Motherless Brooklyn – I segreti di una città

Motherless Brooklyn – I segreti di una città

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Con Motherless Brooklyn – I segreti di una città Edward Norton torna alla regia a diciannove anni di distanza da Tentazioni d’amore. L’occasione gliela fornisce l’adattamento del romanzo omonimo di Jonathan Lethem; colto dalla fascinazione del noir classico Norton riporta indietro la storia fino ai primi anni Cinquanta, ma si perde – un po’ come il suo protagonista – dietro ripetizioni e svolte non necessarie. Film d’apertura alla Festa del Cinema di Roma, dove arriva dopo un lungo tour festivaliero inaugurato a Telluride sul finire di agosto.

Testadipazzo

Lionel Essrog è detective privato affetto dalla sindrome di Tourette, che si ritrova ad indagare sull’omicidio del suo amico e mentore Frank Minna. Con pochi indizi in mano, Essrog si inoltra nei bassifondi della Brooklyn degli anni cinquanta, tra corruzione, facoltosi salotti e jazz club, cercando di onorare il suo unico amico. [sinossi]

Si chiama “A qualcuno piace classico” la rassegna dedicata ai classici da proiettare in pellicola che da una decina di anni viene promossa dall’associazione culturale La farfalla sul mirino. A giudicare da Motherless Brooklyn (che in Italia si trascina dietro l’inutile sottotitolo I segreti di una città) anche Edward Norton è uno a cui piace il classico. Lo dimostra in particolar modo la volontà di prendere il romanzo di Jonathan Lethem e riscrivere la sceneggiatura – di proprio pugno – per portare la narrazione indietro nel tempo, fino alla New York dei primi anni Cinquanta, ancora con la memoria gravosa della Seconda Guerra Mondiale sulle spalle. Una scelta a suo modo spiazzante, e che trova un proprio senso soprattutto nel desiderio di confrontarsi con il noir ragionando direttamente sull’epidermide del genere, sulla sua stagione più folgorante. Ecco dunque che Lionel Essrog, il detective privato affetto dalla sindrome di Tourette che lui stesso interpreta, si muove nei bassifondi luridi di Harlem muovendo l’immaginario dello spettatore verso Dashiell Hammett, Mickey Spillane, Raymond Chandler; per quanto le riflessioni e lo sviluppo narrativo, a partire dal concetto di caos, siano tutte figlie del post-moderno, Norton cerca di fonderle – un po’ troppo a forza – con il canone e con la tipizzazione dei caratteri e delle situazioni. Quel che ne viene fuori è un oggetto schizoide, non dimentico di qualche sprazzo di buon cinema ma anche confuso, inutilmente contorto, eccessivamente lento nella sua progressione.

Scelto come film d’apertura dalla quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma – dopo che il film ha fatto il giro dei quattro cantoni nello scacchiere festivaliero, a partire dalla prima mondiale a Telluride “vecchia” oramai quasi di due mesi –, e in uscita in Italia tra tre settimane, Motherless Brooklyn è un’opera non priva di ambizione, e con la quale Norton torna dietro la macchina da presa a diciannove anni dalla sua prima esperienza da regista, con la commedia sentimentale Tentazioni d’amore. Qui, nel rimestare nel torbido di una città troppo grande per fallire ma così grande da far fallire – scientemente, e politicamente – i suoi abitanti, Norton si sporca le mani con una delle problematiche fondamentali per cercare di leggere e analizzare la trasformazione delle metropoli: la gentrificazione. Ruota tutto attorno all’esproprio di case per costruire quartieri “benestanti”, lo scandalo in cui si imbatte suo malgrado Lionel, mentre è alla ricerca degli uomini che hanno fatto assassinare il suo capo, nonché suo migliore e unico amico. Spostando indietro la lancetta del tempo Norton sembra suggerire che la scelta di svuotare New York degli indigenti e dei meno fortunati non è da relegare a questi ultimi, ma è incistata nella sua stessa storia. Una storia antidemocratica, e crudele, spacciata per progressista e moderna. Si fosse mantenuto con chiarezza su questo obiettivo, l’attore/regista avrebbe con ogni probabilità posto la firma in calce a un lavoro se non compiuto quantomeno affascinante, rigoroso, perfino doveroso. Purtroppo l’affabulazione è materia narrativa di non facile gestione, e Norton ne viene risucchiato completamente.

Lungo e spaesato, Motherless Brooklyn affastella situazioni su situazioni fino al punto di smarrire per strada personaggi, segmenti di storia. Il film, dopo un incipit anche brillante – non male la sequenza che prelude all’omicidio del capo di Lionel, interpretato da Bruce Willis – si perde un po’ dietro deviazioni inessenziali, ma soprattutto nell’incapacità da parte del regista di gestire fino in fondo la creatura che ha allestito. Classicismo e post-moderno iniziano a cozzare l’uno contro l’altro, senza dar vita ad alcunché di creativo o interessante; anche la sindrome di Lionel viene utilizzata quasi esclusivamente come controcanto comico, depistante rispetto alle potenzialità di un linguaggio che si muove per proprio conto, ma non in maniera illogica. Forse trovarsi a tu per tu con una materia così strettamente letteraria, continuamente giocata sulla parola e il suo utilizzo o distorsione – il romanzo è di fatto quasi intraducibile in italiano, “vittima” dei continui tic verbali del suo protagonista – si è dimostrata una sfida troppo estrema per un cineasta che dà l’impressione di accontentarsi di quell’aria noir sempre fascinosa, dei locali in cui la popolazione di Harlem può darsi al jazz, dell’obnubilamento nell’alcol o nell’erba. Un approccio epidermico, come già si scriveva dianzi, che però fa scomparire personaggi interessanti e ricchi di sottotesti o sfumature come la Gabby Horowitz interpretata da Cherry Jones, la Julia Minna di Leslie Mann e addirittura il villain di turno, pur affidato alle cure sempre eccellenti di Alec Baldwin. Quel che rimane è un noir d’antan che riflette solo apparentemente sui marginali per poi accontentarsi della più prevedibile delle storie d’amore. Un po’ poco, purtroppo.

Info
Il trailer di Motherless Brooklyn – I segreti di una città.

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