Miserere

Miserere

di

In concorso al Torino Film Festival, Miserere del greco Babis Makridis è una commedia nera, girata con un’austerità da poseur e costruita sull’idea che è meglio essere compatiti che vivere felici. Un assunto che resta tale, senza essere sviluppato, e finisce per apparire quasi barzellettistico.

Il lutto si addice agli avvocati

Si può essere felici solo quando si è infelici? Il risveglio dal coma della moglie destabilizza e deprime il marito di lei, un avvocato di successo. Come fare per ricominciare a essere compatiti? [sinossi]

Sembra iniziare in maniera molto promettente Miserere, opera seconda di Babis Makridis, regista greco che ha scritto il suo film – presentato in concorso al Torino Film Festival – con lo sceneggiatore abituale di Lanthimos, Efthymis Filippou. Sembra. Perché lo spunto è forte, come d’altronde accade sempre anche nel cinema di Lanthimos: nel caso di Miserere si tratta di un avvocato che ama essere compatito e che nel momento in cui la moglie si risveglia dal coma sente la mancanza della vita deprimente che aveva imparato a condurre prima. Ben presto, però, tutto si sgonfia e assume contorni ossessivo-ripetitivi; e anche questa ci pare che sia una caratteristica tipica del cinema di Lanthimos, anzi ci pare che sia il suo maggior difetto.
Rispetto al più noto connazionale, Makridis poi non riesce neppure a provocare lo scandalo e soprattutto non riesce mai a spiazzarci, come invece a volte accade nei film del regista di Kinodontas, anche se quegli spiazzamenti sono spesso frutto di un’esibita e posticcia irrazionalità.

Girato con un rigore di facciata e volutamente compiaciuto, con il Requiem di Mozart che parte in colonna sonora a pie’ sospinto, Miserere dà l’apparenza di porsi – sempre nella sua fase iniziale – come una potenziale parodia (o auto-parodia) di buona parte del cinema greco contemporaneo, tanto teso – in maniera spesso pedissequa e forzata – a riscoprire la tragicità dell’esistere e l’innata ingiustizia del mondo. E, dunque, quelle catastrofi personali che in altri film, come Miss Violence, assumevano la dimensione di una esagitata denuncia verso la condizione di povertà in cui era tornata a cadere la società greca, qui – in Miserere – sono volutamente una posa, la posa che sceglie il film insieme al suo protagonista, che infatti prova a piangere, prova ad apparire convincente quando si dispera, ma non ci riesce. È, questo, un suo cruccio cui prova a porre rimedio in qualche modo, anche con del gas lacrimogeno.

Il problema è che però, nel momento in cui la moglie del protagonista si risveglia dal coma, il film o sembra appena iniziato o sembra appena sul punto di finire; e invece siamo a circa metà della sua durata. Se, effettivamente, come dice di voler fare, il Nostro eroe vuole orchestrare un piano per tornare a essere compatito, che lo faccia però e che non continui a ripeterlo allo spettatore senza mai decidere quale debba essere il suo agire.
Va a finire così che Miserere, partito come possibile parabola di tutta una tendenza del cinema greco, finisce per aderire completamente al contesto in cui è nato, con un protagonista negativo e sgradevole, ma soprattutto con un’idea di film che resta tale e che ha più il tono di una crudele barzelletta che quello di una riflessione filosofica sulle tendenze masochiste dell’essere umano.
Altra caratteristica decisamente poco digeribile è il continuo strizzar d’occhio da parte del regista allo spettatore, un gioco al – presunto – massacro in cui il protagonista si fa veicolo di una consapevolezza cinica che appartiene solo a lui e non agli altri personaggi e che si pretende debba appartenere anche agli spettatori. Ma, a parte il fatto che si può benissimo essere in disaccordo con l’assunto, poi spetterebbe al film mostrarci come sia più giusto essere cinici che non esserlo. E questo è un fatto, un presupposto, su cui Makridis sorvola completamente, tanto innamorato di se stesso e della sua idea da non sentire neppure il bisogno di dimostrarla, o almeno di mostrarla. E questa furbizia ostentata è anch’essa – ci pare – un tratto essenziale del cinema di Lanthimos. Tutto torna, dunque. E tutto resta chiuso in un tipo di cinema che si ama per partito preso, tanto pieno di sé da non essere mai sfiorato dal dubbio e dalla liberatoria perdita del controllo. Anzi, anche quando c’è – e c’è anche in Miserere – è sempre, paradossalmente, una controllata perdita di controllo. E dunque ancora più molesta.

Info
La scheda di Miserere sul sito del Torino Film Festival.
  • Pity-2018-Babis-Makridis-001.jpg
  • Pity-2018-Babis-Makridis-002.jpg
  • Pity-2018-Babis-Makridis-003.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Torino Film Festival 2018Torino 2018

    Il Torino Film Festival 2018 si muove con coerenza lungo il percorso intrapreso nel corso degli anni, tra sguardi retrospettivi, cinema "giovane" e ricerca. Un viaggio intrapreso con un'intera città, a differenza di altre realtà italiane...
  • Venezia 2018

    La favorita RecensioneLa favorita

    di Farsa darkettona e sadomaso, La favorita di Yorgos Lanthimos è un divertissement saffico sul potere, tra servi e padroni, favorite e regine. In concorso a Venezia 75.
  • Festival Scope

    Copa-Loca

    di Surreale e malinconico ritratto di un mondo alla deriva, il cortometraggio Copa-Loca è stato presentato alla scorsa edizione della Quinzaine. Disponibile online su Festival Scope fino al 7 luglio.
  • In sala

    Il sacrificio del cervo sacro RecensioneIl sacrificio del cervo sacro

    di La brama di provocare il pubblico ha giocato un tiro mancino a Yorgos Lanthimos il cui nuovo film, The Killing of a Sacred Deer, appare un vano dispendio di energie. In concorso a Cannes 2017.
  • Trieste 2017

    Amerika Square

    di Presentato al Trieste Film Festival, Amerika Square, diretto dal regista greco Yannis Sakaridis, è una storia corale che si muove, con qualche semplificazione ma anche con una buona scrittura, lungo i temi dell'immigrazione e della crisi economica.
  • Venezia 2015

    EqualsEquals

    di Il paradosso di Equals, che illustra sommariamente una società ossessionata dal controllo, dalla genetica, dall’azzeramento dei sentimenti, è di essere anch’esso un clone, ancorato a un design futuribile trito e ritrito. In Concorso a Venezia 2015.
  • Locarno 2015

    Chevalier

    di Nuovo lavoro di Athina Rachel Tsangari in concorso a Locarno, Chevalier è una flebile metafora della situazione ellenica che segue la rotta del pulpito e del giudizio, tentando di legittimare e anzi esaltando tutti i limiti etici di una cinematografia troppo spesso ammiccante, spocchiosa e sterile.
  • Archivio

    The Lobster

    di Ammiccante e reticente, The Lobster si diverte a sedurre lo spettatore, ma nel suo gioco metaforico troppo a lungo reiterato e persino ribaltato, finisce per svilire proprio i suoi ingredienti migliori.
  • In Sala

    A Blast

    di Il secondo lungometraggio del regista greco Syllas Tzoumerkas irrita senza scioccare, analizzando banalmente la crisi della propria nazione.
  • Berlinale 2014

    Stratos

    di Il film di Economides sembra rincorrere senza successo il cinema à la Lanthimos, dilatando i tempi, imboccando la facile e spesso sterile strada dei silenzi, delle metafore, del sottaciuto.
  • Venezia 2013

    Miss Violence

    di Una famiglia ateniese è sconvolta dal suicidio della giovane figlia, proprio nel giorno del suo undicesimo compleanno. Cosa avrà spinto la ragazza a compiere questo gesto fatale?
  • Archivio

    Alps

    di Il terzo lungometraggio di Yorgos Lanthimos non è un film politico, bensì un film realizzato politicamente. E forse non è un caso che venga dalla Grecia.