C’era una volta a New York
di James Gray
C’era una volta a New York compone un ulteriore tassello della poetica umanista di James Gray. Un affresco livido della Grande Mela d’inizio Novecento, con Joaquin Phoenix e Marion Cotillard.
Land of Freedom
1921. Ewa e sua sorella Magda lasciano la natale Polonia per la terra promessa, New York. Arrivati a Ellis Island, Magda, colpita da tubercolosi, è messa in quarantena. Ewa, sola e indifesa, cade nella rete di Bruno Weiss, un magnaccia senza scrupoli. Per salvare sua sorella, Ewa è pronta a ogni sacrificio e accetta rassegnata di prostituirsi. L’arrivo di Orlando, illusionista e cugino di Bruno, le dona nuova fiducia e speranza di giorni migliori. Ma la ragazza non ha fatto i conti con la gelosia di Bruno… [sinossi]
Per quanto non rappresenti la vetta della sua straordinaria cinematografia, C’era una volta a New York rappresenta con ogni probabilità il progetto più personale di James Gray, tra i più grandi autori del cinema statunitense contemporaneo: da sempre affascinato dalle storie incentrate sulla comunità russa di Brighton Beach, a Brooklyn – dove lo stesso regista è nato e cresciuto – Gray sta componendo pezzo dopo pezzo un puzzle articolato e affascinante su un microcosmo culturale integrato e allo stesso tempo alieno al resto dell’universo newyorchese. A partire dall’esordio Little Odessa e proseguendo con The Yards (l’opera seconda, unico tra i suoi film a non aver potuto godere di una distribuzione italiana, se non sul mercato home video), We Own the Night e Two Lovers, James Gray ha tracciato un percorso lineare, in grado di raccontare un’America altra, mondo a parte che vive di regole proprie e di un proprio statuto etico.
Proprio per questo acquista ancora maggiore rilevanza un titolo come C’era una volta a New York, in corsa per la conquista della Palma d’Oro alla sessantaseiesima edizione del Festival di Cannes, e non solo per l’ambientazione storica, nel pieno dell’emigrazione dall’est Europa verso la “terra delle libertà”: è stato proprio il regista quarantaquattrenne ad ammettere di aver tratto ispirazione, per la triste vicenda di Ewa e di sua sorella Magda, da alcune foto scattate da suo nonno, arrivato dalla Russia a Ellis Island nel 1923, e dagli aneddoti di uno dei suoi bisnonni, tenutario di un bar nel Lower East Side, più o meno negli stessi anni.
Eppure, nel momento di portare sullo schermo l’ennesima riflessione sull’ineluttabilità dell’amore, sulla confusione tra questo sentimento e il desiderio di predominio e sottomissione, e sul tema del delitto e del castigo, Gray ha scelto di abbandonare il mondo degli ebrei russi e di concentrare la propria attenzione su una fragile ma volitiva ragazza polacca (e cattolica): il personaggio di Ewa, interpretato da una convincente Marion Cotillard, rappresenta a suo modo uno scarto sensibile all’interno della cinematografia di Gray, fino a questo momento declinata decisamente al maschile. Perno del triangolo scaleno composto anche da Bruno e da suo cugino Orlando the Magician/Emile, Ewa Cybulski è vittima e carnefice allo stesso tempo: vittima di un mondo crudele, che la pone sempre in una condizione di svantaggio nei confronti dell’universo sociale che la circonda (rischia l’espulsione da Ellis Island e il rimpatrio in Polonia, è costretta a prostituirsi e a recitare nel teatrino d’avanspettacolo per soli uomini gestito da Bruno, viene scacciata dalla casa della zia per un supposto comportamento immorale tenuto durante il viaggio per nave, e deve anche sfuggire alla polizia che la ritiene colpevole di omicidio), la giovane donna di Katowice comanda allo stesso tempo le azioni, i pensieri e le ossessioni di Bruno e Orlando.
Ed è proprio il primo dei due, interpretato da un Joaquin Phoenix come sempre magistrale e qui alla quarta collaborazione consecutiva con il regista, a rubare completamente la scena. Il suo personaggio, tormentato da un passato con il quale non riesce a venire a compromessi, dominato da un senso di colpa atavico per la vita che infligge a se stesso e alle sue “protette”, rappresenta la quintessenza stessa della filosofia di Gray.
C’era una volta a New York, pur pulsando di un cuore apertamente pucciniano, con rimandi puntuali a La rondine e La fanciulla del west all’interno di una colonna sonora che esalta lo spirito romantico ottocentesco del regista con stralci di Richard Wagner e Giuseppe Verdi, è una volta di più un detour in direzione della poetica di Fëdor Michajlovic Dostoevskij. Anche Ewa Cybulski, come già Leonard Kraditor e altri prima di lui, è infatti un “animale che si abitua”: anche se la sua personale battaglia contro le avversità della vita potrà vederla forse vincitrice, il suo destino è quello di perdere per sempre la verginea purezza che la ammantava al suo arrivo davanti alla Statua della Libertà.
Nel suo viaggio all’interno dell’uomo e delle sue disperate ossessioni, Gray decide volontariamente di lasciare sullo sfondo New York, vero e proprio non-luogo in cui gli immigrati si muovono sospettosi, di soppiatto, temendo una libertà promessa ma mai realmente raggiungibile per via dei legacci che li tengono avvinti a radici troppo intime e dolorose per poterle abbandonare. Ciononostante, a cospetto del passato Gray dimostra meno forza espressiva e visiva rispetto alle opere precedenti: qualcosa viene a mancare, per quanto si tratti di dettagli, nei confronti della annichilente potenza di strazianti peregrinazioni familiari come quelle portate in scena in Little Odessa o Two Lovers. Soprattutto nella prima metà C’era una volta a New York mostra una vitalità alterna, forse indispensabile per mettere a fuoco con precisione personaggi complessi come quelli di Ewa e Bruno, ma allo stesso tempo dispersiva per quel che concerne l’aspetto puramente umorale del film.
A tutto ciò fa da contraltare una seconda parte in continuo crescendo, che inanella sequenze memorabili una dopo l’altra (il faccia a faccia sul pianerottolo, la fuga nelle fogne) e regala un’inquadratura finale che lascia senza respiro e conferma una volta di più, qualora se ne sentisse il bisogno, la straripante levatura autoriale di James Gray. Autore di un cinema che non è più grande della vita, ma ne condivide spasimi, tumulti e agognate pacificazioni.
Info
Il sito francese di C’era una volta a New York.
La pagina facebook di C’era una volta a New York.
- Genere: drammatico, sentimentale
- Titolo originale: The Immigrant
- Paese/Anno: Francia, USA | 2013
- Regia: James Gray
- Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
- Fotografia: Darius Khondji
- Montaggio: John Axelrad, Kayla Emter
- Interpreti: Adam Rothenberg, Angela Sarafyan, Antoni Corone, Dagmara Dominczyk, Ilia Volokh, James Colby, Jeremy Renner, Jicky Schnee, Joaquin Phoenix, Maja Wampuszyc, Margaret Benczak, Marion Cotillard, Matthew Humphreys, Patrick Holden O'Neill, Patrick Husted, Peter McRobbie, Robert Clohessy, Sam Tsoutsouvas, Tony Ward, Yelena Solovey
- Colonna sonora: Christopher Spelman
- Produzione: Keep Your Head Productions, Wild Bunch, Worldview Entertainment
- Distribuzione: Bim Distribuzione
- Durata: 130'
- Data di uscita: 16/01/2014

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