The Rolling Stones Olé Olé Olé

The Rolling Stones Olé Olé Olé

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Racconto didascalico di un importante evento musicale, che non aggiunge molto a una pluridecennale, entusiasmante narrazione musicale, The Rolling Stones Olé, Olé, Olé! sfrutta col minimo sforzo il valore aggiunto legato al linguaggio del rock, e alla sua naturale presa sul suo target.

Hasta el concierto siempre

Inizio 2016: i Rolling Stones intraprendono un lungo tour attraverso dieci città latinoamericane, destinato a culminare in uno storico concerto a l’Avana, che rappresenterà il primo evento rock di queste dimensioni ad essere ospitato dalla capitale cubana. Il documentario di Paul Dugdale segue il gruppo attraverso le varie esibizioni, parallelamente ai preparativi per l’ancora non certa data cubana… [sinossi]

Si potrebbe discutere a lungo sulla “necessità” o meno di un documentario come questo The Rolling Stones Olé, Olé, Olé!, in uscita in sala dopo un precedente passaggio televisivo, oltre alla presentazione nel corso dell’ultima Festa del Cinema di Roma: dal punto di vista del fan, probabilmente, il racconto del tour dell’immarcescibile band inglese attraverso l’America Latina non rappresenterà che una ulteriore occasione per vedere i propri beniamini davanti e dietro le quinte, non aggiungendo che qualche elemento di curiosità a una narrazione biografica di cui si è già abbondantemente (e felicemente) edotti. Da un’ottica puramente cinematografica, altresì, il film di Paul Dugdale non dice granché di nuovo nel consolidato filone del documentario musicale, seguendo un canovaccio abbondantemente sperimentato (fatto di un’alternanza di interviste, frammenti di momenti privati, elementi di colore locale ed esibizioni live), e culminando, come annunciato, nell’evento che ha rappresentato l’istanza principale per la sua realizzazione: l’esibizione a l’Avana il 25 marzo 2016, primo grande evento rock ad essere ospitato in territorio cubano.

Un elemento che in effetti differenzia almeno in parte questo documentario da tanti prodotti analoghi è proprio il sentore di attesa, costruito lungo gran parte della sua durata, per quello che fin dall’inizio viene descritto come un evento che è già parte della storia del rock, e che certo segna una tappa importante per l’evoluzione del costume (e della cultura di massa in generale) in un contesto complesso come quello cubano. Il racconto delle tappe del tour, rigidamente e didascalicamente scandito dalle immagini del film, si alterna ai febbrili preparativi per l’esibizione cubana, al nervosismo e allo scetticismo dello staff della band, alle contingenze che sembrano lavorare tutte contro la riuscita dell’evento (la visita di Obama in quasi contemporanea prima, le lamentele del Vaticano per l’esibizione durante il venerdì santo poi). Se la descrizione della tensione della band e dei suoi collaboratori, per un evento rimasto in bilico praticamente fino al giorno della sua realizzazione, serve in parte a spezzare la ripetitività della struttura del documentario, l’esibizione non regala tuttavia la catarsi desiderata: al di là della breve ripresa del backstage pre-concerto, e del discorsetto iniziale di Jagger (“le cose stanno cambiando, siete pronti?”, urla il cantante), l’evento cubano è ripreso esattamente come gli altri concerti del tour. Risultando sì trascinante e pieno di furia rock, ma non in modo diverso dalle altre esibizioni.

Meglio, allora, concentrarsi sulle pur presenti curiosità inedite che il film offre al pubblico degli Stones: da quelle più sostanziali, e direttamente pertinenti al tema del documentario (il fenomeno dei Rolingas, sottocultura underground ispirata alla band, sviluppatasi in Argentina negli anni ‘60, durante la dittatura), a quelle più estemporanee e legate al colore (il non sempre efficace “bastone antipioggia” di Keith Richards); per proseguire con alcuni aneddoti sui due membri del gruppo tradizionalmente meno sotto i riflettori, tra cui spicca la dichiarata filosofia “altruista” nel modo di suonare di Charlie Watts (“il mio compito è quello di permettere agli altri di suonare al meglio”, dice il batterista).
Dirigendo il tutto in modo diligente, ma anche sostanzialmente anonimo, sacrificando a tratti l’efficacia del quadro alle esigenze di completezza e sintesi (incredibilmente breve, e sostanzialmente superfluo, il racconto della tappa uruguaiana del tour), Paul Dugdale non prova nemmeno a stabilire un filo conduttore “narrativo” al documentario, con l’eccezione del già citato senso di attesa per l’evento cubano; limitandosi ad assemblare il materiale a sua disposizione nel modo più risaputo, e rinunciando a qualsiasi velleità di indagine personale.

C’è poi (ovviamente) tanta musica in The Rolling Stones Olé, Olé, Olé!: tanta, sul totale del minutaggio del film, anche se paradossalmente se ne vorrebbe ancora di più. Laddove le interviste e gli aneddoti lasciano il posto alle note, laddove a parlare è l’ancora esplosivo mix di blues/rock che i quattro ultrasettantenni esprimono sul palco, il fan finisce (inevitabilmente) per sostituirsi allo spettatore. Sommando, com’è ovvio, la sua enorme carica di coinvolgimento emotivo a una narrazione musicale lunghissima ed entusiasmante, che qui (pur colta solo attraverso il filtro di uno schermo) non perde un grammo della sua potenza. Il naturale “valore aggiunto” offerto dal genere, legato ad un linguaggio come quello del rock, e mirato direttamente al suo target (il pubblico della band) viene sfruttato col minimo sforzo. Viene proprio da dire, ancora e sempre, “It’s only rock and roll, but I like it”: e questo emblematico passaggio è forse la risposta migliore all’interrogativo che ci si poneva in apertura, sulla “necessità” o meno di un prodotto come questo.

Info
La scheda di The Rolling Stones Olé Olé Olé sul sito di Wanted Cinems.
Il trailer di The Rolling Stones Olé Olé Olé.
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