Lost Boys

Presentato al 18° Copenhagen International Documentary Film Festival, Lost boys dei finlandesi Joonas Neuvonen e Sadri Cetinkaya, è un viaggio di perdizione e autodistruzione nei paradisi/inferni della droga e del sesso della Thailandia e della Cambogia. Tra Trainspotting e Blair Witch Project, un film dove il crinale tra realtà e finzione appare molto labile.

The Cambodian Connection

Jani e Antti sono in prigione da anni. Quando vengono rilasciati, fanno un viaggio con il loro amico Joonas in Thailandia per celebrare la loro libertà in una frenesia autodistruttiva di sesso e droghe pesanti. Joonas filma tutto. Joonas torna con il volo di ritorno, mentre gli altri due amici decidono di rimanere in Cambogia. Due mesi dopo di loro si perderanno le tracce. Joonas scoprirà la morte di Jani e, non convinto della versione del suicidio delle autorità locali, partirà per la Cambogia a fare un’indagine cercando, per interrogarla, la fidanzata dell’amico defunto. Sempre con la videocamera accesa. [sinossi]

I linguaggi di cinema di finzione e documentario diventano sempre più interscambiabili, i loro confini più labili. Ne è una riprova Lost Boys, opera dei finlandesi Joonas Neuvonen e Sadri Cetinkaya, presentato al 18° CPH:DOX. Lo stile può sembrare quello del mockumentary, alla Blair Witch Project o anche di Cannibal Holocaust, laddove è sempre dichiarato il punto di vista, di chi riprende, in questo caso di Joonas Neuvonen stesso in quello che funziona come un suo videodiario. Tuttavia gli eventi trattati sono reali, compresa la morte del suo amico Jani. E comunque è lecito dubitare della sincerità assoluta del film, del suo grado massimo di realtà: sembra difficile che alcune scene possano essere state davvero riprese, come quelle all’interno della cella in cui è detenuto. Più probabile una ricostruzione a posteriori di un flusso di coscienza. La voce off, in prima persona di Neuvonen, in inglese, risulta dai credit non essere la sua, il che alimenta il senso di contraffazione.

Lost Boys può essere considerato il sequel, come si deve dire con il gergo cinematografico, di Reindeerspotting – pako Joulumaasta, del 2010, firmato alla regia dal solo Joonas Neuvonen, mentre Sadri Cetinkaya risulta tra gli sceneggiatori, film incentrato su Jani e sulla sua pesante condizione di tossicodipendenza. Film che invece dichiara in ogni inquadratura di essere cinema del reale, con una mdp sempre addosso al ragazzo, anche esibita in un riflesso, ma che paradossalmente richiama il titolo di un famoso film di fiction, Trainspotting, sempre incentrato sul tema della tossicodipendenza. In questo film parlano solo i personaggi interni mentre alcune didascalie, sulla diffusione e gli effetti della droga più diffusa in Finlandia, la “french heroin”, conferiscono un significato didattico al tutto. Jani, con l’amico Antti, che pure tornerà nel film successivo, sono seguiti nel loro percorso di tossicodipendenza estrema, nel loro progressivo degrado fisico e mentale, nella loro cittadina di Rovaniemi, in Lapponia, e in un viaggio che fanno in Europa.

In Lost Boys ritroviamo Jani e Antti, usciti dal carcere, decisamente più in forma rispetto a come li avevamo lasciati. Per festeggiare la libertà compiono un viaggio in Thailandia e Cambogia, peregrinando nella tentacolare Bangkok, nelle città notturne dalle luci al neon dei go go bar dei quartieri a luci rosse, capitali del turismo sessuale e della droga, così come meta di turismo dei tossicodipendenti è la zona dei laghi. L’approccio è anche quello del viaggiatore che osserva un realtà sociale di miseria, vedi il pusher che spaccia con il bambino in braccio, o il pugilato fatto da ragazzini, raccontando i drammi del passato come la rilocazione della popolazione per fare posto a un invaso idrico; ma anche visitando i templi e il folklore locale. I registi giocano anche con dei contrappunti musicali, usando la Marsigliese che accompagna prima una scena di sesso, in chiave sarcastica, e poi immagini di repertorio di Pol Pot, dei lavori forzati e delle esecuzioni dei khmer rossi, a sottolineare quel male originario del paese rappresentato dal colonialismo.

Rispetto al film precedente, in Lost Boys la narrazione è organizzata, come si diceva, nel flusso narrativo di Joonas Neuvonen, fatto di passato e presente, dei flashback dei filmati girati insieme quando i tre amici erano tutti in Thailandia, con le ragazze locali. Immagini che tornano, come ricordi, anche dopo aver appreso della morte di Jani. Il rapporto tra le due linee temporali passa sempre per l’occhio di Joonas e in un momento la sua telecamera riprende in uno schermo un suo vecchio filmato con Jani, sottolineando quel raccordo di memoria, il passaggio al flashback. Lost Boys segue uno schema narrativo classico, dove i vari pezzi si compongono, e che diventa una detective story, nella ricerca della sua ragazza cambogiana, che potrebbe conoscere le vere cause della sua morte. Ma soprattutto il film funziona a sua volta come un trip lisergico del regista, fatto di tanti spazi bianchi, mentali, di pareti, cunicoli e corridoi (il film comincia con uno di questi seguito da una nebbiolina da televisione catodica dal sapore lynchano), di grandangoli estremi, i viaggi nei non luoghi degli aeroporti, nei paradisi artificiali al neon, in paesaggi alieni o desolati. Il documentario è sul regista stesso, sul suo stato mentale, sulle sue memorie.

Info
Lost Boys, il trailer.

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