Come ti ammazzo il bodyguard

Come ti ammazzo il bodyguard

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Buon successo al box office internazionale, arriva nelle nostre sale Come ti ammazzo il bodyguard di Patrick Hughes. La coppia Samuel L. Jackson e Ryan Reynolds alle prese con un frullatone di action e commedia, squilibrato e fuori controllo, grezzo e tamarroide.

Neutralizzare la morte

Dopo aver perso il lavoro per una missione miseramente fallita, lo specializzatissimo bodyguard Michael Bryce si ritrova a proteggere Darius Kincaid, killer di professione che deve arrivare incolume al Tribunale dell’Aia per testimoniare contro un brutale dittatore bielorusso. Ovviamente una masnada di criminali si mette sulle loro tracce… [sinossi]

“Ottimo lavoro”. Sul finale all’agente dell’Interpol Amelia Roussel viene riconosciuto il merito di avere svolto egregiamente il proprio compito, e viene un po’ da ridere, forse la prima risata davvero convinta dopo quasi 2 ore. Perché per giungere a quell’ottimo lavoro Come ti ammazzo il bodyguard ha intanto lasciato sul campo qualche decina di morti e feriti, ha sfracellato automobili e motoscafi, distrutto centri cittadini di mezza Europa nordoccidentale e messo a repentaglio la sicurezza dell’intero continente in più di un’occasione. Solo che quella battuta in prefinale non è ironica né presuppone sguardi ironici in chi mostra e in chi vede. È seria, almeno sembrerebbe, ed è una perfetta cartina di tornasole per l’incertezza dell’intero film di Patrick Hughes.
Chiamato a dirigere I mercenari 3 da Sylvester Stallone in persona, l’australiano Hughes si mantiene adesso un po’ sullo stesso solco, frullando in un unico prodotto d’intrattenimento action e commedia e adottando la classica struttura del buddy movie tra caratteri contrapposti, ma nemmeno poi troppo distanti, data la sveltissima e approssimativa definizione dei due protagonisti.
Forse si vorrebbe calcare la mano con maggiore enfasi in direzione della risata, ma il film non ci riesce più di tanto, e a conti fatti Hughes mostra di prediligere altro, l’azione survoltata, adrenalinica, frastornante, l’esplosione pirotecnica, le automobili che si sfracellano e si ammaccano, i voli nell’aere dei corpi umani.

Seguendo le vicende paradossali di una specializzatissima guardia del corpo che si trova a proteggere un killer di professione, testimone-chiave a un processo alla Corte dell’Aia contro un brutale dittatore bielorusso, Come ti ammazzo il bodyguard si delinea come un prototipo pressoché insuperabile del frullatone grezzo e tamarroide, talmente impegnato a badare al sodo da risultare del tutto squilibrato, sbilanciato, fuori controllo, in piena alternanza tra brani decisamente riusciti e interminabili parentesi di noia, spunti comici che vanno tristemente a vuoto e qualche passaggio (giusto un paio) che strappa però risate a scena aperta.
Per concedere qualche pausa ai ritmi frastornanti dell’action, vi è di fatto un solo argomento di dialogo tra i due protagonisti, ossia le pretestuose ambasce sentimentali del bodyguard Michael con la bella Amelia dell’Interpol. Ad ogni pausa, ad ogni viaggio in auto si torna sempre lì, senza possibilità d’errore, in evidente povertà di sceneggiatura e aderendo a un’idea di spettacolo basicamente virile.
Se la saga de I mercenari aveva riscoperto e celebrato la muscolarità dell’eroe americano anni Ottanta, Come ti ammazzo il bodyguard ne condivide l’impostazione a monte, in qualche modo “ideologica”, ivi comprese la riscoperta di nemici cattivoni post-sovietici e la mostrazione della violenza. Che qui è violenza vera (lo sparo in testa con relativo zampillo di sangue è praticamente un leit-motiv da inizio a fine) e che si colloca in quell’incertezza cui accennavamo in apertura.
Spesso le sequenze d’azione non hanno nulla di parodico, sono girate con perizia ed enfasi e risultano decisamente apprezzabili, ma più volte viene da chiedersi se allora si debba interpretare il film come messo interamente tra virgolette, anche laddove l’azione e la violenza si compiacciono del loro spettacolo. Eppure a quelle virgolette non crediamo mai fino in fondo, visto che per buona parte Come ti ammazzo il bodyguard è spettacolo esaltato e autoreferenziale, ironico solo nella misura in cui cerca costantemente l’iperbole audiovisiva, ma di certo non parodico.

Nel frullare di tutto e di più Hughes raccoglie pure qualche spunto dalla cronaca più recente (sul finale compare anche un tir killer, probabile riferimento a tristi eventi degli ultimi anni) e lì si ha la conferma che forse il gioco grossolano, epidermico e a suo modo godibile, ha bisogno comunque di essere maggiormente giustificato e “ragionato” per non finire nella sgradevolezza. Non viene da pensare a ipotesi di cinema fascista, ma piuttosto a una generale neutralizzazione della morte, in cui non ci si compiace nemmeno della sua mostrazione tanto è veloce e subliminale. Giocare, ridere o morire si riducono sullo stesso piano indefinito, ma senza l’inconsistenza di un’iperbole cartoonesca o iperrealistica, bensì con la piena matericità della violenza (una delle sequenze più riuscite e anche più discutibili sotto questo punto di vista vede un cattivone strangolato, con tempi più dilatati del solito, da una catena di ferramenta). In tale indefinitezza si disperdono anche alcune trovate intelligenti, in cui la violenza viene sbeffeggiata proprio nel suo farsi norma quotidiana (quelle parentesi divertenti nel locale in Honduras). Ma Hughes non decide, non fa scelte, sta sempre sulla soglia della parodia e talvolta la oltrepassa, senza però assumersene fino in fondo le responsabilità.
Si fa fatica a conciliare il buddy movie tutto azione e battute tra uomini con un incipit che narra il crudo assassinio di un bambino. Benché Hughes sembri alludere anche a modelli hongkonghesi, di essi a Come ti ammazzo il bodyguard manca del tutto la compattezza espressiva (e sì che anche a Hong Kong assistiamo di frequente a commistioni di registri all’interno dello stesso film).

All’intento non contribuiscono particolarmente i due protagonisti; Samuel L. Jackson procede stancamente col pilota automatico, mentre Ryan Reynolds fa sforzi sovrumani per risultare simpatico senza riuscirvi quasi mai. Gary Oldman e Salma Hayek riempiono il cartellone cavandosela con tre apparizioni a testa, mentre la morte risulta neutralizzata pure sul manifesto (invero esilarante) in cui Samuel L. Jackson sostituisce la povera Whitney Houston in braccio al suo custode. Nella grossolaneria si accoglie di tutto, spunti felici e infelici, trovate insospettabili e battute d’arresto, buon cinema d’azione e lunghi momenti di stanca narrativa. Così, Come ti ammazzo il bodyguard ogni tanto diverte e in altri momenti fa venir voglia di lasciare la sala. Qua e là divertente e un tantino ignobile, e più volte durante la visione ci fa sentire ignobili perché qua e là ci divertiamo.

Info
Il trailer di Come ti ammazzo il bodyguard su Youtube.
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