Adagio

A otto anni di distanza da Suburra, e dopo i due film statunitensi scritti per lui da Taylor Sheridan, Stefano Sollima torna a Roma con Adagio, noir melanconico che sembra guardare in direzione di Johnnie To e racconta di criminalità moderna e antica, e di una città eternamente destinata a bruciare. In concorso a Venezia 2023.

Daytona, Cammello, e Pol Niuman

Manuel ha sedici anni e cerca di godersi la vita come può, mentre si prende cura dell’anziano padre. Vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune foto a un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua portata. Infatti i ricattatori che lo inseguono si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone e il ragazzo dovrà chiedere protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre. [sinossi]

In Adagio Roma sta bruciando, ripresa dall’alto in un movimento aereo che ricorda l’incipit di un altro noir italiano visto quest’anno, L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano: lì si trattava di Milano, la città ultra-moderna e ultra-violenta (e forse moderna proprio perché violenta, o magari il contrario), qui invece si tratta dell’eternità di una capitale in disfacimento, attanagliata dal caldo asfissiante, stremata anche da un blackout che la immerge di continuo nel buio. “Prendi l’ascensore, così se salta di nuovo la corrente sai le risate che ci facciamo”, ammonisce ghignante un’anziana signora nei confronti di Manuel, il sedicenne che ha solo due cose di proprietà, il motorino e le cuffie per spararsi nelle orecchie la trap. Manuel è in fuga da una squadra di carabinieri corrotti, che l’ha incastrato per un reato minore ma “sconveniente” (il ragazzo stava praticando sesso orale per soldi) e ora lo vuole utilizzare per ottenere le prove nei confronti di un importante politico del parlamento, a proprio agio in festini a dir poco equivoci. Ma Manuel scappa, con tanto di cellulare su cui ha immortalato le fotografie della festa, e deve essere “liquidato”. I carabinieri pensavo di aver gioco facile nel disfarsi del ragazzino, ma non hanno fatto i conti con un piccolo particolare: il patrigno di Manuel, con cui l’adolescente vive, è Daytona, nome d’arte di un personaggio non secondario all’interno della banda della Magliana. Principia da qui il ritorno a casa di Stefano Sollima, dopo le regie portate a termine oltreoceano seguendo i dettami delle sceneggiature di Taylor Sheridan (Soldado, il seguito di Sicario, e Senza rimorso, tratto da un romanzo di Tom Clancy e passato direttamente su Amazon Prime senza l’uscita in sala a causa della pandemia). Torna a Roma, Sollima, quella città putrescente che aveva abbandonato sommersa dalla pioggia e che ora è circondata dalle fiamme, come se non potesse più esistere alcuna via d’uscita.

Il regista di ACAB e Suburra conosce la sua città e allo stesso tempo conosce i codici del noir e del poliziesco, sa come muoversi tra i bassifondi dove, per dirla alla romana, il più pulito c’ha ‘a rogna. Questo elemento è determinante, perché in realtà Adagio facendo fede al proprio titolo, parte con movenze compassate, visto che per raccontare l’incontro di Manuel con i due ex compagni di scorribande del padre si prende il proprio tempo, sfidando qualche ridondanza eccessiva. Anche perché il film, pur davvero basico sotto il profilo della narrazione, si muove seguendo tre tracce diverse contemporaneamente: c’è Manuel, che sa di averla combinata grossa ma forse ancora non ha capito fino in fondo quanto possano essere letali i suoi nemici; ci sono Daytona e i suoi due ex amici, Cammello – che lo odia perché per colpa sua gli è morto un figlio e lui si è fatto anni e anni di prigione, e ora sta morendo per un cancro – e Pol Niuman, che un tempo magari sarà stato bellissimo ma ora vive in uno squallido appartamentino ricavato abusivamente sul tetto di un palazzo del Casilino ed è anche completamente cieco. Daytona d’altro canto non ci sta più molto con la testa, al punto che deve ripassare ossessivamente i risultati delle moltiplicazioni per tenere desta la memoria. A questi due rami narrativi, che pure si incrociano con forza, si aggiunge quello relativo ai membri del Nucleo Operativo e Radiomobile dei carabinieri corrotti, capitanato da un Adriano Giannini che come sottotrama aggiuntiva ha anche due pargoli a casa da controllare. Questo accumulo di materiali forse può su Adagio, che riesce a svincolarsi quando Sollima lascia da parte le pretese metaforiche e più prettamente autoriali (il volo d’uccelli riflesso nel parabrezza, per esempio) e decide di muoversi nel genere duro e puro, assecondandone ritmi e necessità.

In quei casi, come ad esempio il coup de théâtre che vuole Daytona passare in una frazione di secondo da preda a predatore, ci si riesce a immergere senza forzature nel sottobosco romano più stagnante, e si può anche percepire con maggiore forza il vero punto dirimente di Adagio, vale a dire lo scontro tra tre generazioni: i vecchi criminali del tempo che fu, che ancora pensano che ci si possa “accordare” col nemico, coloro che hanno preso il loro posto, e non vogliono lasciare traccia alcuna dopo il proprio passaggio, e i giovanissimi cui è destinato forse l’unico barlume di speranza come pare sottolineare il finale. Nel mezzo c’è tempo per un po’ di mala-mélo alla maniera di Johnnie To, e il rimando è evidenziato anche in quella fotografia finale sui titoli di coda in cui Daytona, Cammello, e Pol Niuman sono ancora giovani e belli, anche se forse non propriamente eroi. Innervato dalle convincenti interpretazioni di un cast di stelle dell’industria nostrana (Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Francesco Di Leva), Adagio è un bel noir metropolitano, secco ed emozionante, in grado di cogliere la verità intima e putrescente della Città Eterna.

Info
Adagio sul sito della Biennale.

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