Cile – Il mio paese immaginario

Cile – Il mio paese immaginario

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Tra le séances spéciales a Cannes 75, Cile – Il mio paese immaginario è il resoconto di Patricio Guzmán delle proteste di piazza che hanno infuocato il Cile a partire dall’ottobre del 2019, riportando finalmente una speranza di cambiamento. E nel raccontare ciò, Guzmán si fa quasi da parte come autore, lasciando la parola ai giovani e combattivi militanti.

Aria di rivoluzione

Ottobre 2019: una rivoluzione inaspettata, un tumulto sociale. Un milione e mezzo di persone hanno manifestato per le strade di Santiago chiedendo più democrazia, una vita migliore, un sistema educativo e sanitario migliore e una nuova Costituzione. Il Cile aveva recuperato la sua memoria. [sinossi]

È un film semplice Cile – Il mio paese immaginario del cineasta cileno Patricio Guzmán, presentato tra le séances spéciales a Cannes 75. Molto più semplice – verrebbe quasi da dire basico – a confronto con ciò cui ci ha abituato. Non ci sono le riflessioni filosofico-storico-politiche che da Allende risalgono fino alla Cordigliera delle Ande, come ad esempio accadeva nel precedente La cordigliera dei sogni. Ma, viene anche da dire che non poteva essere altrimenti, visto che Guzmán osserva il Cile del presente e non quello del passato e osserva, con quasi-muta ammirazione, quella sorta di “incendio” che è esploso nel paese a partire dall’ottobre del 2019, in cui le proteste di piazza hanno portato a una serie di risultati concreti, quale l’assemblea costituente per superare la vecchia costituzione dei tempi di Pinochet e quale l’elezione nel 2021 di un candidato di sinistra, Gabriel Boric. Tutte faccende di cui, ovviamente, in Italia si è parlato pochissimo.

Cile – Il mio paese immaginario inizia in realtà nella maniera consueta di un film di Guzmán, con riprese di un suo vecchio lavoro in cui documentava le manifestazioni ai tempi di Allende e in cui lui, giovane, era in prima fila in piazza. E inizia con il ricordo di una frase che gli disse Chris Marker: «Quando vuoi documentare un incendio devi partire dalla prima fiamma». Stavolta però Guzmán, che non vive più in Cile, non è riuscito a documentare quella prima fiamma delle proteste e dunque arriva a Santiago a “incendio” già in corso e si predispone a osservare con umiltà, ascoltando e auscultando le voci dei nuovi manifestanti, dei nuovi militanti. Ed è proprio in questi primissimi minuti che assistiamo al simbolico passaggio del testimone: il regista riprende in dettaglio alcune pietre, rievocando la sua amata Cordigliera, per poi allargare il campo e mostrarci come quei sassi siano in realtà dei sanpietrini che i manifestanti stanno lanciando contro la polizia. Ed eccoci così immersi nel presente, nelle lotte della nuova generazione, ed ecco che a questo punto Guzmán comincia a farsi da parte come autore, come soggettività e come voce fuori campo, lasciando spazio a una serie di militanti, di fotografi, di giornalisti, che gli raccontano e ci raccontano cosa sta succedendo e cosa ha portato all’imponente protesta. Lui stesso, d’altronde, è in qualche modo uno straniero in patria e dunque, nella lettura del presente, non può che affidarsi alle voci altrui, al racconto prima delle reiterate e mostruose violenze dell’esercito – che, sempre, inevitabilmente, rievocano i tempi bui di Pinochet – ma poi anche al racconto di come stavolta il movimento sia riuscito, clamorosamente, a vincere.

È questa la vera novità di Cile – Il mio paese immaginario, la speranza – incredibile a dirsi e a farsi – di un paese migliore, di un paese immaginario e da sempre immaginato. E il drone sulle strade di Santiago ricolme fino all’orlo – un milione e duecentomila manifestanti! – in occasione del discorso di insediamento di Gabriel Boric sembra poter illuminare d’improvviso la notte fonda di questi tempi bui.
L’ottimismo – questa parola che, in Europa in particolare, ci siamo trovati costretti a debellare dal dizionario dei termini afferenti al mondo della sinistra – l’ottimismo sembra possibile, almeno in Cile. E allora ritorna la tentazione di allontanarsi dalla vecchia Europa che di nuovo si è gettata a capofitto nell’autodistruzione guerrafondaia e sperare ancora una volta nel nuovo mondo, in quel Sudamerica in cui ogni tanto si accende un barlume di speranza.

Info
Mi país imaginario sul sito del Festival di Cannes.

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