Law and Order

Law and Order

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Terzo film da regista per Frederick Wiseman dopo Titicut Follies e High School, Law and Order vede il documentarista alle prese con la vita quotidiana delle forze dell’ordine che pattugliano una zona tutt’altro che pacificata di Kansas City. Straordinaria riflessione sull’atto istituzionale che si fa inevitabilmente e violentemente politico, il film è stato presentato a Cannes Classics nella versione restaurata in digitale da Zipporah Films insieme a Steven Spielberg.

Su e giù per Kansas City

Il lavoro quotidiano di una squadra di polizia che opera in un quartiere povero di Kansas City. [sinossi]

Il 1968 ha attraversato come un coltello gli Stati Uniti d’America, così come il resto del mondo. Ha diviso a metà una nazione che non si era sentita così profondamente balcanizzata da un secolo, da quando il nord e il sud del Paese erano addirittura arrivati al punto di scontrarsi sul campo di battaglia. Nel pieno dei tumulti di un anno “ancora lungo da venire e troppo breve da dimenticare”, si erano anche svolte le campagne elettorali per la Presidenza. A trionfare sarà Richard Nixon, il grande sconfitto anni prima da John Fitzgerald Kennedy e ora in grado di convincere i suoi cittadini a condurlo fino alla Casa Bianca grazie a uno slogan che punta tutte le sue fiche su due parole: law and order, legge e ordine. Non si può affrontare l’opera terza da regista per Frederick Wiseman senza contestualizzare il momento storico in cui l’allora trentanovenne cineasta sceglie di trascorrere intere giornate nelle autovetture della polizia di Kansas City. Si deve necessariamente partire dal titolo, che recita appunto Law and Order, perché gran parte del senso che Wiseman vuole condensare nelle immagini girate si può rintracciare lì. Gli Stati Uniti che stanno continuando l’escalation in Vietnam – da cui usciranno sonoramente sconfitti –, hanno visto uccidere presidenti e candidati alla presidenza, rivoluzionari e maestri del culto, si aggrappano a quelle due parole con la disperazione di chi si sta inabissando, e non riesce neanche a comprendere perché. Se si prende il film da questa prospettiva dello sguardo non si può non cogliere l’assoluta contemporaneità del discorso intrapreso da Wiseman, e dunque la sua urgenza anche negli States odierni, ed è oltremodo significativo che Law and Order appaia nella selezione di Cannes Classics sulla Croisette in una veste restaurata digitalmente grazie allo sforzo congiunto di Zipporah Films (la casa di produzione storica di Wiseman, che deve il nome all’adorata moglie e collaboratrice del regista, Zipporah Batshaw, con cui è stato sposato per cinquantasei anni fino alla morte di lei nel 2021), Steven Spielberg, e della Library del Congresso. L’indipendenza da sempre rivendicata dal regista trova unione tanto nell’istituzione quanto nella figura più nota del mainstream hollywoodiano.

Tornare con lo sguardo a Law and Order equivale sì a compiere un tuffo nel passato recente, ma non si può non trovare continui rimandi all’oggi, alla cronaca di un quotidiano che nel 1969 come nel 2024 parla ancora di segregazione socio-culturale, di conflitto, di abuso di potere. E questo nonostante l’intento documentarista di Wiseman non si lasci mai corrompere dal demone della retorica predetta, e dunque dalla volontà di mettere in scena non ciò che accade ma semmai ciò che si pensa debba accadere. Certo, il montaggio di un Wiseman ancora alle prime armi – all’epoca aveva portato a termine solo Titicut Follies e High School – è ben più serrato di quel che diverrà col corso del tempo, e dell’esperienza, e quindi le quattrocento ore di girato sono per la stragrande maggioranza abbandonate al loro destino, ma lo sguardo del regista non perde mai la sua stella polare, che non è né pre-giudizio né reale indagine, ma osservazione di una realtà così banale (la giornata tipo di una pattuglia di macchine della polizia impegnate a lavorare in una area decisamente disagiata di Kansas City) da non essere dai più considerata davvero interessante. È invece proprio nell’immagine che vive allo stesso ritmo e alla stessa altezza dell’oggetto dello sguardo che Wiseman riesce a trovare il punto d’osservazione invidiabile non per cogliere eventuali distonie del potere – esso è per sua stessa natura distonico, e ingiusto, perché prevede una vessazione inevitabile anche quando viene espresso nella sua forma più corretta – ma per guardare all’aldilà della mera apparenza e cogliere la struttura, l’architettura d’insieme. Così come Titicut Follies non era solo un film su un centro per disagio psicologico e High School non immortalava solo la vita di un liceo, alla stessa stregua Law and Order non è solo un film sulla polizia e sulle sue azioni di ogni giorno.

Si tratta in realtà invece dell’inizio di quella immensa mappatura degli Stati Uniti d’America che per decenni Wiseman ha portato avanti, partendo dal infinitesimale per giungere sempre all’universale, nel tentativo umano, sociale, politico e cinematografico – ma gli aggettivi si muovono sempre in completa osmosi – di imparare a comprendere il mondo in cui vive, e che di strutture e sovrastrutture come tutti i sistemi è costellato. In questo senso lo sguardo sulla polizia cittadina è quantomai puntuale nell’aderire a tale schema: i poliziotti di Law and Order sono figure meramente procedurali, impegnate solo ed esclusivamente a porre la risposta più adeguata – e in un certo qual modo preconfezionata – alle richieste di cittadini che neanche vorrebbero avere a che fare con loro (in questo senso il film somiglia non poco al dittico Domestic Violence, portato a termine da Wiseman nei primi anni Duemila). Quando la violenza esplode, come ad esempio nel momento in cui un poliziotto decide di sfondare con la forza la porta dell’appartamento di una prostituta, lo fa dunque in modo del tutto naturale, come se non potesse esistere altro là dove la risposte facili latitano. È proprio evitando qualsiasi scelta aprioristica che Wiseman può permettersi di cogliere davvero l’ambiguità di un organo dello Stato atto a proteggere ma esercitato alla violenza, proteso a essere a disposizione degli stessi cittadini che magari in un secondo momento si troverà a manganellare. E il rimando a Nixon torna sempre più come un monito, quasi che le beghe cittadine dovessero espandersi a livello globale seguendo quel dittico rassicurante e preoccupante allo stesso tempo. Legge e Ordine. Purtroppo non morali, ma pratici. E dunque intrinsecamente violenti. A cinquantacinque anni dalla sua realizzazione Law and Order è ancora un’opera fondamentale, e in grado di stratificare il discorso ricorrendo alla mera semplicità.

Info
Law and Order sul sito di Cannes 2024.

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