Race for Glory – Audi vs. Lancia

Race for Glory – Audi vs. Lancia

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Vanity project dell’attore/produttore/cosceneggiatore Riccardo Scamarcio, Race for Glory – Audi vs. Lancia di Stefano Mordini (che con Scamarcio ha ormai instaurato un vero e proprio sodalizio artistico) tenta di evadere dalle asfittiche routine del cinema di consumo nostrano per guardare a modelli e pubblici internazionali. Riuscendoci solo in parte.

Solo i perdenti vogliono vincere sempre

Nel mondo del rally il 1983 è l’anno in cui si fece la storia, l’anno di Davide contro Golia, quello in cui lo sfavorito team Lancia, guidato dal carismatico Cesare Fiorio (Riccardo Scamarcio), affronta il potente team Audi in una delle più grandi rivalità della storia dello sport. Contro il formidabile rivale Roland Gumpert (Daniel Brühl) e il suo team Audi, tecnologicamente superiore e composto da figure come il campione finlandese Hannu Mikkola (Gianmaria Martini), Lancia e il suo team manager rischiano una sconfitta certa. Ma con cuore, passione e capacità, Fiorio riesce a mettere insieme una squadra insolita … [sinossi]

E’ molto interessante comparare la storia di Race for Glory – Audi vs. Lancia di StefanoMordini fuori e dentro il set, con Riccardo Scamarcio impegnato a comporre squadra e team sia nei panni finzionali del team manager Cesare Fiorio che nelle vesti di produttore impegnato a reperire fondi e partnership per permettere alla produzione di “partire”. Come Fiorio punta tutto sull’ingaggio del pilota tedesco già due volte campione del mondo Walter Röhrl (Volker Bruch), ecco che Scamarcio si associa con Jeremy Thomas, produttore britannico la cui carriera parla da sola (Roeg, Frears, Cronenberg, Wenders, Gilliam, Bertolucci, tanto per fare solo qualche nome in una carriera incredibile) in modo da poter avere nomi e lancio promozionale degni di poter guardare oltreconfine. In aggiunta, 01/RaiCinema dal lato produttivo e Medusa da quello distributivo garantiscono un’uscita nazionale corposa, a partire dal 14 marzo, con più di trecento copie nella settimana d’esordio. La corazzata sarà in grado di reggere il mare? Al pubblico la risposta, l’uscita anticipata negli Usa nello scorso gennaio ha finora portato circa un milione e duecentomila dollari d’incasso.

Il tono del racconto, scritto prevalentemente da Filippo Bologna con il supporto di Mordini e Scamarcio, è quello di concentrarsi sugli eventi, in una sarabanda di accadimenti che tengono indubbiamente alto il ritmo, senza dare troppo spazio a contorni e psicologie. E quindi Fiorio/Scamarcio ha una famiglia che rimane sempre fuori campo, è un uomo d’azione di cui ci arriva chiaro un solo imperativo: vuole vincere, sempre e comunque. Il confronto con il pilota principale Röhrl, già vincente in passato e che riesce a spuntare una sorta di contratto a gettone al fine di evitare i rally più rischiosi dell’annata come l’odiata Finlandia, è imperniato su questo: per il tedesco quella di voler vincere ossessivamente è una caratteristica dei perdenti, che hanno bisogno di continua legittimazione sul campo in modo da sospingere all’indietro il proprio complesso d’inferiorità. La giusta via da seguire sarà, come da canone classico della drammaturgia, una felice commistione tra i due approcci, il febbrile e il serafico. Caratteristiche che rivestono anche i due team/case automobilistiche che si contengono il titolo nel 1983, annata su cui si concentra l’opera: il gigante Audi che da un paio d’anni prima aveva rivoluzionato il mondo delle corse con la scelta delle quattro ruote motrici, e la Lancia 037 (il nome viene dal tempo del record di Röhrl sul circuito test), ancora a trazione posteriore e con un progetto estremo, leggerissima e quindi adatta alle corse su asfalto ma una “bara semovente” nei tratti di sterrato e, soprattutto, neve. Innestandosi quindi nel solco della sfida tra Ford e Ferrari del Le Mans ’66 – La grande sfida di James Mangold, e imbarcando a bordo Daniel Brühl (che era Lauda in Rush di Ron Howard), Scamarcio e Mordini tentano d’innestarsi nella relativamente fresca tradizione di un sottogenere di film sportivo particolarmente in voga nell’ultimo decennio (si pensi anche al diverso, e più autoriale, Ferrari di Michael Mann) grazie anche alle innovazioni tecniche nel campo dell’effettistica digitale, di fondamentale importanza in operazioni del genere. Effettistica che qui però, sia per questioni di budget che per intenzioni stilistiche, pare essere stata ridotta al minimo indispensabile, prediligendo le riprese fisiche seppur con qualche sciatteria, come la stessa derapata in curva montata più volte.

Un’occhiata al nutrito comparto attoriale è giusto rivolgerla, a cominciare naturalmente da Fiorio/Scamarcio: la scelta del multilinguismo del film a volte non lo aiuta (nella versione italiana che abbiamo potuto vedere si nota uno stacco netto tra le parti originariamente girate in inglese in cui si ridoppia e altre in cui parla il nostro idioma anche nella presa diretta), ma la fisicità e l’intensità di sguardo reggono la macchina da presa e il fatto di essere al centro della scena per la maggior parte del minutaggio; Brühl è poco più di una comparsa/specchietto per le allodole, così come Esther Garrel nei panni della pilota Michèle Mouton e Haley Bennett nel ruolo di una giornalista statunitense che intervista Fiorio e che assolve alla funzione di spiegare al pubblico d’oltreoceano che cosa sia il rally e come funzioni, ponendo le domande che porrebbe qualsiasi spettatore, specie in una nazione come gli Usa follemente appassionata di altri tipi di automobilismo come il campionato Nascar, ma dove il rally non ha mai preso particolarmente piede. Due le sorprese: molto bravo lo stand up comedian Giorgio Montanini (che finora aveva lavorato al cinema con Pietro Castellitto, Milani, De Matteo, Marco Pontecorvo) nel ruolo del capomeccanico Ennio, contraltare “operaio” e ruspante di Fiorio, e da (s)cult assoluto Lapo Elkann nel ruolo del nonno Gianni Agnelli.

L’appassionato della materia non si aspetti una ricostruzione fedele degli accadimenti, come sottolinea una scritta in esergo, ma una drammatizzazione che si prende la libertà di accorpare fatti e drammatizzare momenti: un esempio per tutti, la messa in scena di un grave incidente che riprende pari pari la dinamica di quello occorso al finlandese Henri Toivonen, qualche anno dopo però, nel 1986. Particolarmente indovinati, sempre in ottica di tradimento dei fatti reali, i momenti da “commedia all’italiana” dove alcune furbate indubbiamente di genio contribuiscono a mettere la stagione nella giusta direzione: ancora un esempio, con l’obbligo per la partecipazione al mondiale di avere duecento macchine pronte per la vendita risolto con la visita della commissione in un parcheggio dove ci sono le uniche cento disponibili, pausa pranzo, e poi visita ad un altro parcheggio dove troviamo le stesse cento nel frattempo spostate.

In conclusione, la prolifica carriera di Mordini, dagli esiti non sempre apprezzabili, si arricchisce di un nuovo capitolo in cui gioca a fare il metteur en scène a contratto, all’americana, e se avesse avuto tra le mani uno script più solido la scommessa potrebbe dirsi indubitabilmente vinta. L’alternanza di immagini documentarie e particolari dal vero, con il focus incentrato sulla sfida tra meccanici e ingegneri più che tra piloti, arriva a proporre una modalità di corsa automobilistica credibile. Se tutti i calcoli produttivi sopraesposti non verranno recepiti dal pubblico come furberie tese ad ammantare Race for Glory di ciò che non è, allora la scommessa potrà dirsi riuscita.

Info
Il trailer di Race for Glory – Audi vs. Lancia.

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