The Killer

The Killer

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Algido e preciso come il suo protagonista – un sicario incarnato da Michael Fassbender – The Killer è un buon prodotto Netflix che poco aggiunge alla prestigiosa filmografia di David Fincher. In concorso a Venezia 80.

Bello senz’anima

Dopo un disastroso passo falso, un assassino sfida i propri committenti, e se stesso, in una caccia all’uomo su scala globale... [sinossi]

È bello, ma senz’anima The Killer, nuovo lungometraggio diretto da David Fincher, presentato in concorso a Venezia 2023. Dopo la parentesi di argomento hollywoodiano rappresentata da Mank, il regista statunitense torna ora a declinare le forme e gli stilemi del genere thriller proseguendo nella sua collaborazione con Netflix (iniziata proprio con il film precedente), ma senza rispolverare l’estro del passato, attenendosi piuttosto a un sobrio rigore, alla ricerca forse di quel classicismo che già aveva abbracciato in parte in L’amore bugiardo, che è assai distante sia dal ritmo sferzante di Seven che dall’approccio storico-politico e giornalistico esplorato con Zodiac

Algido e chirurgico come il suo protagonista, The Killer è la storia di un sicario, incarnato da Michael Fassbender che, nonostante la professionale meticolosità, per la prima volta nella sua carriera sbaglia la mira e non porta a termine un incarico. La procedura prevista per errori di tal fatta è drastica e implacabile: eliminare gli affetti del killer inadempiente. Una coppia di assassini viene dunque inviata nel rifugio nella Repubblica Domenicana del nostro protagonista per uccidere la di lui compagna. La ragazza resta miracolosamente in vita, benché malconcia, e a questo punto il talento balistico del killer (che non ha nome) è messo al servizio di una programmatica vendetta personale.

Non va molto oltre il programmatico però la vicenda narrata da The Killer, una storia archetipica  e già innumerevoli volte narrata dal genere thriller, genere che Fincher in questo caso non intende rinnovare né rileggere in chiave personale o contemporanea. Anzi, di fatto il suo film potrebbe svolgersi in qualsiasi temporalità, se non fosse che il protagonista fa acquisti su Amazon e cita poi nella sua voice over il videogame on line Wordle e il programma televisivo Affari al buio. Sebbene poi questo programma sia dedicato alle aste degli oggetti rinvenuti nei box-deposito di affittuari insolventi, Fincher non sembra voler qui proporre una efficace critica alla contemporanea società del consumo e dell’accumulo, restando assai distante dall’allegoria che ne faceva in Fight Club.

Forse troppo preso a dare brillantezza al testo della voice over del protagonista, lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker (suo anche lo script di Seven) rinuncia a costruire per lui sia un passato che degli affetti (non sappiamo né vediamo nulla della sua relazione con la fidanzata) e ciò va a detrimento della tensione drammatica. Di fatto, poi, il nostro killer non viene nemmeno braccato, né si preoccupa per il suo primo fallimento (forse un sintomo di senilità?), tutt’altro, va avanti come se nulla fosse accaduto. E così fa il film, che con un andamento paratattico mette in scena le varie tappe del percorso vendicativo del killer.

In queste tappe è possibile godere dell’abilità da metteur en scène di Fincher che, coadiuvato dalla bella fotografia di Erik Messerschmidt (Mank, L’amore bugiardo), gioca con i cambi di fuoco e di esposizione, razionalizza spazi e tempi degli omicidi, per poi dirigere, con l’abilità che lo contraddistingue, uno splendido e ben calibrato corpo a corpo tra il nostro eroe e uno dei malfattori. 

Che Fincher sia un bravo “regista” è cosa già ampiamente nota e documentata, quello di cui si sente la mancanza in The Killer è piuttosto la sua presenza in qualità di “autore” dell’opera. E non va in fondo tanto diversamente sul versante musicale del film, dove sembra che anche Trent Reznor e Atticus Ross abbiano messo insieme la colonna sonora a partire da brani già fatti, e magari rimasti fuori da film precedenti. Sorge gradualmente il dubbio, nel corso della visione del film, che se la sua destinazione fosse stata principalmente la sala cinematografica, la resa finale del “lavoro” sarebbe stata quella di un grande film e non di “un buon prodotto”. Forse dunque, il vero problema non è la piattaforma Netflix in sé, ma l’autore che per essa lavora e come sceglie di farlo. 

Info
La scheda di The Killer sul sito della Biennale.

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