Tutto l’oro che c’è

Tutto l’oro che c’è

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Presentato in anteprima mondiale all’International Film Festival Rotterdam 2019, nella sezione Signatures, Tutto l’oro che c’è è un’opera elegiaca che segue il corso del fiume Ticino osservando gli ecosistemi, anche umani, delle sue sponde.

Il fiume azzurro

Un giorno bellissimo, sulle rive del fiume Ticino. La vita celebra il suo corso. Uccelli, formiche, cinghiali sono poco interessati ai visitatori umani. Ne seguiamo cinque in particolare, di età crescente da giovane a vecchio: un ragazzo che sembra essersi perso, un nudista, un carabiniere, un cacciatore e un cercatore d’oro. I loro tragitti non si incrociano. [sinossi]

«Il nascere si ripete di cosa in cosa e la vita a nessuno è data in proprietà ma a tutti in uso»: con questa citazione da Lucrezio inizia l’elegiaco e poetico Il pianeta azzurro di Franco Piavoli. Potrebbe essere anche l’esergo per Tutto l’oro che c’è di Andrea Caccia, presentato all’IFFR 2019, laddove i luoghi, del Garda e del Mincio cari al regista bresciano, sono sostituiti dalla valle del Ticino. Originatosi in Svizzera, tra il Passo della Novena e il Passo del San Gottardo, il fiume Ticino percorre complessivamente 248 km, andando a confluire nel Po nei pressi di Pavia. Rappresenta il secondo fiume italiano per portata d’acqua e, per il fatto di allargarsi, praticamente, nel Lago Maggiore, si depura e le sue acque sono poco inquinate, nonostante attraversi un territorio fortemente antropizzato tra Lombardia e Piemonte. Per questo e per la sua trasparenza viene chiamato il fiume azzurro. Nel 1974, a seguito di un movimento popolare, venne istituito il parco naturale lombardo della Valle del Ticino, il primo parco regionale italiano e a oggi il parco fluviale più grande d’Europa, e la Regione Piemonte seguì a ruota istituendo un analogo parco per la sponda di sua competenza.

Il fiume rappresenta in tante culture la metafora della vita, che origina da una sorgente e da un piccolo rigagnolo che si trasforma in un impetuoso corso d’acqua. E allo stesso tempo simboleggia lo scorrere del tempo e delle cose, inarrestabile, il corso del fiume non si può arrestare né invertire. Con dei bambini dai vestiti colorati che giocano, tra il verde dei prati di montagna, le rocce grigie e le mucche al pascolo, Andrea Caccia fa iniziare il film, accompagnando la nascita stessa del grande fiume. E Tutto l’oro che c’è è un film che scorre in un flusso di immagini e suoni, praticamente senza parole, come enunciato dal lungo momento della barca, inquadrata nella sua punta, che naviga tra le acque fluviali; il regista è un Caronte che ci accompagna, non da una sponda all’altra, ma lungo le rive del fiume, con i suoi abitanti, i suoi ecosistemi fatti di animali, tra cui gli uomini, i vegetali, i minerali. Tutti gli esseri viventi presenti nel film vengono poi elencati nei titoli di coda, a conferire loro la stessa dignità dei protagonisti umani, come del resto faceva anche Michelangelo Frammartino in Le quattro volte.

Ancora Piavoli insegnava un sapiente alternare di primissimi piani e di campi lunghi, seguendo lo schema dell’Infinito leopardiano, la siepe e gli interminati spazi al di là di quella. Anche Andrea Caccia lavora analogamente, con paesaggi e riprese di dettagli di insetti e animali seguendo i dettami della fotografia naturalistica. Immagini bellissime che però sono parti di un contesto più ampio, che comprende anche l’uomo e ciò che fa e ha fatto, e non si esauriscono nel mero estetismo da National Geographic. A volte riprende situazioni, come il corpo del naturista o il ragazzo, partendo dal dettaglio di una libellula che lì si è posata. Il nudista è ripreso, un’altra volta, nel dettaglio ravvicinato della sua pelle, i peli, le rughe, quasi a formare un’immagine astratta. La carcassa abbattuta di un cinghiale femmina è poi mostrata nel close-up delle sue mammelle.

Uccelli, insetti, mammiferi sono ripresi spesso nell’atto dell’accoppiamento, come quello delle libellule che disegnano una forma a cuore, della metamorfosi, della predazione. Immagini che a volte sono istantanee di bellezza e di morte, come quelle degli uccelli dal piumaggio variegato, il gruccione, il martin pescatore, con un insetto o un pesciolino nel becco. L’ecosistema umano riproduce con diversa complessità questi cicli della natura. Il cacciatore che spara ai fagiani. La sessualità esibita del naturista, che espone il suo corpo come la livrea di un animale in corteggiamento, il preservativo lasciato sul terreno. Ma la sessualità è anche quella dei cartelli, di indicazioni, divieti che tornano spesso come elementi di scrittura che inframmezzano il flusso visivo, scarabocchiati con quello spirito goliardico scurrile tipico degli anonimi writer dei muri di città o dei bagni pubblici, dove per esempio la parola “piene” viene modificata in “pene”. Le immagini umane suggeriscono delle narrazioni. Il carabiniere ci fa immaginare una detective story, ma del resto anche il naturalista che esamina le tracce, impronte, cadaveri di cui scoprire il colpevole, compie un lavoro di detection. E il cercatore d’oro richiama a quell’epica americana della corsa all’oro. L’umanità che si annida nell’alveo del fiume è pittoresca, da osservazione etologica, quasi un mondo dimenticato dal tempo, lontanissimo dalla vita di città. Ci sono le sagre attorno alla comunità di picnic e grigliate sulla sabbia, le canzoni in lontananza di Mia Martini, come le balere dei tempi che furono. Ci sono i manufatti industriali, gli stabilimenti dismessi, i ponti. C’è il grande ristorante, di quelli enormi di una volta, anonimi, senza stile, ora sempre vuoto, gestito da una vecchia signora.

Lavorando al montaggio di 150 ore di girato, di cui, garantisce, nulla è stato provocato o ricostruito – tutto è stato semplicemente osservato, è capitato davanti all’obiettivo della mdp a volte dopo estenuanti attese –, Andrea Caccia ha costruito una polifonia di immagini e suoni, di uomo e natura.

Info
La scheda di Tutto l’oro che c’è sul sito dell’International Film Festival Rotterdam.
  • Tutto-l-oro-che-c-è-2018-Andrea-Caccia-001.jpg
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