Motel Destino

Motel Destino

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Ad appena un anno di distanza dalla trasferta inglese con Firebrand, il brasiliano Karim Aïnouz torna in patria con Motel Destino, riallacciandosi idealmente ad alcuni suoi lavori del passato (su tutti O céu de Suely) e guardando con insistenza dalle parti di James M. Cain e de Il postino suona sempre due volte. Dominato dai toni accesi della fotografia di Hélène Louvart, Motel Destino è un lavoro interessante, per quanto forse troppo “semplice” nelle sue scelte di senso e narrative.

Il triangolo no

Ceará, costa nordorientale del Brasile, 30° tutto l’anno. Ogni notte, al Motel Destino, si giocano al riparo da sguardi indiscreti pericolosi giochi di desiderio, di potere, e di violenza. Una sera l’arrivo del giovane Heraldo manda all’aria le regole del motel. [sinossi]

Il desiderio è senz’ombra di dubbio uno dei motori portanti dell’approccio stilistico ed etico al cinema da parte del brasiliano Karim Aïnouz, in grado di declinarlo nei modi più disparati, come dimostrano le sue quattro ultime opere, ognuna delle quali presentata al Festival di Cannes: ne La vita invisibile di Eurídice Gusmão si trattava del desiderio di due sorelle separate da migliaia di chilometri di distanza di parlarsi, anche sapendo che l’altra non avrebbe mai potuto leggere le lettere scritte; nel documentario Marinheiro das montanhas il centro del discorso era rappresentato dal desiderio del regista stesso di riappropriarsi delle radici geografiche e culturali paterne in Algeria, sua terra d’origine; in Firebrand dei desideri (sovente repressi) di Caterina Parr, sesta e ultima moglie di re Enrico VIII. In Motel Destino invece il desiderio è più semplicemente quello della carne, niente di più e niente di meno: la brama della carne come dichiarazione di vitalità, forse persino di esistenza. Non esiste in effetti al mondo il povero e reietto Heraldo, ventunenne che con suo fratello maggiore lavora al soldo di Bambina, boss della droga locale che si diletta anche come pittrice amatoriale. Il lavoro serve a estinguere il debito che i due hanno contratto anni prima con la gangster, che ora pretende un ultimo atto, silenziare “il francese”, uno straniero che le procura non poche noie essendosi inserito nel mercato locale degli stupefacenti. La sera antecedente alla notte in cui si dovrebbe svolgere l’azione punitiva, Heraldo si intrattiene con una ragazza conosciuta in discoteca, e la porta al Motel Destino, adibito proprio per le coppie occasionali: dopo un po’ di sesso sfrenato la ragazza deruba Heraldo nel sonno e lo abbandona lì. Dopo aver convinto la gestora del motel di tornare a saldare il proprio debito e aver lasciato la carta d’identità a mo’ di rassicurazione, Heraldo corre disperato verso il luogo d’incontro pattuito con suo fratello, ma arriva troppo tardi: si è già svolto uno scontro a fuoco e ad aver avuto la peggio è proprio il fratello di Heraldo, che ora deve affrontare sia i gravami del senso di colpa che la prevedibile ira vendicativa tanto di Bambina quanto della ragazza del fratello e di un suo scherano. L’unico rifugio non potrà che essere, ovviamente, il Motel Destino.

A questo preambolo Aïnouz fa seguire quello che è il vero fuoco narrativo del film, vale a dire la reclusione coatta in uno spazio liminare – per di più dominato da un sesso instancabile, e in tal senso eccellente appare l’utilizzo della traccia sonora che invade ogni singolo fotogramma o quasi dei sospiri e delle urla degli innumerevoli amplessi che si svolgono nella struttura – che si tramuta in ipotetico triangolo amoroso: Heraldo si invaghisce infatti di Dayana, la proprietaria che condivide la gestione con il marito Elias, facilmente incline a eccessi di violenza improvvisa. La passione che si scatena tra i due vede Elias come un ostacolo, ed ecco dunque che Motel Destino vira con una certa evidenza dalle parti di James M. Cain e de Il postino suona sempre due volte. Cosa fare con la gestione del desiderio? E ancor meglio: cosa farne di Elias? Paradossalmente l’aspetto meramente narrativo è l’elemento meno interessante del discorso portato avanti dal cinquantottenne nativo di Fortaleza, perché triangoli amorosi siffatti sono stati trattati con grande continuità dal cinema e nonostante qualche apprezzabile scarto narrativo nel finale che almeno in parte devia dal tracciato della prevedibilità Aïnouz non pare occuparsi in modo rilevante di questo aspetto. Là dove invece Motel Destino trova la sua dimensione ideale è in questo mondo dai colori accesissimi, quasi bruciati dal neon – ottima la fotografia di Hélène Louvart –, che gronda di umori: questi corridoi asettici attraversati dai gemiti di piacere di chi, al riparo dietro una porta, sta godendo, queste stanze da rifare. La sessualità esplode in ogni inquadratura del film di Aïnouz, perfino due asini si lasciano andare a un accoppiamento furibondo. È la brama di (soprav)vivere che accompagna l’umanità, e le permette di resistere nonostante tutto, nonostante una società basata sulla violenza, sulla sopraffazione, dove anche chi muore d’infarto dopo essersi portato una prostituta in camera viene bruciato in una buca scavata nella sabbia perché non se ne abbia traccia. Quel microcosmo il regista di Praia do futuro lo sa inquadrare con una precisione certosina, e viene reso ancora più vivido dalle interpretazioni survoltate di Iago Xavier, Nataly Rocha, e Fábio Assunção, e dalla volontà di Aïnouz di guardare dalla parte di Rainer Werner Fassbinder soprattutto per quel che concerne l’utilizzo dello spazio chiuso come planimetria ideale del rapporto tra sesso e (abuso di) potere. Quel che ne viene fuori è un viaggio al termine della notte sudaticcio – dopotutto nel Ceará, dov’è ambientato il film, la temperatura non scende quasi mai durante l’anno sotto i trenta gradi –, allucinatorio, umorale e alcolico. Probabilmente sbalestrato, ma non privo di fascino.

Info
Motel Destino sul sito del Festival di Cannes.

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