La notte del giudizio – Election Year

La notte del giudizio – Election Year

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Terzo capitolo della saga neocarpenteriana, La notte del giudizio – Election Year costruisce una metafora politica di inquietante attualità. La forza della tesi però si disperde a tratti nella pratica di personaggi appena abbozzati e di snodi narrativi grossolani.

Dacci la nostra violenza quotidiana

In passato, nel corso di uno degli sfoghi annuali, Charlie Roan ha perso tutta la sua famiglia. Per questo la donna è diventata una politica: il suo obiettivo è far sì che venga messa fuori legge la pratica brutale dello sfogo, in cui per dodici ore all’anno chiunque è libero di uccidere senza il controllo della polizia. Ora Charlie è candidata alle presidenziali e ha buone probabilità di vincere. Ma tra poche ore comincia il nuovo sfogo annuale e il suo avversario potrebbe essere tentato di farla fuori… [sinossi]

Sicuramente James DeMonaco è un regista che bisogna tenersi stretto. Non ci pare infatti che vi siano altre figure nel cinema americano contemporaneo – ma anche altrove – capaci di rileggere il thriller-horror con declinazione politico-satirica così come facevano negli anni Settanta John Carpenter, George Romero e David Cronenberg. Con la saga di The Purge (in italiano La notte del giudizio), DeMonaco ha trovato tra l’altro la formula giusta, che gli garantisce una invidiabile libertà del discorso metaforico – tanto da permettersi di mettere sotto accusa stavolta anche la Chiesa –  che va ad associarsi a dinamiche produttive simil-blobckbuster (non è un caso che, sin dal primo capitolo, i produttori siano Michael Bay e Jasom Blum, che con la sua Blumhouse Productions è alle spalle di molto horror recente statunitense).
Quel che però in questo terzo capitolo della saga, La notte del giudizio – Election Day, fa fare a DeMonaco un passo indietro rispetto al precedente The Purge: Anarchy, è proprio l’anima carpenteriana: la giustezza di personaggi dotati di sana autoironia e di quel buon cinismo, indispensabile per cavarsela nel mondo distorto in cui ci si trova a vivere. Così, se DeMonaco va tenuto stretto, è anche per un segno dei tempi, che purtroppo non offrono molto di meglio. Eppure, forse, basterebbe poco per fare quel salto capace di issare i suoi film al livello necessario per poterli definire veramente neo-carpenteriani.

La dimensione metaforica di La notte del giudizio – Election Day è in effetti quasi scioccante per quanto appare attuale. Nello sfogo annuale che si svolge poco tempo prima delle elezioni, in cui un esponente dei Nuovi Padri Fondatori (che sono per l’appunto i nuovi Pilgrim Fathers, instauratori di un nuovo ordine e di una nuova morale) si contrappone a una candidata che lotta per l’abolizione di questo rituale orrorifico, vi si legge ovviamente la dimensione di una nuova guerra civile americana che – incarnata nel fenomeno Trump – sembra purtroppo alle porte anche nella realtà. Si aggiunga a questo lo spunto terribile che può essere riassunto nella formula del “chiunque può diventare assassino” – che è comune a tutta la saga, ma che qui prende corpo in maniera evidente nelle ragazzine che assaltano il drugstore del vecchio Joe – e che appare anch’esso sempre più profetico in un mondo in cui il nostro vicino si trasforma in serial-killer da un giorno all’altro (è proprio di queste ore la notizia di un omicida seriale anche in Giappone). E non mancano a DeMonaco gli spunti visionari – come il Lincoln Memorial ricoperto di sangue e di corpi – o quelli arguti – si pensi ai turisti dell’omicidio che arrivano dall’Europa per uccidere e sentirsi anche loro americani, almeno per dodici ore. Così come non gli manca la filiazione del western – altra componente fondante del cinema di Carpenter – qui esplicitata dal camioncino blindato che attraversa una Washington preda del furore omicida, che è ovviamente una ennesima calzante rilettura dello stagecoach fordiano.

Ma tutto questo, come detto, non basta. Non basta perché non è sufficiente avere l’intuizione che a essere incaricati di uccidere la senatrice pacifista sia una milizia di neonazisti, non basta perché il loro leader ultra-iconico non ci regala nulla del suo carattere, ed è quasi amorfo, inerte, soffocato dall’idea visiva e incapace di diventare sapido carattere secondario. Non basta avere il nostro vecchio Joe, afroamericano parzialmente disilluso e troppo bonaccione per essere credibile, perché finisce per suonare come una inquietante e involontaria reincarnazione dello zio Tom. Non basta nemmeno avere a capo dei ribelli il nero incazzoso e giustizialista, che dal canto suo suona come una riedizione di Malcom X, perché la sua sacrosanta volontà di fare vendetta non è mai concretizzata in parole personali ed emozioni private. Così, allo stesso modo, appaiono maldestri anche i due protagonisti, vale a dire la senatrice la cui famiglia è stata sterminata in una notte del giudizio di diciotto anni prima e la sua guardia del corpo Leo Barnes, con cui l’attore Frank Grillo prosegue il ruolo che aveva avuto nel precedente capitolo. Per non parlare di una regia che, nelle scene d’azione, indugia eccessivamente nei rallenty e di una sceneggiatura che arranca, soprattutto nella parte iniziale, in sequenze troppo lunghe e poco significative.
Ma, per tornare al personaggio di Frank Grillo, ci pare che forse proprio lui sia indicativo dei limiti – vien da dire addirittura ideologici – del progetto di DeMonaco: Grillo è caratterizzato come se fosse completamente dimentico di quanto gli era accaduto in The Purge: Anarchy (dove voleva vendicare la morte del figlio). Perso quell’elemento disperato e tragico della sua esperienza personale, il nostro lascia per strada anche l’umanità, il chiaroscuro e la sofferenza della sua scelta – essere dalla parte del bene – che lo ha portato lì dove si trova. E viene il sospetto che, proprio in ossequio a una dinamica da blockbuster, sia stato deciso di fare così: chi vede La notte del giudizio – Election Day infatti può benissimo non aver visto il capitolo secondo della saga e, beninteso, neppure il primo.
Ripensiamo allora alla genialità insuperata di un sequel come Fuga da Los Angeles, rilettura satirico-post-moderna di 1997: Fuga da New York… Lì Carpenter, scardinando le regole del sequel, usava il suo sarcasmo anche nei confronti di Hollywood, e in più giocava consapevolmente con le aspettative di uno spettatore senziente. Dov’è finito tutto questo?

Info
Il trailer di La notte del giudizio – Election Year su Youtube.
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