time-slice” ripensata per muoversi, in sequenza e grazie all’interpolazione, in maniera fluida attorno a un soggetto. Ripetiamolo ancora una volta: il film, in esergo, ci dice per bocca del suo protagonista di essere un punto di partenza, non di arrivo. Questa dichiarazione ci indica cosa vorrebbe essere, non (per forza) quello che è.

Matrix, allora, come punto di partenza. Qui dobbiamo affrontare brevemente l’aspetto tematico/contenutistico, quello oggi più sbertucciato, quello probabilmente invecchiato peggio, facile alla derisione specie nell’ormai consueta pratica dell’estrapolazione sistematica di singoli momenti e sequenze dal contesto, pratica comune della generazione YouTube. Oggi non è più molto importante perdersi all’interno del percorso cristologico di Neo, delle spruzzate new age, della spiritualità demandata, insieme alla spettacolarità, principalmente all’Oriente grazie alla pratica, più che alla filosofia, delle arti marziali, nella “forza dell’amore” che tutto risolve, ma bisogna vedere cosa è rimasto di tutto questo tonitruante impianto. Gli umani “liberati” da Matrix imparano ogni cosa in poco tempo, all’interno della Matrice sono degli hardware su cui caricare software e optional, si riprendono il corpo ma raffinano l’utilizzo del cervello, sono, a tutti gli effetti, un ibrido uomo/macchina. Parallelamente, una delle sentinelle virtuali, uno dei miliardi d’impersonali agenti Smith, prende coscienza, acquista una sua individualità, si ribella agli ordini. Potrebbe anche lui essere un Eletto, come Neo. O forse Lucifero… Nella strenua difesa dell’umanità, intesa qui come “ciò che può definirsi umano”, nel ’99 era chiaro, quantomeno ai Wachowski, che bisognasse riappropriarsi della corporeità, reimmergersi nel flusso naturale, rigettare la civiltà tecnocratica dei consumi come eterno modello di riferimento (il fatto che dicano questo in un film imperniato persino narrativamente su un pugno di grandi marchi e sulla pubblicità degli stessi è indubbiamente una contraddizione, però comprensibile). Sul piano personale Andy & Larry, spezzando le catene come Morpheus in uno dei momenti più epici/ridicoli dell’opera, sono ora Lana & Lilly, hanno recuperato un’identità ritenuta perduta, in primis sessuale. Per loro due il film, quell’epoca, era davvero un punto di partenza e non di arrivo.

Prima di chiudere, consci di aver solo scalfito la quantità di temi e spunti, sviscerabili nell’analisi dei controversi sequel e dello spin/off animato a episodi Animatrix che potrebbero seguire, è utile portare all’attenzione un ultimo aspetto, forse uno dei più controversi, l’elefante nella stanza: il portato storico/politico e l’impatto sull’immaginario collettivo che, insieme ad altre opere coeve come Fight Club di David Fincher, Matrix ha avuto. A uno sguardo distratto, il film potrebbe sembrare un ideale manifesto per i complottismi contemporanei, specie se associato a V per vendetta, produzione Wachowski’s di poco successiva, i cui simboli sono stati saccheggiati da ogni formazione politica o movimento finto/barricadero nato negli ultimi anni. All’apparenza c’è tutto, la realtà fallace, l’illusione scambiata per verità, l’intelligenza sovraordinante che tutto controlla. Ma, a leggere in questo modo gli istinti rivoluzionari del film, si commetterebbe un errore, perché bisogna immergere quegli istinti nel contesto della fine degli anni Novanta. Quella che stava montando nel 1999, già da qualche anno, non era una sterile protesta da tastiera, ma un movimento cultural/generazionale in fermento, convinto di avere gli strumenti e la forza per provare a cambiare proprio quell’eterno presente citando il quale abbiamo iniziato questa recensione. Lo scontro finale non fu su un grattacielo, come in Matrix, ma in una città, Genova, due anni dopo: non c’era nessun Eletto, e le migliaia di agenti Smith continuarono a picchiare e picchiare fino ai titoli di coda.

Matrix è un apriscatole, un contenitore attraverso il quale si possono affrontare e metaforizzare tantissimi aspetti, per la forza figurativa e per la sua (suadente) vaghezza tematica, pronta a contenere ogni cosa e il suo contrario. La preferita di chi scrive? Cosa sono le sequenze alfanumeriche invisibili, se non a quelli che sanno decrittarle, dietro le immagini se non la perfetta immagine del lavoro critico su un’opera, teso a grattare la patina delle immagini per raggiungerne lo schema alla base, la struttura, l’intimo segreto?

Info
Matrix, il trailer.

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