Eileen

La vita repressa di una giovane impiegata presso un carcere minorile viene improvvisamente scossa dall’arrivo di una donna incredibilmente seducente: con Eileen il regista di Lady Macbeth dirige un dramma che si tinge di noir. Alla Festa di Roma.

La seduzione

Boston, inverno del 1964. La giovane segretaria Eileen rimane ammaliata da Rebecca, la nuova affascinante psicologa dell’istituto penitenziario minorile in cui lavora. La loro nascente amicizia prende una brutta piega il giorno in cui Rebecca le rivela un oscuro segreto. [sinossi]

In Ultima notte a Soho (Last Night in Soho, 2021, Edgar Wright) una timida e ingenua Thomasin McKenzie rimaneva affascinata dalla bionda e spregiudicata Anya Taylor-Joy, attraverso una sorta di connessione psichica che trasportava la prima nella Swinging London degli anni Sessanta. Qui invece siamo già negli anni Sessanta, ma a Boston, e la stessa McKenzie rimane ammaliata da un’altra (finta) bionda, bella e sicura di sé, ovvero Anne Hathaway. I personaggi interpretati da Thomasin McKenzie sono davvero molto simili, anche se i due film seguono direzioni e stili decisamente opposti.
Eileen, opera seconda di William Oldroyd, presentato alla 18esima edizione del Rome Film Fest nella sezione Grand Public, racconta la storia di una giovane donna, oppressa, così come lo era la Catherine del film d’esordio del regista londinese, Lady Macbeth (2016), entrambe alla ricerca di un qualcosa o qualcuno che le faccia evadere dalle loro prigioni. Eileen si presenta all’inizio come un dramma realistico per deviare poi lentamente verso il noir con sviluppi piuttosto spiazzanti, per lo meno per chi non abbia letto il romanzo di Ottessa Moshfegh del 2015 (pubblicato da noi due anni dopo), la quale ha anche preso parte alla sceneggiatura del film. Ma è innegabile che il fulcro sia ancora lei, la giovane attrice neozelandese, con quel viso delicato, gli occhi azzurri scrutatori e un’espressione introversa e vagamente spaurita. Eileen sembra scritta su misura per lei: una ragazza dimessa, quasi spenta, che nessuno nota, scansata e derisa persino dalle sue colleghe. E con il padre, con cui convive in una casa squallidissima, le cose vanno anche peggio: ex poliziotto e alcolizzato, da quando ha perso la moglie Jim Dunlop non fa che bere dalla mattina alla sera, rischia di sparare ai passanti e a ogni occasione riversa addosso alla figlia tutto il suo disprezzo. Le dice, ad esempio, con una freddezza terribile, che lei sarà sempre una comparsa, mai una protagonista come lo era invece sua madre. Fuori le strade sono ricoperte di neve, un triste Natale si avvicina e l’inverno del New England sembra non finire mai, come se ci fosse da sempre.

Eppure Eileen, nonostante le apparenze, è come una brace ardente, invisibile sotto una coltre di fuliggine: cova dentro una voglia che (la) brucia. Si manifesta sotto forma di un desiderio sessuale, innanzitutto: seduta in disparte, in un vano del penitenziario minorile in cui lavora, osserva una guardia, un ragazzo, dal quale si immagina desiderata, e inizia a toccarsi. Ma si tratta anche, soprattutto, di un desiderio che forse ancora non sa di avere, che è quello di rivoluzionare completamente la sua vita, nella maniera più radicale possibile. Perché la prigione, per Eileen, non è solo il luogo in cui lavora, ma anche la sua stessa vita. Non è una santa o una martire Eileen: in certi momenti immagina di afferrare la pistola del padre e farsi saltare le cervella, oppure di farle saltare a lui. È esasperata, una bomba a orologeria, ma non sa ancora di esserlo. Perciò, quando entra in scena l’affascinante straniera, Eileen ne è immediatamente attratta: Rebecca (Anne Hathaway) viene da Los Angeles, un posto caldo, ed è lei stessa “calda”, hot, sexy, bellissima, una di quelle donne che non appena entrano in una stanza tutti si voltano a guardare, ed è anche brillante e sicura di sé. In pratica è esattamente l’opposto di Eileen. Non solo, ma Rebecca le parla, le sorride, le fa delle confidenze. La vede. Da subito dunque Rebecca diventa per Eileen quello stimolo esterno che le mancava per rinascere, un catalizzatore di tutti i suoi desideri repressi e delle sue speranze sepolte vive. Ecco perché l’improvviso legame che si manifesta tra loro assume subito per Eileen una connotazione sessuale. Per essere alla sua altezza, inizia a prendersi più cura del suo aspetto, si depila le gambe, sceglie con cura i vestiti. Si lascia sedurre perché ne ha bisogno, è la sua unica via d’uscita. Le due escono insieme, bevono, ballano, parlano. E pian piano ci si ritrova avviluppati in un intrigo hitchcockiano, con tutte le sue ambiguità, i suoi doppi e i suoi sensi riposti (ma senza cinefilia citazionista, né i dispositivi di moltiplicazione della visione di De Palma): perché Rebecca le fa tutte quelle confidenze? Perché la invita a casa sua? Cosa vuole esattamente da lei? Non solo, ma la stessa Eileen, cosa vuole veramente?

Eileen racconta dunque allo stesso tempo un amour fou, ma anche un’emancipazione: la protagonista, mentre si trasforma a contatto con Rebecca – guardando Rebecca, desiderando di essere con lei e come lei – al tempo stesso, senza rendersene conto, cambia, si libera ed evolve per sé. A prescindere da lei. Tuttavia, pur prendendo una piega inattesa, il film mantiene quella freddezza tipicamente british, quella distanza che si ravvisava in parte anche in Lady Macbeth, e in tal modo non sposa mai il genere, non diventa mai veramente un noir (che di sentimenti vive e brucia). Oldroyd preferisce tenersi ai margini, lavorando in modo “trattenuto” che corrisponde al comportamento inizialmente represso della protagonista. È il pregio ma anche il limite di un film che rifiuta l’esplosione e la grandeur (espressiva, in primis), e che anche quando sembra andare finalmente su di giri non decolla mai davvero. Non si libera, al contrario di Eileen. E in questo delude in parte le aspettative, dopo averle solleticate per tutto il tempo. In compenso, le due attrici sono affiatate e perfette (a loro se ne aggiunge una terza, nell’ultima parte: la bravissima e inquietante Marin Ireland), così come la splendida colonna sonora di Richard Reed Parry, che sui titoli di coda esplode (lei sì!) in una formidabile galoppata jazz.

Info
Eileen, il trailer.

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