Copia conforme

Copia conforme

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Il regista che negli ultimi decenni ha dimostrato di sapere capire meglio il dispositivo ottico che presiede allo sguardo occidentale, ovvero la prospettiva centrale, doveva prima o poi fare i conti con la sua “culla” toscana: Copia conforme di Abbas Kiarostami, in concorso al Festival di Cannes 2010.

Quando la prospettiva è davvero centrale

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro in Italia, lo scrittore inglese James tiene una conferenza sulla stretta relazione tra l’originale e la copia nell’arte. In Italia l’uomo conosce una giovane gallerista d’origine francese con la quale trascorre qualche ora per le stradine di un piccolo paese del sud della Toscana. Quando la donna per divertimento lo spaccia per suo marito, un uomo spesso assente, lo scrittore si presta al gioco… [sinossi]

Potrebbe sembrare bizzarra, o fuori posto, l’idea di un film di Kiarostami fuori dall’Iran. Eppure, è facile convincersi che non solo non è affatto strano che Kiarostami faccia un film in Toscana – ma che era anzi addirittura inevitabile. Prima o poi, il regista che negli ultimi decenni ha dimostrato di sapere capire meglio (esaltandolo e distruggendolo allo stesso tempo) il dispositivo ottico che presiede allo sguardo occidentale, ovvero la prospettiva centrale, doveva fare i conti con la sua “culla” toscana. Basta guardare praticamente anche solo due minuti a caso dei suoi film per rendersi conto di quanto sottilmente e caparbiamente Kiarostami abbia sempre saputo giocare con il famoso “triangolo” della prospettiva albertiana. Ovvero, quel dispositivo che permette di ottenere la copia conforme (o quasi) di ciò che uno sguardo qualsiasi in un punto qualsiasi si ritrova davanti.
Già dalla prima inquadratura, abbiamo il totale di una scrivania che fa bella mostra di un volume (siamo alla sua presentazione ufficiale, con tanto di autore). L’immagine sulla copertina fa riferimento con ogni evidenza al “cono” della prospettiva centrale. Controcampo a 180°, e abbiamo ancora un’enfatizzazione visuale di questo “cono”: il corridoio centrale tra due schiere di seggiole per il pubblico. Ma ecco che entra Juliette Binoche e il figlio. Lei percorre tutto il “cono” e si sedie davanti. Il figlio invece resta a lato. Ben presto, per seguire l’interazione madre-figlio la simmetria impostata dalla prospettiva e dai campo-controcampo frontali viene sconvolta da inquadrature che inquadrano la Binoche di profilo invece che da davanti (dal punto di vista della scrivania, dove sta lo scrittore). Ecco che l’asse tra il punto di vista e ciò che esso vede viene infranto da qualcosa che ne sta fuori.
Da lì in poi, tutto il film sarà costruito su giochi del genere. La Toscana (Lucignano, in particolare) viene vista solo di sbieco, cioè come qualcosa che si scorge solo ai margini dell’interazione tra il punto di vista e ciò che esso vede anziché essere direttamente e frontalmente guardato. Quando i protagonisti vanno in macchina, non solo percorrono il “cono” della prospettiva anziché piazzarsi nel punto in cui esso si produce otticamente, ma le “pareti” di questo cono (nella fattispecie: gli edifici al lato della strada) si riflettono sul parabrezza sovrapponendosi ai volti dei protagonisti.

Gli esempi di configurazioni analoghe potrebbero prolungarsi all’infinito: Copia conforme non smette mai di trovarne. Ma probabilmente l’esempio principale di questo è la trama del film: l’uomo (lo scrittore, “lo sguardo”) e la donna (la Binoche, l’”oggetto” dello sguardo) cominciano a corteggiarsi, solo per fare scoprire allo spettatore dopo svariate decine di minuti di film che erano già da anni marito e moglie, in seguito caduti in una profonda crisi coniugale. Perché questo trucchetto? Per ridurre le distanze tra l’originale e la copia conforme, tra la prima irripetibile volta (l’alberghetto della prima notte di nozze…) e l’ennesima, tra il fiorire di un amore e il suo crollo. Il film infatti finirà senza che ci sia dato di sapere se il tentativo della Binoche di riconquistare il marito sia andato a buon fine. Insomma: la relazione tra lo sguardo e il suo oggetto non è mai stabile, è sempre in una tensione che non finisce mai di percorrere l’immagine per tranquilla che essa sia (e le immagini di Kiarostami notoriamente lo sono). La relazione che intercorre tra lo sguardo e ciò che esso vede, come diceva Jean-Luc Nancy (filosofo che non a caso ha anche scritto un libro a quattro mani insieme a Kiarostami), trema. E le incessanti invenzioni visive di Kiarostami restituiscono in modo giocoso, libero, freschissimo, questo tremare.

Info
Il trailer di Copia conforme.
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