Una storia d’amore e di desiderio

Una storia d’amore e di desiderio

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Già presentato come film di chiusura alla Semaine de la Critique di Cannes 2021, Una storia d’amore e di desiderio è l’opera seconda di Leyla Bouzid, che costruisce una love story che sappia riflettere anche sulle radici culturali e l’identità personale: se le minoranze si sentono minacciate da forze esterne che le circondano, ciò non accade forse a livello personale quando si è innamorati?

Una ragazza per Ahmed

Ahmed e Farah sono matricole alla Sorbona: lui è un ragazzo di origine algerina nato in Francia, lei è arrivata da poco a Parigi da Tunisi per frequentare l’università. Si notano subito, si piacciono subito, ma lo sviluppo del loro rapporto non sarà così semplice… [sinossi]

Nella tradizione della poesia araba, il desiderio può assumere le forme di una sublimazione in cui l’oggetto amoroso irraggiungibile, evocato dalla parola, diviene puro e inattingibile come nel nostro amor cortese; la stessa tradizione araba ha invece espresso esplicitamente l’amore carnale con un’intensità fortissima, grazie alla quale la parola si fa fisica, corporea, erotica. Queste due anime sono al centro delle lezioni di Letteratura Comparata che Ahmed e Farah frequentano, entrambi al primo anno della Sorbona, e corrispondono anche al carattere dei protagonisti di Una storia d’amore e di desiderio: farle incontrare sarà, in qualche modo, la necessità cui tende loro vicenda. Se Farah (Zbeida Belhajamor) viene immediatamente notata da Ahmed (Sami Outalbali) divenendo subito oggetto del suo sguardo, sarà però soprattutto il ragazzo a dover riconoscere e poi riconciliare parti di sé ancora non esplorate o elaborate. Ahmed dunque è il soggetto che guarda la donna per guardare se stesso – diventando oggetto della propria ossessione grazie all’oggetto desiderato – e compiere quel passo in avanti di consapevolezza e completezza cui solo l’amore può spingere. Attratto e innamorato fin dal primo istante della riccioluta e bella Farah, il ragazzo è assai più di lei intrappolato in sovrastrutture afferenti alla propria cultura che però, a ben vedere, sono sovrastrutture reattive e spurie, proprie delle comunità sradicate e non più a contatto con la vitalità autoctona: comprendere è invece conoscere appieno la propria complessa realtà, depurandola delle costruzioni rigide che le comunità creano come argine difensivo per non essere assimilate, quindi potenzialmente annientate, dalla narrazione dominante e colonizzante. Pur non essendo religioso, Ahmed è dunque piuttosto tradizionalista e vede nella donna, come nella città occidentale che ha umiliato la sua famiglia, un pericolo da allontanare e attorno cui costruire una piccola roccaforte.

Questa interessante riflessione che tiene assieme radici culturali e identità personale è al centro della love story raccontata in Una storia d’amore e di desiderio, opera seconda di Leyla Bouzid presentata alla Semaine de la Critique di Cannes 2021 dov’era il film di chiusura. Come nel suo lungometraggio d’esordio, Appena apro gli occhi (2015), anche qui la protagonista femminile si chiama Farah ed è tunisina; arrivata a Parigi per studiare alla Sorbona dove vuole laurearsi in Lettere (come ha fatto realmente Bouzid, nata e cresciuta a Tunisi), Farah è una ragazza secolarizzata che non ha ritrosie rispetto al proprio desiderio e che vive con naturalezza la propria fisicità. Cresciuta in Nord Africa in una famiglia sicuramente colta, Farah non ha problemi con la propria identità né femminile né culturale e non si sente minacciata da alcuna alterità. Ben diversa la posizione di Ahmed, di origine algerina ma del tutto francese (tra i due solo Farah conosce l’arabo), abitante di una banlieue dove ha il suo giro di amici, giovani di seconda generazione, e che della propria tradizione culturale ha introiettato soprattutto precetti esteriori, un po’ come la maggior parte dei ragazzi che frequenta. Figlio di un giornalista che è dovuto scappare dall’Algeria (e che in Francia è “un disoccupato, una nullità”), Ahmed è un giovane sensibile e intelligente ma che, appunto, ha costruito le proprie radici nella rimozione di una parte della sua stessa storia, che a dire il vero conosce poco e superficialmente. Quando si innamora perdutamente di Farah, Ahmed sarà costretto a fare i conti con questa rimozione che si rivela una chiusura limitante e non realmente appartenente a quella cultura che, apparentemente, Ahmed pensa di preservare. Una storia d’amore e di desiderio ha al suo interno, insomma, una danza dialettica e sensuale di ricomposizione, una riflessione sulla diminutio in cui rischiano di rinchiudersi le minoranze, ma pure le persone, quando sono circondate da forze che percepiscono come minacciose. Ma non è forse questo che accade anche quando si è innamorati? Non c’è forse la paura di essere assimilati da un elemento estraneo? Nel film la questione culturale si unisce a quella sui generi: le ragazze – tunisine, di seconda generazione o francesi che siano – sono spontaneamente integrate e solide in loro stesse, avulse dai ricorrenti timori del maschile, ben più compiute e sicure. Lo è, come adulta, la professoressa di Letterature Comparate, lo è la sorella piccola di Ahmed che ha un ragazzo con cui addirittura dorme (cosa che Ahmed e i suoi amici non vedono affatto di buon occhio), lo sono altre compagne di corso del protagonista e ovviamente lo è Farah, oggetto perturbante per Ahemd, in realtà semplicemente una ragazza innamorata che ravvisa nella sessualità la naturale conseguenza del proprio desiderio. La donna, semplificando, incarna la tradizione sensuale della parola, l’uomo quella in cui il femminile diviene solo oggetto silente del dire maschile: la lotta tra le due correnti della tradizione poetica è anche una lotta tra la fonte rimossa del femminile e quella auto-preservante (e psicologicamente narcisistica) del maschile. L’amore è la congiunzione tra due mondi, tra due modi di raccontare l’interiorità, tra due generi che abdicano alla sopraffazione per convivere.

I vari spunti intellettuali del film galleggiano però in un lavoro non entusiasmante, schiacciati da una messa in scena convenzionale che non conquista lo sguardo né lo affascina. Ne emerge principalmente la semplice storia d’amore tra i due protagonisti vista dalla prospettiva del ragazzo che, come in tanti coming of age, si avvicina all’oggetto amato, si allontana, si preserva, si lascia andare. È senza dubbio interessante che sia Ahmed a essere messo sotto la lente d’ingrandimento – della regista e, nella narrazione, della propria – per analizzare a fondo le lacune emotive e conoscitive che non gli permettono di aderire ai propri sentimenti e desideri. Ma il risultato è un lavoro piacevole quanto privo di sussulti, un po’ cerebrale negli intenti sottotraccia e un po’ paratattico nel suo reale dipanarsi lieve, senza modulazioni significative né tensione emotiva essendo in fondo una graziosa ma non memorabile love story universitaria. Personaggi ben costruiti si muovono in un paesaggio tenero, senza reali durezze o drammi, in quello che è un college movie a tutti gli effetti, con passeggiate sulla Senna, stanze dei dormitori che danno sui tetti di Parigi, feste tra universitari, corsi di studio dal valore esistenziale, sguardi languidi e baci che da incerti si fanno decisi. Seguendo la crescita emotiva di Ahmed, la carne latita a lungo ma l’amore la farà emergere rendendo più compiuto un racconto maschile altrimenti mancante.

Info
Il trailer di Una storia d’amore e di desiderio.

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