Un amore splendido

Un amore splendido

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Intriso di sentimenti religiosi tenuti sottotraccia, Un amore splendido di Leo McCarey è un gradevolissimo incrocio fra sophisticated comedy e melodramma, articolato intorno a un percorso etico di redenzione tramite l’esperienza di un vero e sincero sentimento d’amore. Indimenticabile prova a due per Cary Grant e Deborah Kerr. Tra i classici riproposti nella rassegna Magnifiche ossessioni – Capolavori del mélo hollywoodiano 1951-1959.

L’ultima occasione

Nickie Ferrante, playboy noto alla stampa rosa in procinto di sposarsi con una ricca ereditiera, incontra la cantante Terry McKay su una nave transoceanica di ritorno a New York dall’Europa. Entrambi impegnati in altre storie d’amore, Nickie e Terry faticano non poco a contenere la simpatia e i sentimenti che in breve tempo suscitano l’uno all’altra. Dopo aver sostato a Villefranche-sur-Mer in visita dall’anziana nonna di Nickie, i due rientrano negli Stati Uniti promettendo di rivedersi di lì a sei mesi in cima all’Empire State Building in modo da darsi la possibilità di sistemare nel frattempo le proprie vite per poi ritrovarsi e fare felicemente coppia. Ma il Fato, tragico e beffardo, ci mette lo zampino, complicando molto la situazione fra i due. [sinossi]

Il melodramma classico ruota spesso intorno a un rovello morale, a un fatale incastro fra destino e desiderio. Il Fato si mette sovente di traverso. L’essere umano desidera, ma la combinazione sfortunata degli eventi alza repentinamente la posta per raggiungere la felicità. Niente è più fatale di un incidente stradale, di un impedimento in qualche modo legato a un accadimento funesto che mette in pericolo la salute del protagonista. In questa direzione Un amore splendido (Leo McCarey, 1957) è diventato nei decenni a suo modo emblematico. L’investimento d’auto che colpisce Terry McKay, appassionata protagonista del film, e la conseguente paralisi alle gambe intervengono a spezzare un sogno d’amore nel modo più atroce possibile. Nickie Ferrante, ex-playboy che ha riscoperto i veri sentimenti grazie all’incontro con Terry, è in cima all’Empire State Building in attesa di rivedere la sua donna dopo sei mesi. Lei freme, corre, non vede l’ora di reincontrarlo. Scende dal taxi, si avvia di fretta, ma fuori campo udiamo una breve frenata, poi uno sfracello e grida della gente. Con estrema economia espressiva McCarey spezza una possibile felicità, intrappolando i suoi due protagonisti in un perfetto groviglio melodrammatico – in cima al grattacielo, Nickie pensa che Terry non si sia semplicemente presentata all’appuntamento, ricavandone rabbia e delusione.

In tal modo Un amore splendido alza bruscamente il livello di difficoltà delle prove che la coppia deve affrontare per conquistare l’obiettivo della felicità amorosa. McCarey giunge a questo tramite un’evidente impennata melodrammatica, che oltretutto irrompe in un racconto fino a quel momento adagiato nei soavi e gradevoli ritmi della sophisticated comedy dai toni romantici. Si apre tutta un’ultima sezione narrativa in cui sale in primo piano la moralità delle scelte. Rimasta paralizzata, Terry non vuol far sapere a Nickie della propria menomazione fisica per non legarlo sentimentalmente a sé tramite la pietà e la compassione. Nickie si arrovella sull’assenza della donna all’appuntamento, e cerca pure goffamente di recuperare la vita di prima. Ma ormai l’amore ha colpito, niente è più come prima, non si può tornare indietro. L’amore ha colpito e ha cambiato i profili dei due protagonisti. A ben vedere, Un amore splendido è condotto sottotraccia da un’idea di redenzione etica piuttosto tipica di molto melodramma, americano e non. La prima metà del racconto è ambientata su una nave da crociera che dall’Europa rientra negli Stati Uniti. L’ambiente è quello della upper class americana, che frequentemente ha ospitato sia il melodramma classico sia la screwball/sophisticated comedy degli anni d’oro americani. Nickie e Terry conducono entrambi una vita vacua e superficiale. Lei accomodata nel benessere, lui famoso playboy, ben noto anche ai settimanali di cronaca rosa, in procinto di convolare a nozze con una ricca ereditiera perlopiù per ragioni economiche – candidamente, Nickie ammette di non aver mai lavorato in tutta la sua vita. Entrambi, però, hanno anche rinunciato ai sogni di giovinezza, tradendo un po’ se stessi. Terry ha messo da parte la carriera di cantante, mentre Nickie ha accantonato il proprio talento di pittore.

È in un certo senso fatale la visita alla nonnina di Nickie, che accoglie i due viaggiatori per una sosta a metà crociera. In quella lunga parentesi, che sulle prime sembra pure improvvisa e incoerente rispetto al resto del racconto, succede qualcosa. La ricca abitazione di nonna Janou contiene una piccola cappella privata dove Terry viene sorpresa da Nickie raccolta in preghiera. Quel frammento, che ritornerà più avanti sotto altre forme, decide in qualche modo il destino dei due, innescando una sorta di richiamo a una sincera spiritualità interiore e individuale che faccia piazza pulita di tutto l’egoismo materialistico alla base delle loro rispettive vite. Fervente cattolico, Leo McCarey non è nuovo a queste accensioni nel suo cinema (basti pensare al dittico dedicato al personaggio di Padre O’Malley: La mia via, 1944, e Le campane di Santa Maria, 1945). Stavolta McCarey tiene il discorso più sottotraccia, una sorta di riverbero etico che accompagna i due protagonisti lungo le loro disavventure sentimentali ed esistenziali. In sostanza, dal lusso in Technicolor della crociera transoceanica, Un amore splendido passa a un rientro a New York fitto di riflessioni per Terry e Nickie e di decisioni riguardo al proprio futuro. Grazie al loro incontro in nave comprendono di condurre una vita tutta di benessere superficiale, che li ha portati a dimenticare la verità dei sentimenti. Non più giovanissimi, il loro amore è l’ultima occasione di vera felicità. Capiscono anche che per entrambi è necessario guadagnarsi da vivere, essere economicamente indipendenti. Per stare insieme devono rinunciare perciò al benessere a cui sono abituati. Per McCarey (come del resto, a ben vedere, per tanta morale cattolica) è necessario fare grandi sacrifici e rinunce per ottenere la posta della felicità. In qualche modo, si tratta anche di un percorso dall’irresponsabilità di una vita adolescente fuori tempo massimo alla responsabilizzazione della vita adulta. Il vero amore ha bisogno di persone adulte e serie, non di ragazzini viziati. Così, in un empito di immediata sincerità, sia Terry sia Nickie mollano i rispettivi fidanzati, mentre Nickie riprende a dipingere e vendere quadri, e per sbarcare il lunario accetta pure di salire sulle impalcature da imbianchini per dare forma a cartelloni pubblicitari. La posta in gioco è d’altra parte l’elevazione spirituale verso la cosa «più vicina al cielo», quell’ascensione verticale simboleggiata dalle emozionanti altezze dell’Empire State Building che non a caso distrarranno Terry, in un empito di felicità, al momento del fatale investimento in strada.

A conti fatti, anche le migliori intenzioni non bastano. In un’ottica punitiva “cattolicheggiante” non basta ravvedersi e mettere la testa a partito per essere felici. No, ci vuole un’alzata di tiro, è necessario portare il dissidio etico al suo punto di massimo conflitto. Alle migliori intenzioni dei protagonisti si oppone il Fato dell’incidente, che problematizza ancor più intensamente le scelte dei due personaggi. Rispettando le attese di una sophisticated comedy romantico-drammatica, ci sarà una sorta di lieto fine (in cui peraltro si ribadisce una rocciosa fedeltà ancora cattolica nella possibilità dei miracoli, specie se sostenuti da un amore puro e granitico), al quale si arriva però dopo fitte difficoltà, e soprattutto dopo un’ultima sequenza magistrale per regia, recitazione e tensione narrativa. La sequenza è tutta giocata sull’anfibologia, visiva e verbale. Ancora ignaro della paralisi di Terry, Nickie va a farle visita il giorno di Natale, trovandola distesa su un sofà con una coperta sulle gambe. A differenza dello spettatore Nickie non sa che la donna è paralizzata, e la posa di Terry sul sofà può essere interpretata agli occhi di Nickie come una semplice posizione di relax per una donna perfettamente in salute. Il resto è tutto affidato a una sagace sceneggiatura che gioca per lunghi minuti su menzogne e mezze verità, attacchi e difese, orgoglio ed effusione emotiva (e un sostegno decisivo viene dalle prove fantastiche di Deborah Kerr e Cary Grant), fino all’agnizione strappalacrime da parte di Nickie. Del resto, con atto significativo ritorna nel finale il dipinto che Nickie ha dedicato alla parentesi di raccoglimento di Terry nella cappella di nonna Janou, turning point esistenziale dal quale non si può più tornare indietro.

La funzione di nonna Janou e del suo santissimo matrimonio, il cui sentimento supera anche il limite della morte, è esattamente esemplificativa. La sua idea d’amore è quanto di più forte da opporre alle relazioni superficiali che Terry e Nickie hanno intrattenuto fino a quel momento. Per il buon peso, nel percorso di redenzione che coinvolge entrambi i protagonisti dopo il rientro a New York, c’è posto anche per una riscoperta da parte della donna, ormai paralitica, di una santa missione nell’insegnamento di canto e musica ai bambini di una scuola di periferia – e di nuovo è una figura di sacerdote, Padre McGrath, a sollecitare tale attività in Terry. Secondo una sorta di etica mccareyana l’elaborazione di un trauma atroce e la ricostruzione di un nuovo senso della vita possono trovare una via preferenziale nel dedicarsi agli altri. È il dono di sé, in fin dei conti, il principio fondante di qualsiasi forma di vero amore. Dall’egoismo al dono di sé, si compie dunque il tragitto etico di Terry e Nickie, che secondo la stessa logica riscoprono il vero amore uno per l’altra come forma di abnegazione totale e reciproca, con netta presa di distanza dall’amore interessato e insincero.

Com’è noto, Un amore splendido è un auto-remake che Leo McCarey ha tratto da un suo film precedente, Un grande amore (1939), realizzato appena diciotto anni prima con Irene Dunne e Charles Boyer come protagonisti. Là eravamo nel cinema classico anni Trenta; qui nel conclamato melodramma anni Cinquanta. Là eravamo nella tipica sintesi espressiva di un cinema asciutto e stringato affidato al bianco e nero; qui nell’enfasi visiva di uno spettacolo squillante ed esaltato da un uso prorompente del colore. È sintomatico che le due sceneggiature siano quasi identiche una all’altra, con ampi brani di letterale coincidenza di dialoghi e battute, ma che ciò nonostante Un amore splendido duri comunque mezz’ora in più rispetto all’originale. Nel secondo film vi è una sezione centrale inedita, che si dilunga ampiamente sulle vicende accadute in nave tramite, tra l’altro, il gustoso inserimento di personaggi secondari – l’impiccione Mr Hathaway e relativa famiglia. Similmente, in Un amore splendido vi è una maggiore enfasi in nave sui maldestri tentativi di Terry e Nickie di tenere nascosta la loro passione ai paparazzi e alla massa di compagni di viaggio che grazie alla stampa scandalistica ben conoscono il passato di playboy dell’uomo. Entrambi i film condividono inoltre il gusto dei riflessi su vetro e specchio, che in almeno due casi assumono un determinante peso narrativo ed espressivo – l’Empire State Building che si specchia nella porta a vetri dell’appartamento di Terry, e il riflesso finale nello specchio del dipinto di Nickie dedicato a Terry raccolta in preghiera. Appartenenti a due epoche non lontanissime ma diverse per prassi espressive, Un grande amore appare più ancorato alla sophisticated comedy e tiene su accenti più asciutti anche le accensioni melodrammatiche, mentre Un amore splendido va più a fondo sulle ragioni psicologiche dei due personaggi, e quando si tratta di affrontare il larmoyant è più schietto e senza filtri. Vi sarà poi una terza versione, molto più avanti nel tempo, Love Affair – Un grande amore (Glenn Gordon Caron, 1994), interpretata da Warren Beatty e Annette Bening, celebre coppia inossidabile anche nella vita reale. Nei panni di nonna Janou, ribattezzata Ginny per l’occasione, troviamo nientemenoché Katharine Hepburn, giunta alla sua ultima apparizione cinematografica. Ma a metà anni Novanta si tratta ormai di tutt’altro cinema e il nuovo film appare sostanzialmente stonato e fuori tempo massimo, benché testimone della riscoperta di un grande classico che coinvolge anche il quasi coevo Insonnia d’amore (Nora Ephron, 1993), a sua volta memore dei due film di McCarey nella costruzione del soggetto – Tom Hanks e Meg Ryan si ritroveranno in cima all’Empire – e caratterizzato pure da un diretto omaggio a McCarey francamente esilarante. Un’amica del protagonista Tom Hanks, infatti, rievoca l’ultima sequenza di Un amore splendido in mezzo a lacrime sbellichevoli, dando implicito atto della caratura paradigmatica di melodramma romantico assunta dal film di McCarey nell’immaginario collettivo americano. Redenzione etica e riverberi cattolici, dunque. Per riscoprire se stessi è necessario un consueto calvario personale, che però, se condotto fino alle sue estreme conseguenze, può garantire felicità e amore. Restare fedeli a se stessi, ai propri schietti sentimenti, alle più intime inclinazioni artistiche, può dar luogo anche a miracoli. Per McCarey siamo ancora in piena era di speranza e di miracoli. «If you can paint, I can walk. Anything can happen, don’t you think?».

Info
Un amore splendido, il trailer.

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