Roma 2011 – Presentazione

Roma 2011 – Presentazione

Roma 2011, sesta edizione dell’evento capitolino, continua ad apparire come una nebulosa, un’architettura in fieri cui manca ancora qualcosa per risultare riconoscibile. Quest’anno poi sull’Auditorium si allunga minacciosa la querelle che ha visto protagonisti l’organizzazione della kermesse romana e il ministro per i Beni e le Attività Culturali Giancarlo Galan.

Prima ancora della sua effettiva presentazione Roma 2011, sesta edizione del Festival Internazionale del Film, aveva generato un numero imprecisato di polemiche: al mai sopito bisticcio a distanza con la Mostra di Venezia si era avvicendata la querelle tra l’organizzazione della kermesse romana e il ministro per i Beni e le Attività Culturali Giancarlo Galan, palesemente contrario all’evento capitolino e intenzionato a non destinargli più denaro dal proprio dicastero. A tutt’oggi la richiesta di 260.000 euro avanzata dal Festival nei confronti del ministero non ha ancora ottenuto una risposta, positiva o negativa che essa sia. Ci si avvicina dunque all’apertura, affidata a Luc Besson e al suo The Lady, biopic dedicato alla figura di Aung San Suu Kyi e alla sua battaglia per la libertà di espressione in Birmania, mentre un buon numero di nubi fanno avvertire la propria minacciosa presenza sull’Auditorium.

Il problema a conti fatti è sempre lo stesso: Roma sta cercando di trovare un proprio spazio definito all’interno dei percorsi festivalieri internazionali, e dopo essersi scontrata a viso aperto con Venezia in passato, sembra aver sposato una politica più minimale, in cui la ricerca della star o del film-evento sta lasciando anno dopo anno posto a un approccio più puramente popolare, nella speranza di vedere le sale della grande struttura di viale De Coubertin affollate di un pubblico interessato e partecipe. Un progetto già insito nella nascita stessa del Festival – quando ancora si parlava di Festa del Cinema – ma che sembrava aver perso di interesse, almeno fino a un paio di anni fa. Si potrebbe sempre aprire il fianco a una discussione sulla necessità di dare vita a un evento culturale dalle dimensioni così mastodontiche, ma equivarrebbe a tornare una volta di più sul luogo del delitto, impossibilitati ad aggiungere ulteriori tasselli a un dibattito che procede senza sosta fin dalla prima edizione svoltasi nell’autunno del 2006.

Se è vero che un festival lo si deve comunque giudicare anche dal valore e dall’importanza della selezione, è doveroso segnalare nuovamente come le première che rappresentavano la voglia di grandeur del red carpet romano siano state drasticamente ridotte: se si esclude il già citato The Lady e Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno di Steven Spielberg (la cui presenza era stata annunciata circa una settimana fa), resta da annotare forse solo la presenza dell’atteso Too Big to Fail, in cui Curtis Hanson racconta la crisi economica statunitense e, notizia dell’ultim’ora, di My Week with Marilyn, con Michelle Williams nella parte della divina Monroe. Il concorso ufficiale, composto di quindici titoli di cui quattro italiani (in rigoroso ordine alfabetico Pupi Avati, Ivan Cotroneo, Pippo Mezzapesa e Marina Spada), presenta molte incognite: dopo uno sguardo rapido fa piacere segnalare il ritorno del norvegese Pal Sleutane – già autore di Posta celere – con Babycall, le rassicuranti figure di Cédric Kahn (Une vie meilleure) e Gu Changwei (Love for Life, con la splendida Zhang Ziyi), e il sudcoreano Juhn Jai-hong, che con Poongsan trasporta sullo schermo una sceneggiatura di Kim Ki-duk.

Dato abituale oramai per i fedeli frequentatori dell’Auditorium, le novità migliori del Festival le riservano due sezioni che sembra persino riduttivo considerare “collaterali”, vale a dire L’altro cinema – Extra e Alice nella città, veri e propri polmoni verdi in grado di dare visibilità a quelle branche dell’arte cinematografica meno rintracciabili nella selezione ufficiale, come il documentario e l’animazione. Il concorso documentari di Extra presenta almeno tre pezzi da novanta: Catching Hell di Alex Gibney, From the Sky Down di Davis Guggenheim e Comic-Con: Episode IV – A Fan’s Hope di Morgan Spurlock. Nomi di riferimento ai quali appare doveroso avvicinare se non altro quello di Sabina Guzzanti (che con Franca la prima dà respiro e voce all’arte di Franca Valeri), ma ci preme sottolineare la presenza di The Dark Side of the Sun, progetto di Carlo Hintermann e della Citrullo International. Nel fuori concorso è invece possibile imbattersi in Project Nim di James Marsh e, in collaborazione con gli Eventi Speciali, in 11 metri, viaggio alla scoperta della vita e della morte del capitano della Roma scudettata nel 1983 Agostino Di Bartolomei, diretto da Francesco Del Grosso. Per quanto invece concerne la sezione dedicata all’infanzia e all’adolescenza, impossibile non dare risalto all’opera seconda di Goro Miyazaki From Up on Poppy Hill, ovviamente prodotta dallo Studio Ghibli, al curioso Death of a Superhero di Ian Fitzgibbon e a Little Glory del belga Vincent Lannoo, già autore dello spassoso mockumentary Vampires.

La panoramica sul festival non può che chiudersi sul focus, curato da Gaia Morrione e dedicato quest’anno al cinema anglosassone: al di là delle novità d’oltremanica, tra cui vale la pena citare quantomeno Trishna di Michael Winterbottom, The Deep Blue Sea di Terence Davies e Tyrannosaur di Paddy Considine, sarà infatti presentata una retrospettiva di dodici titoli che hanno fatto in un modo o nell’altro la storia del cinema inglese. Gli spettatori avranno così modo di (ri)scoprire in pellicola veri e propri capolavori del cinema come A Matter of Life and Death e A Canterbury Tale della premiata ditta Powell/Pressburger, The Last of England di Derek Jarman, The Pumpkin Eater di Jack Clayton e Sunday Bloody Sunday di John Schlesinger.
Al di là di tutto, dispiace semmai notare come un Festival che si è sempre definito paladino del cinema italiano contemporaneo dislochi in giro per la città una vetrina dedicata agli esordi dell’ultimo anno e mezzo, impedendo di fatto a queste opere spesso sconosciute di essere viste dagli addetti ai lavori e dai giornalisti. Non sarebbe stato più giusto trovare loro una collocazione nel cuore pulsante della kermesse? Quale segnale si sta dando con una scelta simile? Nuovamente, dunque, si deve considerare il Festival di Roma come un universo in fieri, ancora indeciso sulla strada da intraprendere, anno dopo anno. La speranza è che a inizio novembre si possa iniziare finalmente a tirare una volta per tutte le somme.

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