Djam

Presentato al Trieste Film Festival, dopo l’anteprima a Cannes al Cinéma de la plage, Djam è il film in cui la poetica di Tony Gatlif, della musica e della danza come motori primi della vita e del cosmo, si incontra con l’Europa della crisi economica e dell’emergenza immigrazione.

Il gusto dell’ouzo

Djam, una ragazza greca, viene mandata a Istanbul dallo zio Kakourgos a cercare un pezzo raro del motore della loro barca. A Istanbul incontra Avril, 18 anni, arrivata dalla Francia per fare volontariato con i rifugiati: la ragazza è senza soldi e non conosce nessuno in Turchia. Djam prende Avril sotto le sue ali. [sinossi]

Torniamo per un attimo a quel finale programmatico di Vengo – Demone flamenco. Il protagonista muore vicino a uno stabilimento industriale e il battito dei pistoni prosegue, continua la musica, che ha governato tutto il film come in ogni opera del regista, sotto forma di percussione, di ritmo puro, di diapason. Quel moto perpetuo che presiede all’universo, quell’armonia e quell’energia vitale delle melodie gitane di cui palpita ogni film di Gatlif, motore propulsore di un cinema di opere apparentemente sfatte, dalle esili trame, che si fondano più sul ritmo che sulla narrazione. Così è per Djam, presentato al Trieste Film Festival, dopo l’anteprima al Cinéma de la plage sulla Croisette. Un film che si fonda proprio su una falla del meccanismo, un ingranaggio che quindi non può funzionare. Si tratta di un pezzo del motore di una barca, adibita a escursioni turistiche, che quindi non può ripartire. Simbolo della situazione di stagnazione di un villaggio nell’Isola di Lesbo, dove è arrivata la crisi economica lasciando gli abitanti in condizioni di prostrazione. Ben lungi dall’essere il puro McGuffin hitchcockiano, il pezzo mancante è quel tassello indispensabile a far muovere il meccanismo, il ritmo, il fluire delle cose e della vita. È un Sacro Graal alla cui ricerca viene mandato il cavaliere, Djam, la ragazza del villaggio che ancora preserva tutta quell’energia, quello spirito gitano apolide che il padre e gli altri abitanti del villaggio sembrano aver perso. Un’energia carnale, fisica, uno spirito vitale che ha anche una forte connotazione sessuale. È la stessa protagonista a paragonare il pezzo del motore a un dildo per far muovere i pistoni della barca.

Il cinema dei corpi, della fisicità, della musica e della danza di Gatlif comincia seguendo a ridosso la protagonista, in un incipit programmatico, con macchina a mano, che si muove danzando vicino a una rete con incredibile energia e sensualità. E che non esita a spalancare le gambe durante la danza, esibendo ciò che si trova sotto, novella Sharon Stone da Basic Instinct, ma senza morbosità e con naturalezza. La sua courbettiana origine del mondo sarà uno dei temi portanti del film, come nel continuo riferimento alle mutande, o come nella scena della depilazione. Ma anche nella battuta che fa al padre, sul portare le stesse mutande, con cui mantiene un rapporto di naturale intimità. Djam è il simbolo dei personaggi gatlifiani, carichi di solarità, di spontaneità e naturalezza. Lei spregiudicata e spirito libero, fuori dalle regole borghesi, priva di ogni senso del bon ton. Lei che avvia un divertente gioco lesbico a letto con Avril. Lei che tranquillamente pensa di pagare in natura il tassista, non avendo più soldi. Lei disinibita anche nella sfera dei bisogni corporali, visto che orina sulla tomba del nonno che aveva aderito alla dittatura dei colonnelli, con sprezzo verso coloro che “vietarono musica e libertà”. E, affrontando gli ufficiali che stanno eseguendo il pignoramento dei beni di famiglia, che vorrebbero anche bloccarla mentre va in bagno, con la frase: “Non vorrete sequestrare anche la mia merda?”. Soprattutto Djam è il fulcro dell’universo gatlifiano di musica e danza, che può scatenare anche con palesi rotture della convenzione cinematografica come quando, nell’ufficio, fa innescare magicamente la musica extradiegetica (non ci sono ovviamente strumenti musicali in quell’ambiente), dandone il là, con una danza catartica che fa capitolare il fino ad allora inflessibile funzionario.

Gatlif è il cantore di una cultura gitana, apolide, transnazionale europea, che si contamina con le culture e tradizioni locali. Uno spirito che prosegue dal flamenco in Andalusia al rebetiko in Grecia, fatto di danza accompagnata da strumenti musicali tradizionali. Una filosofia di vita che si fonda sulla convivialità, sul bere, in questo caso l’ouzo greco, e sulle danze collettive, sui grandi riti familiari e di comunità. Una cultura del surrealismo buffo che mira a stupire, propria per esempio dei più riusciti film di Kusturica, che si manifesta sollevando con i soli denti un tavolino con tutto quello che ci sta sopra. Un ritorno a forme ancestrali e genuine di vita che la società moderna sembra aver cancellato e omologato. Djam è un road movie tra Grecia e Turchia dove una tappa è significativamente l’Hotel Sirtaki, dove vi sta un personaggio che sembra Riff Raff del Rocky Horror.

Ora Tony Gatlif ci porta ai confini dell’Europa, raccontando a modo suo le tragedie del contemporaneo. Oltre c’è la Siria con il suo dramma. L’Europa della crisi che ha falcidiato la Grecia, della tragedia dei profughi, resa nella meravigliosa scena della discarica, colorata, di giubbotti salvagente. E racconta di un paese storicamente schiacciato tra due tragedie, la dittatura tra gli anni Sessanta e Settanta e la recessione di oggi. Gatlif lo mette in scena a modo suo, con il ritmo musicale che palpita, con un musical povero che trova l’apoteosi nella bellissima scena di danza sul tetto, tra i lenzuoli stesi che funzionano anche come schermi in un teatro d’ombre. Un’ancora di salvezza alla crisi e alle avversità. Non si può che reagire in un modo: “Continuiamo a cantare e fare musica”.

Tony Gatlif è portatore di una lievità ormai rara, che ci fa tornare allo spirito della Nouvelle Vague francese. Le sue danze sono come la corsa nel Louvre di Bande à part, e le gambe di Djam, e di ogni danzatore di Gatlif, sono come dei compassi nella celebre visione truffauttiana delle donne, misurano il globo terrestre in tutti i sensi, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.

Info
La scheda di Djam sul sito del Trieste Film Festival.
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