Showing Up
di Kelly Reichardt
In attesa del meritatissimo Pardo d’onore a Locarno, Kelly Reichardt si presenta in concorso a Cannes con Showing Up, un film ancora una volta di piccole dimensioni, minimalista, privo di cliché, distante dalle traiettorie fin troppo battute del cinema indipendente a stelle e strisce. Ha sempre seguito sentieri molto personali la Reichardt, autrice di un cinema puro e realmente indie, nuovamente impreziosito dal sodalizio con Michelle Williams, brava nel calarsi in un ruolo decisamente poco appariscente.
Un piccione sceso da un ramo riflette sull’esistenza
Una scultrice sull’orlo di una crisi di nervi che si prepara a inaugurare una nuova mostra deve riuscire a trovare un equilibrio tra la sua attività creativa, i drammi quotidiani della sua disastrata famiglia e i rapporti non sempre semplici con gli amici e colleghi… [sinossi]
È un oggetto strano, non immediato, Showing Up. Un po’ come le statuette che sta preparando tra mille difficoltà personali Lizzie (Michelle Williams), scultrice immersa in una famiglia e comunità di artisti, inseguita da mille nevrosi. Ci vuole pazienza per ammirare il lavoro di Lizzie, coi colori che sono imprevedibili, quasi fuori controllo. Showing Up è così, si svela piano piano, tocca a noi saperne apprezzare tonalità e cromatismi.
Alla quarta proficua collaborazione con la Reichardt dopo Wendy and Lucy, Certain Women e Meek’s Cutoff, Michelle Williams si cala in un ruolo decisamente anti-hollywoodiano, richiudendo la propria luce naturale in una sorta di bozzolo. La sua Lizzie, così timida e impacciata, è un crogiolo di sintomi di burnout. Il suo corpo, la gestualità, i silenzi e il modo di porsi fanno facilmente trasparire un disagio esistenziale, così distante (o forse no) dal suo talento, dalle delicate creazioni di porcellana. Il ruolo della Williams, lontanissimo da quello patinato, ultracommeciale e persino ammiccante di Venom – La furia di Carnage (il suo film precedente), non appartiene evidentemente alle traiettorie e dinamiche del cinema mainstream e nemmeno a quelle del pseudo-indie: la sua performance è di totale sottrazione, quasi annullamento. È, ancora una volta, perfettamente in linea col cinema della Reichardt, con la sua attenzione ai personaggi, alla costruzione psicologica, alla realtà e alle minime sfumature. Un sodalizio davvero inconsueto, prezioso, quasi irripetibile.
Le ceramiche di
Lizzie richiedono una cura estrema, un’attenzione particolare, un
tocco delicato. Basta poco per rovinarle e il risultato finale, dopo
la cottura, non è assicurato. Non solo per le eventuali bruciature.
Pensiero e risultato finale possono divergere. In più di un senso, Showing Up si focalizza sulla cura, sulla
creazione\costruzione di opere artistiche e rapporti personali. La
cura di una statuetta, di un piccione ferito, di un fratello davvero
complicato, dei figli. E le cure che non si ricevono, che non vengono
date dagli altri. Respingere ed essere respinti.
Nel mettere in
scena un ambiente affine, Showing Up ci parla anche del cinema
della stessa Reichardt, della sua poetica e del suo sguardo sulla
quotidianità, e del lavoro della Williams: la cura per le storie,
per i personaggi, per le performance. Tutti equilibri delicati,
delicatissimi, come le statuette di porcellana. E noi avremo cura di
questo film? Di questi film?
Il microcosmo
descritto da Showing Up è chiuso, sempre sull’orlo
dell’autoreferenzialità, spesso fine a se stesso. È una Portland
sospesa nel tempo: è oggi, potrebbero essere gli anni Settanta. Per
alcuni personaggi lo sono effettivamente ancora, in un loop di
aneddoti, rivendicazioni, anche sbruffonerie o miserie –
illuminante il ruolo di Judd Hirsch, veterano dall’incomparabile
presenza scenica. Con poche pennellate, la Reichardt ci restituisce
la dimensione infinitesimale di questi ambienti, in un pacatissimo ma
efficace crescendo narrativo\emotivo: il giorno dell’inaugurazione,
così importante e così impalpabile, è semplicemente il giorno
prima di un’altra inaugurazione e il giorno dopo di un’altra e
un’altra e un’altra. Opere, stili, materiali, creatività di tutti i
tipi, nevrosi e momenti di liberazione. L’arte per l’arte può vivere
anche in un piccolo atelier con pochi stuzzichini e troppe parole al
vento.
Showing Up è un film delicato, attento,
sorprendentemente ironico. Non smonta l’arte e gli artisti, ma
immerge lo spettatore in una quotidianità priva di cliché, fatta di
creazioni che potrebbero o non potrebbero avere un reale valore e di
piccoli e grandi problemi assolutamente normali – solo nel finale
vediamo ricomporsi il puzzle della famiglia di Lizzie, cogliamo il
quadro generale, capiamo dove stanno i colori e dove le bruciature.
Il formaggio rischia di finire troppo rapidamente, un gatto vorrebbe
papparsi un piccione, la doccia è sempre senza dannata acqua calda e
l’arte, a volte, mangia l’anima dei padri e dei figli.
Info
La scheda di Showing Up sul sito di Cannes.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Showing Up
- Paese/Anno: USA | 2022
- Regia: Kelly Reichardt
- Sceneggiatura: Jonathan Raymond, Kelly Reichardt
- Fotografia: Christopher Blauvelt
- Montaggio: Kelly Reichardt
- Interpreti: Amanda Plummer, André Benjamin, Heather Lawless, Hong Chau, James Le Gros, John Magaro, Judd Hirsch, Larry Fessenden, Maryann Plunkett, Michelle Williams
- Produzione: A24, Film Science
- Durata: 108'
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