Kong: Skull Island

Kong: Skull Island

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Il re è tornato! È gigantesco, ma può ancora crescere. Il MonsterVerse della Legendary Pictures aggiusta il tiro dopo Godzilla di Gareth Edwards, scegliendo per Kong: Skull Island un tono più sguaiato e fracassone. La grandeur del leggendario gorilla, immerso in una storia che saccheggia (un po’ troppo) scherzosamente Coppola, Conrad e Melville, è il logico viatico per l’incontro/scontro del secolo, quel Godzilla vs King Kong previsto per il 2020.

L’odore del napalm al mattino

1973. Una spedizione di scienziati e militari, con avvenente giornalista al seguito, parte alla scoperta di un’isola inesplorata, venuta alla luce grazie alle nuove tecnologie satellitari. Arrivati sull’isola a bordo di elicotteri da guerra, militari e scienziati vengono attaccati e decimati da un gorilla gigante, Kong, alto 30 metri. Bloccati sull’isola e tagliati fuori dal mondo, i superstiti dovranno riuscire ad attraversare l’isola e la giungla popolata da mostri. Intanto, Kong è impegnato in una battaglia contro gli Strisciateschi, feroci predatori rettiloidi che hanno sterminato la sua razza… [sinossi]

Mischiano un po’ le carte in tavola Jordan Vogt-Roberts e la Legendary Pictures. Regista emergente e attivo soprattutto sul piccolo schermo, Vogt-Roberts si è fatto apprezzare per la commedia indipendente The Kings of Summer (2013). Alle prese con un altro budget e con un’icona piuttosto ingombrante, il regista di Detroit si mette a servizio delle dimensioni gargantuesche di Kong e dell’immaginario evocato dal trio di sceneggiatori, dando vita a uno spettacolo – a tratti – pirotecnico, tra palesi e insistite citazioni di Apocalypse Now e scontri titanici tra miliardi di pixel. La parola d’ordine della messa in scena di Kong: Skull Island è grandeur, è l’eccesso esibito, dal citazionismo spudorato ai panorami dominati dallo scimmione. Un accumulo sistematico: gli anni Settanta, le canzoni, il Vietnam, la fisicità e sensualità di Tom Hiddleston e Brie Larson, la foga melvilliana e un po’ ridicola del guerrafondaio Packard (Samuel L. Jackson), la follia della spalla comica Hank (John C. Reilly), le patinate divagazioni antropologiche e via discorrendo.

Mischia le carte soprattutto la Legendary Pictures, casa di produzione che dopo Godzilla ha fiutato l’affare e si è tuffata nel calderone dei Verse, i Fictional Universe che dominano il box office contemporaneo. E così, mentre il Marvel Universe o Marvelverse cannibalizza il mercato internazionale e la DC Comics è costretta a inseguire a testa bassa, la Legendary ha pensato di ripercorre in pompa magna un sentiero produttivo/creativo già battuto negli anni Sessanta.
Un ritorno al passato, alla coproduzione nippo-statunitense Il trionfo di King Kong (King Kong vs. Godzilla, Kingu Kongu tai Gojira, 1962) di Ishirō Honda, ma con altri mezzi economici e tecnologici. Al momento, la tabella di marcia del novello MonsterVerse prevede quattro capitoli: Godzilla di Gareth Edwards, Kong: Skull Island di Vogt-Roberts e i futuri Godzilla: King of the Monsters (2019) di Michael Dougherty e Godzilla vs. Kong (2020). L’apoteosi finale.

Insomma, il solito intreccio semantico di franchise crossover, reboot, remake, sequel & prequel e tutto quel che segue. Una massa caotica, imprevedibile, nel bene e nel male. In questo senso, è indicativo lo slittamento dal Godzilla di Edwards, rispettoso dell’essenza e dello spirito del kaijū della Tōhō, alle spacconate di Vogt-Roberts e soci. Ma se le dimensioni smisurate di Kong rispondono alla necessità di un avversario di pari portata per il campione del Sol Levante, e se la veste di difensore dell’ordine naturale si affianca al consueto ruolo del nuclearizzato lucertolone, tornano meno i conti coi personaggi tagliati con l’accetta, infilati a forza nel reboot interno di Apocalypse Now (e, per stare al gioco, nel crossover con Moby Dick), e con la necessaria ma dolorosa rinuncia alla potenza emotiva e sentimentale dell’originale King Kong (1933) di Ernest B. Schoedsack e Merian C. Cooper e del romanticissimo, spettacolare e metacinematografico King Kong (2005) di Peter Jackson.

Spettacolare. L’altra parola chiave, legata a doppia mandata a grandeur. I pixel fanno il loro dovere nel dare corpo allo smisurato di Kong, suggerendo ripetutamente che il gorilla della Legendary si mangerebbe in un sol boccone i fratelli maggiori di Schoedsack/Cooper, Jackson e persino Honda – Kong sta infatti ancora crescendo e possiamo immaginare che nel 2020 non avrà timore dei 45 metri dichiarati dal suo predecessore ne Il trionfo di King Kong. È però nei corpo a corpo con gli anonimi strisciateschi, lanciati un po’ allo sbaraglio, che l’apparato spettacolare orchestrato da Vogt-Roberts perde terreno nei confronti del King Kong jacksoniano.
Dall’inevitabile confronto emergono i limiti di una pellicola che ha perso per strada, volontariamente o meno, il dramma e la tragedia, l’amore e la morte, concentrandosi sulla battaglia e negandoci le lacrime. La Bella non ha ucciso la Bestia: tra qualche anno sapremo se ringraziare o meno la Legendary Pictures. Per il momento, non ci resta che aspettare, fantasticando sugli sviluppi delle prossime pellicole e i possibili crossover con un altro franchise…

Info
Il trailer italiano di Kong: Skull Island.
La pagina facebook di Kong: Skull Island.
Il sito ufficile di Kong: Skull Island.
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