Fumer fait tousser

Fumer fait tousser

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Fumer fait tousser è l’ennesima follia partorita dalla mente di Quentin Dupieux, che stavolta si diverte a giocare con l’immaginario superomistico (in particolar modo con i tokusatsu) e con lo splatter. Si avverte come sempre la ludica superficialità del regista parigino, stavolta però aiutato da una struttura narrativa episodica. Fuori concorso come séance de minuit al Festival di Cannes.

Nicotina, ammoniaca, metanolo, mercurio, benzene

Un gruppo di supereroi chiamato “forze del tabacco” si sta sfaldando. Per ricostruire lo spirito di squadra, il loro leader suggerisce un ritiro di una settimana, prima di tornare a salvare il mondo. [sinossi]

Al di là di ciò che di può pensare delle sortite cinematografiche di Quentin Dupieux, è impossibile non constatare come il suo standard produttivo, a venti anni dall’esordio Nonfilm, sia in tutto e per tutto estraneo alla prassi europea. Sono passati solo tre mesi dalla presentazione alla Berlinale di Incroyable mais vrai ed ecco che sulla Croisette, tra le “séances spéciales”, viene selezionato Fumer fait tousser, il nuovo lungometraggio diretto dal cineasta francese, il quinto in appena quattro anni. Come sovente accade con i film di Dupieux il titolo è connesso a ciò che prende corpo sullo schermo, ma allo stesso tempo svia lo spettatore, in un lavorio di depistaggio continuo e incessante, gioco messo in pratica per ridurre al minimo le possibilità di una canonizzazione dei suoi film. “Fumare fa tossire” è una affermazione pleonastica, fin troppo evidente e ovvia, ma in realtà fa riferimento a un gruppo di cinque supereroi giustizieri che difendono il mondo da qualsivoglia attacco esterno. Il film infatti inizia con la banda dei cinque che sta combattendo sulla spiaggia contro una enorme tartaruga: l’immaginario è quello dei tokusatsu (e quindi anche dei Power Rangers, che a quel mondo si ispiravano), con il mostro “gommoso” e i cinque inguainati in una divisa con tutina e casco d’ordinanza. Dupieux aggiunge però a questo riferimento una notevole dose di splatter, con l’esplosione del tartarugone che provoca un vero e proprio tsunami di sangue che inonda gli eroi ma anche una famigliola in gita che osserva a distanza. Quando il pargolo della famiglia chiede di poter scattare un selfie con i suoi beniamini Benzène, il più anziano ed esperto del gruppo, lo mette in guardia dai rischi del tabacco. Benzène, come uno degli elementi che “formano” le sigarette: il superpotere della “Tobacco Force” sta infatti nell’annichilire l’avversario di turno con miasmi prodotti da benzene (per l’appunto), ammoniaca, metanolo, nicotina, e mercurio. Questo è Dupieux, prendere o lasciare.


Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i film del regista parigino sa perfettamente cosa attendersi da Fumer fait tousser: demenzialità a tutto spiano, totale mancanza di logica, struttura narrativa che definire labile è poco, un ideale riferimento agli anni Settanta nella costruzione delle immagini, un’ancora più blanda attenzione alle relazioni affettive, pur declinate in modo parossistico. Elementi che da sempre contraddistinguono l’approccio ludico e spensierato di Dupieux, rimarcando la sua volontà di giocare con il cinema, le sue strutture narrative, i suoi costrutti visionari. In Fumer fait tousser non c’è nulla di più di un canovaccio su cui innestare idee folli, ridicolizzando cinecomic e serie animate (per fare un esempio il capo dei cinque, colui che li indirizza verso i nemici da sgominare, è una sorta di roditore che sembra strizzare l’occhio a Splinter, l’anziano vate delle Tartarughe Ninja), senza che ci sia nulla da capire, o alcunché da approfondire. La spensieratezza senza nessun tipo di riflessione, neanche basica (a meno di non accontentarsi di un “ciò che davvero conta è l’amore” vaticinato dal suddetto boss/muride) di Dupieux è il suo pregio principale, ma anche il suo limite, perché si finisce con grande rapidità per non prenderlo sul serio, e ci si sfianca dietro narrazioni tenute insieme da troppo poco collante.

In questo senso in Fumer fait tousser viene in soccorso il fatto che la storia sia di suo segmentata in un gran numero di racconti laterali, che nulla hanno a che vedere con la trama principale: trovandosi in una settimana di relax in uno strano edificio nel mezzo di un bosco per ricaricare le batterie e rinforzare lo spirito di gruppo, i cinque della “Tobacco Force2 vivono come degli scout, raccontandosi storie dell’orrore davanti al falò. Sono questi racconti a essere di volta in volta visualizzati, trasformando il film in una sequela di schizzi, idee, ipotesi, cortometraggi brevi o brevissimi. Dupieux beneficia di tale natura episodica del film, e riesce a cogliere nel bersaglio in più di un’occasione (lo slasher con il “casco per pensare”, lo splatter con il nipote che viene erroneamente triturato dalla zia in una pressa ma continua a vivere come semplice “bocca”). Certo, l’impressione è sempre quella di una risata fine a sé stessa, di cui dimenticarsi in fretta e furia. Ma almeno non si avverte il senso di profonda stanchezza che si generava in molti dei film precedenti del regista – fa eccezione il solo Le daim. Forse conviene accontentarsi.

Info
Fumer fait tousser sul sito del Festival di Cannes.

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