Il Fiamma del peccato

Il Fiamma del peccato

A poco meno di due anni di distanza dalla roboante conferenza stampa in cui il MIC insieme alla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia annunciarono che il Cinema Fiamma di Roma, chiuso dal 2017, sarebbe diventato la sala della Cineteca Nazionale a partire dalla fine del 2023 il CSC pubblica un avviso di manifestazione di interesse per l’acquisto dell’immobile. Un progetto dunque abortito, che lascerà nuovamente la Cineteca Nazionale senza una propria sala, a oltre cinque anni dall’abbandono del Cinema Trevi.

Occorre riavvolgere il nastro, per quanto doloroso (e un po’ grottesco) sia. Il 13 luglio 2022 il Ministro della Cultura Dario Franceschini e la Presidente della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia Marta Donzelli indirono una conferenza stampa per annunciare in pompa magna che a partire dalla fine del 2023 la Cineteca Nazionale sarebbe tornata ad avere una propria sala: il 22 giugno 2022 infatti venne sottoscritto l’atto di acquisto per il Cinema Fiamma da parte della Fondazione, sancendo idealmente la fine di un periodo errabondo per la Cineteca, costretta per svolgere la propria programmazione ad appoggiarsi ad altre realtà istituzionali capitoline, come la Casa del Cinema – poi chiusa a sua volta per alcuni mesi per lavori di ammodernamento – o il Palazzo delle Esposizioni a causa della rescissione del contratto di affitto nei primi mesi del 2019 con il cinema Trevi in vicolo del Puttarello. Dopo oltre mille giorni di attesa, in cui si era agilmente passati da una proposta all’altra (poter sfruttare per qualche giorno al mese uno spazio messo a disposizione dalla Biblioteca Nazionale, o addirittura pensare di utilizzare le piccolissime sale all’interno della sede del ministero in Santa Croce in Gerusalemme), nella prima metà di luglio di quasi due anni fa si pensò che finalmente il peggio fosse stato lasciato alle spalle. MIC e Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia spiegarono con dovizia di immagini lavorate al computer come le sale sarebbero state due (con possibilità di proiettare in 35mm e in DCP, ma con l’idea di mettere a disposizione anche un proiettore 70mm), oltre a una caffetteria, a un’aula studio, e addirittura a un punto di ritiro della Biblioteca Luigi Chiarini, la cui sede è all’interno del Centro Sperimentale di Cinematografia in via Tuscolana. Per chi nel corso degli anni ha lamentato una sempre maggiore dispersione dei luoghi cinematografici nella Capitale, l’impressione era quella di un risveglio dall’incubo. Le dichiarazioni dell’epoca furono così sentite e nette che ci si spinse, nel redarre un breve resoconto, di chiuderlo con la frase “La battaglia culturale è solo all’inizio, ma per una volta sia consentito un cauto ottimismo”.

Forse però sarebbe stato opportuno ripensare al Candide di Voltaire, quando rispondendo a Cacambo afferma che l’ottimismo «è la smania di sostenere che tutto va bene quando si sta male». Il 14 maggio di quest’anno è apparso sul sito della Fondazione CSC un articolo dal titolo inequivocabile: “Avviso di manifestazione di interesse per l’acquisto dell’immobile “ex Cinema Fiamma”, sito in Roma, via Bissolati n. da 43 a 47”. 692 giorni, ecco il tempo in cui la Fondazione ha pensato di poter davvero essere proprietaria e gestire una sala cinematografica, alla stessa stregua di ciò che fanno le principali cineteche europee. 692 giorni in cui, con entusiasmo via via decrescente, si è ipotizzato che Roma potesse ambire alle altezze – a quanto pare per il nostro sistema culturale vertiginose – di Parigi, di Lisbona, ma anche di Bologna. Se era ben presto apparso evidente come i tempi programmati per la riapertura del Fiamma non sarebbero stati rispettati, come d’altronde triste abitudine nazionale (non solo per quel che concerne il cinema), aveva iniziato già nel corso del 2023 a serpeggiare scetticismo verso la reale volontà di ottemperare alle intenzioni iniziali, che avevano per di più previsto un esborso di oltre 3 milioni di euro solo ed esclusivamente per concludere il rogito e acquisire l’immobile. Nella delibera del 9 maggio 2024 il Consiglio di Amministrazione “ha deciso di alienare l’Immobile e, a tal fine, di dare corso ad una manifestazione di interesse non vincolante per l’Ente, finalizzata alla ricerca nel mercato di un potenziale acquirente”. È interessante notare come l’importo minimo per l’offerta sia attestato in 3,1 milioni di euro, vale a dire esattamente la cifra che la Fondazione sborsò per acquistare l’immobile nel 2022.

Per quanto la destinazione d’uso impressa sull’immobile sia quella di sala cinematografica, non è affatto escluso che un eventuale acquirente si muova poi con il Comune per studiare le possibilità di un cambio di destinazione. E anche così non fosse il cinema Fiamma tornerà a essere un multisala a uso e consumo della programmazione canonica, tra un blockbuster d’oltreoceano e un film d’industria europeo. In tutto questo le migliaia di pellicole a disposizione della Cineteca Nazionale continueranno a rimanere inutilizzate, a non esercitare dunque il loro potenziale culturale. E allo stesso tempo Roma, una città di circa 3 milioni di abitanti – poco meno dell’importo minimo per l’acquisto dell’immobile, ironia della sorte -, la città del cinema (come ama definirsi tutt’ora, basti pensare allo show allestito per la serata di consegna dei David di Donatello), continuerà a mancare dei lavori di una cineteca, della programmazione tesa a riscoprire il passato intessendolo col contemporaneo, in modo da riservare forse un futuro più roseo alla settima arte. Lavori per cui, tra le altre cose, vi sono professionalità assunte a tempo indeterminato, e che quindi trascorrono la loro quotidianità occupandosi solo in modo parziale di quelle che dovrebbero essere le loro mansioni. L’idea di una Cineteca in grado di fungere da punto d’incontro, luogo destinato alla (ri)scoperta, allo studio, al dibattito, alla diffusione culturale, resta ancora nell’iperuranio, e chissà per quanto sarà così. La fiamma è spenta o è accesa, si chiedeva una celeberrima canzone oltre cinquant’anni fa: la risposta, nell’afosa Roma del giugno 2024, è chiara.

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