Ex Machina

Ex Machina

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Esempio di fantascienza introspettiva e volutamente anti-spettacolare, Ex Machina di Alex Garland punta alla riflessione filosofica, ma annega in parte le sue ambizioni in un eccesso di leziosità registica.

Io sono il mio Dio

Impiegato in una grande azienda che si occupa di gestire il più importante motore di ricerca mondiale, Caleb vince una specie di concorso a estrazione, il cui premio è la possibilità di passare una settimana intera nel buon retiro del suo misterioso capo, Nathan. Il boss vive in una villa immersa nel verde, concepita come un bunker. Qui Nathan sottopone Caleb a un esperimento: fare la conoscenza di una avvenente intelligenza artificiale… [sinossi]

Il fascino e l’eleganza dell’operazione condotta dallo sceneggiatore Alex Garland con Ex Machina, suo esordio registico, non si possono certo negare. Un esempio di fantascienza che evita di cadere nelle tentazioni dell’action spettacolare o in fracassonate post-kubrickiane come l’ultimo Nolan, merita anzi tutta l’attenzione possibile. Tanto più se, come accade in Ex Machina, si decide di affrontare una sfida di non poco conto, lavorando in una sola location, ovvero la villa-bunker del boss del più potente motore di ricerca al mondo (interpretato da Oscar Isaac) e con appena tre personaggi: il suddetto boss, un suo dipendente che ha vinto un viaggio-premio per conoscere il capo e una affascinante intelligenza artificiale. Se poi si decide di riflettere sullo spirito creatore di un uomo e sulla sua volontà di potere nei confronti delle creature che egli ha “portato” al mondo – in fin dei conti, non solo la ragazza-automa, ma anche lo stesso impiegato sono entrambi suoi “figli” – allora la questione sembra farsi davvero interessante. Quel che però alla lunga finisce per mancare in Ex Machina è il nucleo del discorso, è la capacità di portare le sue premesse fino alle estreme conseguenze.

Assistiamo dunque alla settimana di incontri tra l’impiegato Caleb e l’intelligenza artificiale Ava – supervisionati in una control room dal dio Nathan – che imparano a conoscersi e a studiarsi vicendevolmente e finiscono per confidarsi amore reciproco e volontà di ribellione nei confronti del loro padrone. Tutto finisce dunque per apparire presto troppo prevedibile, mentre Garland lascia cadere con qualche superficialità i mille temi che avrebbe voluto inserire all’interno del film. Non solo l’ossessiva volontà di potere di un uomo e il suo ovvio traslato verso la figura del regista, Garland infatti – mettendo in scena automi solamente femminili – vorrebbe ad esempio ragionare anche sul desiderio del maschile di possedere il femminino in ogni suo aspetto. Del resto, Ava (la cui pronuncia inglese è Eva) è soggiogata, prigioniera, apparentemente prona all’arbitrio del suo creatore, ma in realtà molto più astuta di lui. In più, alludendo chiaramente a Google e unendo il riferimento all’antica mitologia del robot/automa/golem, Garland vuole dirci che la cosiddetta creatura è ora davvero realizzabile perché i motori di ricerca sono in grado di registrare ogni possibile sfumatura dell’umano e, dunque, possono replicarne alla perfezione i comportamenti raggiungendo in qualche modo l’assoluto della conoscenza. Ma, anche qui, lo spunto teorico non ha alcuna attuazione pratica ad eccezione di un paio di dialoghi più o meno brillanti.

Il Frankenstein di Mary Shelley e L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann potrebbero sembrare i nobili progenitori del film di Garland. E, invece, forse Ex Machina lo si deve accostare soprattutto a Non lasciarmi, di cui Garland stesso è stato lo sceneggiatore. In entrambi la perfetta ed eccentrica teoria di un assunto capace di ribaltare certi consolidati topoi del genere fantascientifico finisce per non risolversi, rimanendo preda di un falso movimento che è esemplificato dall'”anemia” dei suoi protagonisti. Anche in Ex Machina vediamo infatti dei personaggi che sono dei semplici vettori, idealizzazioni di ruoli e mai figure concrete, con caratteristiche grossolane e semplicemente abbozzate: il padrone Nathan è irascibile e beve troppo, l’impiegato Caleb è timido e forse vergine, l’automa Ava è una ragazzina annoiata che vorrebbe scappare dal genitore di turno.

Se, dunque, Ex Machina non ci dice nulla di nuovo nel campo della fantascienza filosofica e se, allo stesso tempo, non ci spiazza nella descrizione dei personaggi e dunque nella progressione del racconto, ciò che ci resta è un’eleganza formale senz’altro avvolgente ma, purtroppo, insufficiente. Tanto che alla fine, vien quasi da rimpiangere l’Alberto Sordi di Io e Caterina in cui ovviamente c’era un minor grado di geometria, compensata però dalla carica emotiva e da un opprimente strato d’inquietudine che qui non riesce mai ad emergere.

Info
Il trailer di Ex Machina.
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