Antonia.

Passato un po’ sotto silenzio nel corso della 33esima edizione del Torino Film Festival, Antonia di Ferdinando Cito Filomarino è invece un esordio italiano meritevole d’attenzione: rigoroso dramma storico, tutt’altro che imbalsamato e pieno di ottime intuizioni registiche.

La mia vita da un oblò

Nella Milano degli anni Venti Antonia Pozzi studia al liceo Manzoni. L’aspetto è quello di una ragazza altoborghese, ma lo sguardo tradisce una prospettiva inedita da cui guarda il mondo, intima e febbrile. L’amore impossibile per il suo ex professore si trasferisce nelle fotografie che scatta e sulle pagine che scrive negli ultimi dieci anni della sua vita: anni di escursioni sulle vette della Valsassina, di incontri con amici, amanti e professori, sempre sospesa sul sottile filo teso fra arte e vita, che troppo presto Antonia ha deciso di spezzare. [sinossi]
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Non si dice nulla di nuovo nel segnalare che vi sono sempre più difficoltà per chi vuole esordire nel cinema italiano, anche perché le possibili biforcazioni produttive capaci di condurre all’agognato obiettivo di molti giovani (e non) sembrano ridursi sempre di più. E allora o ci si lascia guidare in maniera pulsionale dall’autarchia (si veda qui al festival di Torino il caso di I racconti dell’orso) o si procede in maniera istituzionale (il Piero Messina di L’attesa, ex-CSC prodotto da Nicola Giuliano). Le vie di mezzo appaiono sempre più rare.
Appartiene per fortuna all’ambito dell’eccezione il primo lungometraggio di Ferdinando Cito Filomarino, Antonia., che ha spinto Luca Guadagnino a produrre e a investire anche in tecnici di levatura internazionale, come ad esempio il magnifico direttore della fotografia di Apichatpong Weerasethakul, Sayombhu Mukdeeprom, che qui regala al film una iconica e materiale ‘secchezza’ visiva, un’asciuttezza di colori duri e cupi, con i volti spesso ripresi in controluce.
Antonia si situa così in una sorta di terra di nessuno: produzione media senza essere ricca, anti-televisiva per concezione e per ritmo narrativo, popolata da volti poco noti, rigorosamente ellittica nel racconto. Sarà forse per questo suo volersi porre in disparte che il film s’è finora visto poco e che, anche al Festival di Torino, è passato quasi sotto silenzio, tra l’altro fuori concorso, mentre avrebbe meritato senz’altro la competizione internazionale.

Raccontando la vicenda di Antonia Pozzi, poetessa vissuta negli anni del fascismo e morta suicida a soli ventisei anni, Filomarino aderisce a un’esistenza inquieta e febbrile mettendola a confronto con l’atmosfera ovattata degli anni del regime. Tutto è rigido e sbiadito, con il padre di lei che marcisce nello studio e con i potenziali innamorati che sono guidati più da una forma esasperata di auto-controllo che dalla passione; mentre al contrario Antonia vorrebbe fortissimamente vivere, vorrebbe scardinare l’esistere, ma istintivamente e quasi senza intenzione, non sapendo che ogni smottamento d’equilibrio nella società del Ventennio è impossibile. Infatti, anche se non vi sono riferimenti diretti al regime fascista, Filomarino sembra alludervi con costanza, arrivando a disegnare una sorta di cappa invisibile che irrigidisce l’esistere e che rende, ad esempio, inaccettabile il trasporto con cui Antonia bacia appassionatamente una sua amica.

Niente scandali comunque in Antonia: la giovane viene sempre tenuta a freno e controllata, tanto che quando esagera sono proprio le persone che dovrebbero esserle più vicine a giudicarla negativamente (si pensi ancora all’episodio dell’amica che, una volta ricevuto il bacio da Antonia, scappa a gambe levate).
Solo in montagna o nella solitudine della sua stanza la giovane ha l’impressione a tratti di trovare la piena espressione del vivere o, almeno, di potersi concedere di essere sincera con se stessa e con l’abisso esistenziale. I monti dalla vegetazione rada e dall’aria austera regalano un senso di vuoto, in cui la protagonista si muove come nei meandri della sua mente, mentre la stanza non è mai abbastanza accogliente e calda – grazie sempre alla fotografia di Sayombhu Mukdeeprom – e, anzi, è disperatamente ingannevole, come dimostra la mirabile sequenza in cui Antonia, piangendo, si dimena nuda sul letto mentre si sente come commento extradiegetico la meravigliosa canzone di Piero Ciampi Va. In questo frammento c’è la sintesi perfetta del film e la dimostrazione dell’ottimo lavoro fatto da Filomarino: si può e si deve osare, anche e soprattutto nel nostro ovattato sistema cinematografico.

Info
La scheda di Antonia sul sito del Torino Film Festival.
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