Maya, donne-moi un titre

Maya, donne-moi un titre

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Estremizzazione della poetica surrealista e primitivista di Michel Gondry, Maya, donne-moi un titre è un film d’animazione che il regista costruisce interagendo con la sua bimba, realizzando episodi su suo suggerimento. Un’operina graziosa su sogni e desideri dell’infanzia, regressiva, quanto un atto di affetto paterno attraverso un cinema che torna alle origini. Presentato nella sezione Generation Kplus della Berlinale 2025.

Cinéma de papa

Maya e suo padre, Michel Gondry, vivono in due paesi diversi. Per restare in contatto, suo padre le chiede ogni sera: «Maya, dammi un titolo». Sulla base della sua risposta, lui crea una breve risposta animata in cui Maya è l’eroina. [sinossi]

I cineasti della Nouvelle Vague definivano, con sprezzo, “cinéma de papa” il cinema che li aveva preceduti. La definizione appare assai più pertinente nella bocca della piccola Maya, la figlia di Michel Gondry, sul cui immaginario infantile è costruito il film, d’animazione, Maya, donne-moi un titre, presentato nella sezione Generation Kplus della 75° Berlinale. «Siamo in un film di papà», dice la bimba, mentre sui titoli di coda compare la scritta «Un film di mio papà», a indicare comunque un suo contributo autoriale consistente, potendo firmare in prima persona anche se solo per attribuire la paternità, anche dell’opera, al genitore. Gondry chiede alla figlia, ogni giorno, di dargli un titolo, sul quale lui costruisce un corto d’animazione. Se vuole un terremoto allora ecco un bel terremoto con tanto di musica di Wagner, con la bambina che si aggira gigante tra i palazzi che ballano; se vuole che il film vada in rewind, eccola accontentata; se vuole un catastrofismo ecologico allora ecco che il mare viene contaminato di ketchup, e ovviamente depurato con patatine fritte. Se vuole diventare una sirena, eccola accontentata a nuotare tra i pesci, o un mostro gigante. A questo si aggiungono animaletti fantastici, tigri ed elefanti, personaggi con un dado di bullone al posto della faccia. Nell’universo della piccola Maya compare anche la madre, cui è affidata la voice over narrante, proprio con il senso del racconto di fiabe materno, e ovviamente il padre. Non è la prima volta che Gondry realizza un’opera d’animazione, anche se il film è stato lanciato a Berlino come il suo esordio in tal senso. Oltre alla sua conversazione animata con Noam Chomsky Is the Man Who Is Tall Happy?, c’è anche il corto My New New York Diary, sorta di fumetto animato, in cui il regista mette la disegnatrice Julie Doucet dentro le sue stesse tavole, secondo un processo non dissimile a quanto fatto ora con Maya. E poi c’è quell’inserto del personaggio di una volpe all’interno di Il libro delle soluzioni, ancora un’animazione rudimentale e infantile.

Bastano i titoli di testa, in perfetto stile Saul Bass, a richiamarci a un cinema classico in cui anche le scritte dei titoli erano materiche, filmate su un supporto. Maya, donne-moi un titre è un’opera di Art brut, una regressione all’infanzia, un nuovo tassello del meraviglioso mondo di Michel Gondry. Ma è anche una scomposizione dell’animazione, e del cinema stesso, ai suoi ingredienti, mostrandone la genesi, non come immagini del reale ma già in forma di disegni animati secondo una myse en abyme. I disegni infantili vengono ritagliati con forbice e uniti con lo scotch, proprio come quei lavoretti che tutti abbiamo fatto a scuola nella nostra infanzia. E poi disposti a formare dei fotogrammi che scoreranno al ritmo di 12 al secondo. Un cinema d’animazione fatto a mano, in modo certosino, con la vecchia tecnica del cutout, facendo decoupage mossi con l’uso di pellicola trasparente. Ancora a sancire un ritorno al cinema che si faceva su pellicola, prima del digitale. E non mancano i fumetti. Con ciò il linguaggio moderno, quello in cui Maya sta crescendo, non è messo al bando, come dimostra l’inizio che ha il formato rettangolare lungo verticale tipico degli smartphone. Anche perché il dispositivo di animazione proprio su uno smartphone si appoggia, mentre la lontananza tra padre e figlia li obbligava a tenersi in contatto via telefonia mobile. Un rapporto a distanza che ricorda quella famosa videotelefonata del dottor Floyd alla figlia in 2001: Odissea nello spazio. Gondry non è però così freddo, anzi. Maya, donne-moi un titre è in definitiva una lettera d’affetto di un padre alla figlia, che non nasconde i suoi sensi di colpa per averla trascurata, passando il tempo sui set spesso d’oltreoceano.

Info
La scheda di Maya, donne-moi un titre sul sito della Berlinale.

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