Dilili a Parigi

Dilili a Parigi

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Ultimo tassello di un percorso luminoso, Dilili a Parigi aggiunge dettagli significativi al cinema di Michel Ocelot, così splendidamente minuzioso eppure semplice, immediato eppure stratificato. Animazione per bambini, per genitori, per tutti. Animazione capace di guardare al passato (le silhouette di Lotte Reiniger) e al futuro (la computer grafica di Azur e Asmar) per raccontare al proprio pubblico storie profondamente attuali. Un cinema misuratamente didascalico e genuinamente politico.

Le village nègre

Nella Parigi della Belle Époque, con l’aiuto di un giovane fattorino, la piccola franco-canaca Dilili indaga su una serie di rapimenti misteriosi in cui sono coinvolte alcune bambine. Nel corso delle indagini incontreranno personaggi straordinari che li aiuteranno fornendo loro gli indizi necessari per scoprire il covo segreto dei Maestri del Male, i responsabili dei rapimenti… [sinossi]

Bazinianamente, che cos’è l’animazione? Volendo rispondere, si potrebbe partire proprio dalla filmografia di Michel Ocelot, dalla sua parabola artistica e tecnica, dallo sguardo sul mondo, sulla società. Dalla capacità di raccontare, illustrare e riassumere con pochi tratti e colori un coerente manifesto artistico, umanista, politico.
Ultimo tassello di un percorso luminoso, Dilili a Parigi aggiunge dettagli significativi al cinema di Ocelot, così splendidamente minuzioso eppure semplice, immediato eppure stratificato. Animazione per bambini, per genitori, per tutti. Basterebbe soffermarsi sull’incipit che riecheggia apertamente l’humus artistico e culturale del suo personaggio più fortunato, il piccolo Kirikù del trittico Kirikù e la strega Karabà (1998), Kirikù e gli animali selvaggi (2005) e Kirikou et les hommes et les femmes (2012): Dilili è una declinazione al femminile di Kirikù, è l’evidente plus valore di una società multietnica, è lo stratagemma per raccontare nuovamente una storia che – oggi ancor più di ieri – ha bisogno di essere ascoltata, capita, tramandata. Raccontare, ma anche mostrare agli spettatori linee e cromatismi di altri tempi, di altri luoghi, eppure così profondamente (a volte inconsapevolmente) nostri.

Dall’incipit di Dilili a Parigi si dischiudono discorsi e immagini del passato, da sempre presenti nelle opere di Ocelot: riviviamo i racconti di Kirikù e delle silhouette di Principi e principesse (2000), Les contes de la nuit (2011) e Ivan Tsarévitch et la princesse changeante (2016), le dinamiche fertili dell’incontro di Azur e Asmar; rintracciamo prontamente le spire e il superamento del colonialismo, la necessità di una società interculturale e – qui in maniera più evidente – costruita anche a misura di donna, di bambina. Il cinema di Ocelot scalfisce con parole e colori colonialismo e patriarcato, cerca di illuminare anche gli anfratti più oscuri, tratteggia un mondo ideale/idealizzato che in parte abbiamo dimenticato – l’Exposition universelle de Paris del 1889 e più in generale la Belle Époque, quantomeno nelle sue intenzioni e intuizioni migliori. Il cinema di Ocelot è un caleidoscopio, un canocchiale, un microscopio.

Si diceva, che cos’è l’animazione? Dilili a Parigi ci ricorda che l’animazione nasce da un’idea, da una linea che prende forma, da un colore, da un ritaglio, da un movimento impercettibile a occhio nudo. L’animazione nasce anche dalla realtà, da una semplice fotografia. In questo caso, da sedicimila fotografie. Ocelot imbocca un’altra scorciatoia, l’ennesima per portare sul grande schermo la propria arte – la sua, in fin dei conti, è sempre stata una rilettura autoriale e alquanto ambiziosa dell’animazione limitata.
Dopo le sperimentazioni in computer grafica di Azur e Asmar, applicata con apprezzabili risultati anche a Kirikù, e dopo aver recuperato e quindi assemblato tra piccolo e grande schermo le silhouette di Lotte Reiniger rivisitate da CGI e 3D, Ocelot trova un’altra forma essenziale, efficace, unendo le vedute fotografiche parigine ai seducenti cromatismi dei suoi tableaux vivants – ancora l’incipit, che detta la struttura grafica ed estetica dell’intera pellicola. Più della fludità dei movimenti, che sono plasmati più sulle silhouette che su un improbabile e dispendioso realismo, a Ocelot interessa l’impatto pittorico, la meraviglia cromatica. Ed eccola qui l’animazione, o quantomeno una delle sue possibili declinazioni: come era già accaduto con lo strepitoso successo di Kirikù e la strega Karabà, vero e proprio spartiacque dell’animazione transalpina ed europea, Dilili a Parigi non solo riesce a veicolare il suo rassicurante e condivisibile messaggio, omaggiando una stordente galleria di icone della cultura e della storia (da Renoir a Rodin, da Toulouse-Lautrec a Modigliani, da Méliès a Sarah Bernhardt…), ma ci ricorda che l’animazione di oggi, tra intuizioni e nuove tecnologie, è un traguardo possibile. Bastano le idee. Ad avercele.

Info
Il trailer italiano di Dilili a Parigi.
Il trailer originale di Dilili a Parigi.
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