Mrs. Fang

Mrs. Fang

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L’occhio di Wang Bing testimonia della vita di un villaggio dedito alla pesca, soffermandosi sulle ultime esalazioni dell’esistenza di una donna, allettata nella casa di famiglia. Si tratta di Mrs. Fang, che dà il titolo alla nuova opera del regista, Pardo d’Oro a Locarno 70.

La nave che affonda

Negli ultimi otto anni della sua vita, Fang Xiuying, una contadina nata a Huzhou (Fujian) nel 1948, ha sofferto di Alzheimer. Nel 2015 i sintomi della malattia erano già molto avanzati e la terapia – somministratale in una casa assistita – inefficace, così che nel giugno 2016 le cure sono state interrotte e lei rispedita a casa. Il film segue le sue vicissitudini nel 2015 e poi gli ultimi dieci giorni della sua vita nel 2016. [sinossi]

“Ho concepito Mrs. Fang mentre stavo girando un precedente film, nel 2015. Ho conosciuto una donna e ho fatto dei sopralluoghi nel suo villaggio, immaginando di fare un documentario su quella gente, ma poi mi sono soffermato sulla madre della persona che avevo conosciuto. Il progetto è rimasto in sospeso finché quella donna mi ha telefonato, dicendo che sua madre era gravemente malata e le rimaneva poco da vivere. Così mi sono precipitato nel luogo e ho raccolto gli ultimi giorni di vita della donna e dei famigliari al suo capezzale.”
Con queste parole Wang Bing ha raccontato la genesi del film Mrs. Fang, presentato in concorso al Locarno Festival. Parole già sentite per molti altri suoi film. Ogni sua opera nasce sul ‘set’ di un’altra opera, da personaggi già ripresi, da loro conoscenti o famigliari, o da persone conosciute per caso. Il cinema di Wang Bing è un flusso ininterrotto di persone, legami, parentele, che si snoda o si dirama in un percorso attraverso le parti marginali dello sterminato territorio cinese. “Non so bene cosa sia un film”, aggiunge il regista. E i confini tra i suoi film e la realtà sono in effetti estremamente labili e precari; nei suoi percorsi casuali all’interno del grande mosaico cinese, tutto può essere cristallizzato in un formato cinematografico.

Nella sua empatia poetica verso gli ultimi, gli emarginati dal sistema capitalistico, Wang Bing giunge ora a occuparsi di un’altra forma, estrema, di marginalità, quella dei malati terminali, del coma irreversibile, delle persone che sono prossime al congedo con la vita, cogliendo ancora una volta la loro grande dignità. Il volto della signora Fang è un volto sereno. Wang Bing apre il film proprio su un suo primo piano, lei che non parla, con quei suoi denti sporgenti. Sentiamo delle voci fuori campo, pensiamo a un letto d’ospedale ma il controcampo chiarisce subito la situazione: siamo in famiglia, nella piccola abitazione di un villaggio di pescatori. E Wang Bing presenta ogni personaggio con una scritta didascalica, chiarendo chi sia e quale sia il suo ruolo all’interno della famiglia o del villaggio. Durante il film il regista indugerà ancora sul volto della donna moribonda, con lunghe ed estenuanti inquadrature.
La signora Fang ha una coperta colorata, dai colori vivaci. Sembra in contrasto, nella nostra concezione occidentale che vuole colori scuri e sobri, rispetto all’afflizione e al dolore di una simile situazione. Nella situazione famigliare, che Wang Bing inquadra nel contesto più ampio delle attività tradizionali di pesca notturna nel villaggio umido e piovoso, la presenza di una donna in fin di vita non comporta traumi particolari. La routine domestica procede, tutto scorre. In casa si fa sempre un gran vociare, mentre qualcuno la tiene per mano. Si parla peraltro, e in sua presenza, della sepoltura imminente della signora, di quale sia la soluzione cimiteriale migliore: momenti di alto cinismo, secondo un punto di vista occidentale o occidentalizzato. Secondo anche la visione di Ozu in film come Viaggio a Tokyo, dove alla dipartita dell’anziana signora succede una squallida discussione delle parenti su come spartirsene i vestiti. Ma nel caso raccontato da Wang Bing si tratta più verosimilmente di pragmatismo cinese, di una filosofia di continuità tra vita e morte, di accettazione serena della seconda. Non a caso un criterio di scelta della lapide si basa sulla filosofia feng shui.

Filmare la morte: non è la prima volta che il cinema lo fa o arriva quasi al limite di farlo. A volte in modo discutibile, spesso con accuse di cinismo necrofilo. Ma qui l’operazione, nella sua naturalezza, non potrà dare adito a contestazioni. Wang Bing non mostra l’attimo del decesso, quando avviene, se ne discosta per pudore, per rispetto dei famigliari e della stessa donna. Il suo punto di vista fino ad allora era quello del capezzale, con la macchina da presa assimilata allo sguardo e alla posizione stessa dei famigliari. La morte appartiene al ciclo naturale delle cose, e la vita è come una barchetta che si disperde nel fondale di un lago tappezzato di ninfee.

Info
Mrs. Fang, la scheda sul sito del festival di Locarno.
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