Sopravvissuti

Sopravvissuti

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Il francese Guillaume Renusson esordisce alla regia con Sopravvissuti, che in una veste thriller affronta il tema del flusso migratorio sulle Alpi che dividono l’Italia dalla Francia. Irrobustito dalle eccellenti prove attoriali di Denis Ménochet e Zar Amir Ebrahimi il film è un convincente racconto survivalista, che pone l’accento su una ferale violenza razzista che, al contrario dei migranti, riesce facilmente a superare i confini.

Oltre il confine, con molto dolore, non trovai fiori diversi

Samuel è sopravvissuto ad un incidente stradale in cui è morta sua moglie. Torna per la prima volta nello chalet di montagna in territorio italiano dove hanno trascorso dei bei momenti insieme. Qui ha trovato rifugio Chereh, una profuga afgana sfuggita a una retata della polizia. Dopo un’iniziale intenzione di disinteressarsi della sua sorte decide di esserle d’aiuto. I due dovranno lottare non solo con la Natura avversa ma anche con dei cacciatori di migranti. [sinossi]

“Il confine è d’aria e luce”, cantava decenni fa – paiono secoli – Giovanni Lindo Ferretti con i C.S.I., vale a dire il Consorzio Suonatori Indipendenti. E ancora, sempre nel ritornello di quella canzone dal titolo Vicini, insistevano sul concetto: “Vicini per chilometri, vicini per stagioni, sulle tracce dei lupi che fuggono le guerre degli umani; vicini per chilometri, vicini per stagioni, traversando frontiere che preparano le guerre di domani”. Le guerre di domani, in un presente che è già guerra (guerre), innalzano frontiere sempre più invalicabili, fatte dalla natura ma anche e soprattutto dalla violenza umana, dal nazionalismo imperante, da un fascismo che striscia sottopelle anche in quella fetta di popolazione che ama autodefinirsi “moderata” o persino “progressista”. Il confine di terra, quello tra Francia e Italia separate dai picchi alpini, viene superato muovendosi nella neve da Chereh, profuga afgana che come tanti altri esseri umani è in cerca solo di una vita non migliore, ma semplicemente vivibile. Principia da immagini di repertorio di disperati che cercano di superare il confine Sopravvissuti, che esce in sala in Italia grazie a No.Mad Entertainment a un anno e mezzo dalla proiezione ad Angoulême, all’interno del festival dedicato alle produzioni francofone. Esordio alla regia per il transalpino Guillaume Renusson Les Survivants (questo il titolo originale) sembra all’inizio conformarsi come un onesto dramma che focalizza l’attenzione su una delle questioni centrali per l’Europa contemporanea – e lo dimostra, qualora fosse necessario, la realizzazione recente di molti titoli sul “tema”, tra i quali Io capitano di Matteo Garrone e Green Border di Agnieszka Holland –, mostrando ad esempio la brutalità con cui la polizia irrompe nella casa dismessa in cui hanno trovato rifugio per la notte decine di immigrati irregolari, e dalla quale scappa riuscendo a evadere da una finestra proprio Chereh, per poi incamminarsi verso la montagna innevata.

Ma la donna, interpretata dalla convincente Zar Amir Ebrahimi già vista sempre nel 2022 in Holy Spider di Ali Abbasi – in sala in Italia è in arrivo in questi giorni Tatami, di cui firma la co-regia insieme all’israeliano Guy Nattiv – non è l’unica “sopravvissuta”: a suo modo lo è anche Samuel cui presta corpo e voce lo straordinario Denis Ménochet, un uomo rimasto vedovo a seguito di un incidente in cui lui stesso è rimasto gravemente ferito e che ora non sa destreggiarsi tra il suo cupissimo dolore intimo e la necessità di badare la figlioletta Léa. Così decide di lasciare la piccola a casa del fratello e di tornare alla baita di montagna, la loro seconda casa, il luogo in cui accadde l’imponderabile. Ovviamente è proprio quell’abitazione all’apparenza senza nessuno a essere stata scelta per rifugio dal freddo gelido da Chereh. Ecco dunque il secondo punto verso cui, tralasciando il dramma sociale, vira Sopravvissuti, quello dell’incontro tra anime solinghe, tra persone che hanno perso tutto – o quasi – e soprattutto procedono senza più speranza, solo con la forza d’inerzia. Ma con intelligenza Renusson, che firma anche la sceneggiatura insieme a Clément Peny, iscrive questo passaggio “sentimentale” alle regole del cosiddetto survival movie, sia perché la natura è tutt’altra che benigna quando si è immersi nella neve con il rischio di essere rintracciati dalla polizia, sia perché sulle tracce dei due si potrebbero mettere tre cacciatori – due uomini, di cui uno italiano, e una donna che ha portato con sé anche il suo pastore tedesco – che si divertono a battere la zona per togliersi di mezzo gli immigrati in cui si imbattono.

Il terzo elemento è dunque quello del thriller, che sfocia in un’ultima parte del film che non ha alcun timore di fondersi con il genere puro, e che sposta ulteriormente l’asse dello sguardo dello spettatore, passato nell’arco di un’ora e mezza dall’intimismo silente dell’elaborazione del lutto a un vero e proprio scontro corpo a corpo, per niente timido nel mettere in scena la violenza in modo deflagrante. Quel che ne viene fuori è un film multi-strato, di non immediata collocazione ma mai banale, che sa riflettere sulla tragedia del razzismo – i “difensori della purezza” possono tranquillamente oltrepassare tutti i confini che vogliono, contrariamente a quel che accade per i derelitti già costretti ad abbandonare i luoghi in cui sono nati e gli affetti (Chereh ha lasciato il marito bloccato in Grecia, dimostrazione di una diaspora geografica ma anche sentimentale) – trovando solo nel superamento della propria solitudine e nell’apertura verso gli altri un possibile barlume di speranza. Perché tanto, come cantava Francesco De Gregori cinquant’anni fa, “Oltre il confine, con molto dolore, non trovai fiori diversi”.

Info
Sopravvissuti, il trailer.

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