Innocent Blood – I vampiri al cinema: L’appetito (sessuale) vien mordendo

Innocent Blood – I vampiri al cinema: L’appetito (sessuale) vien mordendo

La figura del vampiro ha sempre rappresentato una metafora della dominazione sessuale, a partire dalla Carmilla di Le Fanu fino agli incroci con cinema horror ed erotico.

Era solita gettarmi le braccia al collo e attirarmi verso di sé, mormorandomi all’orecchio: «Mia cara, il tuo piccolo cuore è ferito; non giudicarmi crudele perché obbedisco all’irresistibile legge della mia forza e della mia debolezza. Se il tuo piccolo cuore è ferito, anche il mio sanguina con il tuo. Nell’estasi della mia grande umiliazione io vivo nella tua calda vita e tu morirai… morirai dolcemente… nella mia vita. Non posso farne a meno; come io mi avvicino a te, così tu, a tua volta, ti accosterai ad altri, e capirai l’estasi di questa crudeltà che è sempre amore; così, per ora, non cercare di sapere più niente di me e di te, ma abbi fiducia in me con tutta la tua anima appassionata» [1]

Al di là di quanto si possa supporre generalmente, l’attribuzione di caratteristiche spiccatamente sessuali al mito del vampiro non appartiene a un’epoca troppo recente: la credenza popolare vedeva, fin dall’inizio, la carica di fascinazione con cui il demone attirava a sé la sua preda come una metafora del relazionarsi intimo fra le persone. Dopotutto l’atto di possessione del vampiro ha in sé una componente erotica non indifferente e innegabile: il morso sul collo, tanto per cominciare, è una delle più classiche immagini di sopraffazione sessuale dell’uomo sulla donna. E anche la struttura narrativa prevede, nella maggior parte dei casi, un’azione del vampiro sulle donne o della vampira sugli uomini. Sfugge da questa classificazione, e sfonda le porte dell’ipotesi lesbica, proprio la Carmilla di cui in apertura potete leggere uno stralcio particolarmente significativo: Le Fanu condensa, in questo splendido racconto, una serie pressoché infinita di rimandi all’ideale sessuale omoerotico, che troverà nel cinema una sua sublimazione definitiva. È interessante notare, innanzitutto, come si abbia a che fare, nella stragrande maggioranza dei casi, con digressioni sul lesbismo, mentre è assai più raro imbattersi in riletture gay del mito di Dracula e affini (viene in mente, al volo, soprattutto la scena di seduzione omosessuale in Per favore, non mordermi sul collo di Roman Polanski); annotazione tutt’altro che banale sul pubblico a cui fanno riferimento solitamente le produzioni horror.
Perché di sorelline di Carmilla (la cui storia sul grande schermo è apparsa più volte, a partire da Il sangue e la rosa di Roger Vadim) è davvero pieno il cinema: dalle tre vampire che dissanguano Keanu Reeves/Jonathan Harker nel Dracula di Coppola fino a giungere alla piccola Eli protagonista dello splendido Lasciami entrare di Tomas Alfredson, il ruolo femminile nelle pellicole dedicate ai demoni succhiatori di sangue è divenuto sempre più importante, centrale, fondamentale. La Anne Parillaud che si innamora dell’onesto poliziotto Anthony LaPaglia in Amore all’ultimo morso di John Landis, Gianna Maria Canale novella Erzebeth Bathory ne I vampiri di Riccardo Freda – il film che segnò la (ri)nascita del cinema horror in Italia –, Catherine Deneuve che perde un compagno (David Bowie) e tenta di sedurre la dottoressa che potrebbe salvarla (Susan Sarandon) in Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott, sono tutti esempi paradigmatici di quanta importanza ricoprano le fattezze femminili nello sviluppo della cinematografia vampiresca.

Gary Oldman che raggiunge l’orgasmo, letteralmente, nel cibarsi della malcapitata Lucy – citiamo con una certa frequenza, in questo paragrafo, il film di Francis Ford Coppola per il semplice motivo che ci sembra uno dei più puntuali nel cogliere la sottile angoscia erotica che pervade l’universo dei vampiri – è il simbolo stesso dell’esperienza demoniaca. Il vampiro, non-umano che vive nel mondo degli uomini e di essi si nutre, porta con sé una carica di belluino vigore, di tensione inespressa e violenta, che non può non essere immediatamente ricondotta a una metafora sessuale: non a caso molte della parodie del genere hanno puntato l’accento proprio su una debordante carica erotica. Nel curioso La brillante carriera di un giovane vampiro di Jimmy Huston (1987), il giovanissimo Robert Sean Leonard vive con disinvoltura la sua nuova vita da succhiasangue, ma trova un ostacolo nella difficoltà di baciare; nel mediocre Vampire Cop Ricky di Lee Si-myung (2006) il Nostro non può più avere un rapporto, e questo lo frustra; in Dracula morto e contento (1995), diretto da un Mel Brooks oramai privo di idee, l’unico scopo del conte interpretato da Leslie Nielsen è quello di accaparrarsi la giovane Lysette Anthony; in Vampiro a Brooklyn di Wes Craven (1995), con ogni probabilità il punto più basso della carriera del regista di Le colline hanno gli occhi, Nightmare e Scream, l’istrionico Eddie Murphy approda nella Grande Mela con il chiodo fisso di doversi accoppiare; perfino il nostrano Zora la vampira dei fratelli Manetti (2000), bizzarro pastiche di generi probabilmente sottostimato, non sfugge a questa regola, con il decrepito Dracula che immigra clandestinamente a Roma per trovare giovani donzelle da vampirizzare.

Per quanto si tratti quasi sempre di opere del tutto dimenticabili, prive della profondità necessaria per affrontare realmente il tema della relazione tra il mito del vampiro e la sessualità, è interessante notare come ogni storia di non-morti che si rispetti non manca di riflettere sull’aspetto più prettamente legato al romanticismo, vale a dire l’amore – sia esso declinato in chiave platonica o fisica – in ogni sua forma. Ci sembra doveroso chiudere questo paragrafo citando i due film che probabilmente meglio di ogni altro hanno affrontato la questione vampiresca da un punto di vista strettamente sessuale, vale a dire Vampyros Lesbos di Jesus Franco e Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete di Paul Morrissey. Il primo prende il Mito e lo trasforma in caleidoscopio visivo, in cui le derive psichedeliche degli anni ’60 trovano una loro sublimazione: un percorso diseguale e magmatico, in cui il tema del nosferatu così caro a Franco (autore, tra gli altri de Il conte Dracula, La Fille de Dracula, La Comtesse noire, Vampire Blues e Vampire Junction) si lega a una delle esperienze cinematografiche più libere e liberatorie di quegli anni, pur senza dimenticare un contrappunto funereo che identifica allo stesso tempo il destino di morte del vampiro con quello di un movimento oramai già alle prese con il riflusso. Il secondo è una divertita sarabanda satirica, architettata da Morrissey sfruttando nel migliore dei modi tutti i trucchi del cinema avantgarde della New York della Factory; a questo si lega però una fulgida distorsione produttiva, con irrequieti fantasmi della commedia italiana e del cinema europeo che dissacrano di fatto la pellicola, innalzandola al di là del tempo e dello spazio. Il belloccio comunista Joe Dalessandro che mette fine alle scorribande del Dracula/Udo Kier nell’Italia fascista degli anni ’30 è di per sé metafora politica, artistica e sociale così penetrante e sincera nella sua semplicità da non aver bisogno di ulteriori esplicazioni.

Note
1. Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla.

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