Charm
di Ashley Cahill
Charm è una creatura cinematografica ultraindipendente, che il giovane Ashley Cahill dirige, scrive, monta, produce, e interpreta addirittura; un thriller in cui il personaggio principale mette in opera da solo la lotta di classe macellando la borghesia newyorchese, fino a quando il narcisismo non si impadronisce anche di lui. Al Ravenna Nightmare 2012.
Il cameraman e l’assassino
Centrata sulle avventure di un giovane i cui principali interessi sono il cinema, New York e l’omicidio di massa, Charm è una commedia nera low budget su Malcolm, un inglese trapiantato nella Grande Mela stanco di come noioso e antisettico sia diventato tutto. L’uomo decide di prendere in mano la situazione… [sinossi]
Posso uccidere quando voglio,
ma non posso scopare quando voglio
Malcolm, dal film
Sui titoli di testa il termine charm, fascino, viene reciso della c diventando harm, nuocere: un gioco di parole che racchiude al suo interno il senso stesso dell’operazione portata a termine con estrema intelligenza dall’esordiente Ashley Cahill, giovane statunitense tuttofare, che per l’occasione dirige, scrive, produce, monta e recita nella parte del protagonista. Un vero e proprio tour de force autoriale, che da un lato sottolinea qualora ce ne fosse stato bisogno il carattere combattivo e low budget del progetto, ma dall’altro soprattutto evidenzia l’urgenza espressiva di un cineasta alle prime armi che sembra avere già le idee piuttosto chiare. Un altro indizio sulla deriva verso la quale si muoverà il film lo si può desumere dalla dedica, “To Sam Fuller”, che giganteggia su sfondo nero prima dell’incipit: Charm è infatti uno spettro errabondo reso materiale dal cinema di Fuller, dalla nouvelle vague francese, da deliri metropolitani che devono molto al Martin Scorsese di Taxi Driver. Un’opera profondamente cinefila che non si assoggetta mai al potere derivativo della citazione ma ne fa un utilizzo fertile, a suo modo quasi politico.
Già, perché Ashley Cahill flirta in continuazione con un sottotesto politico che permette di contestualizzare Charm anche all’interno di quel filone dell’horror che guarda da vicino ai demoni della contemporaneità: per quanto sia lo stesso protagonista ad affermare di “non aver mai visto finora le cose in un’ottica classista”, la straripante vena omicida di Malcolm nasce dalla necessità di distruggere la borghesia newyorchese del Lower East Side per ripopolare il quartiere di lavoratori, artisti, proletari, dropout, fauna multicolore che aveva reso la zona tra gli anni Sessanta e Settanta l’epicentro culturale non solo della costa Est degli Stati Uniti, ma dell’intero mondo occidentale. Per praticare l’annientamento fisico dei suoi “nemici” Malcolm studia un manifesto programmatico che prevede la ripresa costante delle sue gesta da parte di una mini-troupe composta da un cameraman e da un regista: diventa dunque attore principale del gioco al massacro – nel vero senso della parola – attraverso il quale gettare le basi per una ipotetica rivoluzione sociale. Una rivoluzione che mescola necessità vagamente “popolari” con un posa narcisista e intellettuale: Malcolm cita Shakespeare, il cinema di Fuller, Godard e Truffaut, Clint Eastwood, Martin Scorsese; si infuria quando in sala spettatori poco attenti lasciano acceso il cellulare. La sua presa di posizione edonista contro l’abiezione culturale del mondo che lo circonda (“hanno chiuso il CBGB, e invece restano aperti troppi locali che andrebbero chiusi” si lamenta, facendo riferimento al mitico club che vide avvicendarsi sul suo palco i più importanti nomi del punk e del post-punk) è sempre in bilico tra intento collettivista e mero sfogo individuale contro i vizi endemici della società del Capitale.
Per rendere l’urgenza di un prodotto di questo tipo Ashley Cahill si affida al mockumentary, architettando un falso documentario palesato fin dalla scelta di apparire in scena in prima persona vestendo i panni del protagonista – un cortocircuito logico che fa tornare alla mente il Woody Allen di Zelig – ma non per questo meno efficace. Fin dal primo omicidio in scena, quello di una ragazza nel suo appartamento, Charm si segnala come una discesa agli inferi in cui l’atto bestiale e l’istinto venatorio derivano da una precisa volontà e non da un vaga necessità umorale: Cahill sceneggia con grande cura il tutto, innervando l’azione con una dose incontrollata di dialoghi irresistibili, in cui si parla apertamente dell’omicidio di massa come dell’unica soluzione al proliferare dell’ideologia dominante, e si pontifica su tutto, dal cinema all’arte di cucinare la pasta al sugo. Grazie anche alla verve interpretativa di un gruppo di attori pressoché sconosciuti (oltre a Cahill, strano mix tra Travis Bickle e Jean-Paul Belmondo, vale la pena citare quantomeno Jennifer Murray, Rebecca Dayan e James DeBello) Charm riesce a catturare l’attenzione per l’ora e mezzo o poco meno sulla quale si dipana la storia: alcune sequenze, come l’irruzione a casa della donna costretta sulla sedia a rotelle o le battute sulla necessità per un serial killer di non essere troppo precursore nei tempi, lasciano profondamente il segno nella memoria, trascinando in più di un’occasione lo spettatore nei pressi di un riso liberatorio, crudele e dissacrante in quanto capace sempre di dissacrare innanzitutto se stesso senza lasciarsi mai prendere la mano dalla goliardia.
Perché resta, anche nel delirio superomistico del protagonista, una vena di riflessione politica: Malcolm inizia a perdere di vista l’obbiettivo primario – ovvero la rivoluzione – nel momento in cui antepone i propri interessi personali (la vendetta nei confronti dei balordi che hanno picchiato la sua ragazza Sofia) al quadro complessivo del “manifesto programmatico”. Un congegno cinematografico sopraffino, in bilico sul crinale che distingue – spesso erroneamente – l’autorialità dalle esigenze “popolari”, messo in scena con una consapevolezza tecnica e teorica che sopravanza il risibile budget a disposizione, facendo di necessità virtù a tal punto da trasformare le ristrettezze economiche in un punto di forza della messa in scena. Una sorpresa piacevole, un’opera destinata probabilmente ad alimentare nei prossimi anni un piccolo ma resistente culto cinefilo.
ps. A dir poco imperdibile il cameo di Kirsten Dunst nella parte di se stessa o, come recitano i credits ufficiali con toni à la Pixies, “Lady in the Elevator”.
- Genere: mockumentary, thriller
- Titolo originale: Charm
- Paese/Anno: USA | 2012
- Regia: Ashley Cahill
- Sceneggiatura: Ashley Cahill
- Fotografia: Ryan Jackson-Healy
- Montaggio: Ashley Cahill
- Interpreti: Ashley Cahill, Dominic Ciccodicola, James DeBello, Jennifer Murray, Kirsten Dunst, Rebecca Dayan, Ryan Jackson-Healy, Steve Carreri
- Colonna sonora: Angus Havers, Jacques Brautbar
- Produzione: Coma Productions
- Durata: 86'
