Blood Quantum

Blood Quantum

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Contaminazione tra horror zombesco e western, Blood Quantum di Jeff Barnaby tenta la via del prodotto di genere eccentrico e allegorico, ma resta a metà strada tra ambizione e convenzione, scontando una struttura narrativa sbilenca e squilibrata. Al Torino Film Festival per Notte Horror.

I confini

La riserva indiana di Red Crow è presa d’assalto da un’improvvisa epidemia di zombi, che infetta uomini e animali spingendoli a trasformarsi in esseri affamati, arrabbiati e feroci. L’epidemia riguarda solo i bianchi, mentre i nativi americani ne sono immuni. In poco tempo il morbo dilaga, e tocca allo sceriffo Traylor, e alla sua famiglia, organizzare la resistenza per poter dare un futuro al genere umano… [sinossi]

Dal West più classico lo scontro fra bianchi e nativi americani si sposta nell’horror. Il canadese Blood Quantum di Jeff Barnaby compie innanzitutto questa eccentrica e avvincente commistione, lasciando incrociare e collidere due conflitti molto ricorrenti nel cinema nordamericano: da un lato la battaglia western per la terra tra pionieri e indigeni, dall’altro l’inarrestabile presa del potere horror di orde di zombi in preda a una dilagante epidemia a suon di morsi e divoramenti di corpi umani. In Blood Quantum il luogo di questo rinnovato scontro è una riserva indiana, dove l’improvvisa epidemia zombesca scoppiata tra i bianchi provoca continui sconfinamenti mordaci verso i territori occupati dai nativi, che ben presto si organizzano per preservare una comunità di incontaminati e per dare dunque un prosieguo al genere umano.

Su tale materiale che contamina generi diversi, lo script dello stesso Jeff Barnaby compie poi un ulteriore ribaltamento che rende abbastanza indefinibili i confini tra buoni e cattivi, tra Bene e Male. Perché i bianchi sono gli unici in preda all’epidemia zombesca, sono affamati e violenti, ma al contempo i nativi immuni all’epidemia, asserragliati in difesa del genere umano, adottano metodi violentissimi e spietati per tenersi al riparo. Certo è in gioco la sopravvivenza di se stessi e il futuro dell’intera umanità, per cui in uno scontro così aperto non si può stare a guardare troppo per il sottile. Eppure nel disegnarsi di netti confini che separano un gruppo dall’altro sembra risuonare anche un evidente richiamo volenterosamente allegorico al progressivo rinchiudersi degli attuali confini geopolitici che caratterizza gli anni più recenti su un piano ampiamente internazionale.

Barnaby, filmmaker a sua volta nativo americano, pare in tal senso mirare all’horror allegorico, secondo chiavi espressive che richiamano un ricorrente impianto classico (quasi sempre l’horror, se non dispone di un vero e proprio, e cosciente sostrato allegorico, apre comunque verso consapevoli o inconsapevoli sottotesti). Per stessa ammissione di Barnaby, il tema del razzismo si radica nelle ragioni profonde del suo film, e – parole sue – «non c’è miglior figura dello zombie per rappresentare una cultura che si autoconsuma». In sostanza, alla fame inarrestabile degli zombi di George A. Romero, immagini di un furioso e furibondo capitalismo consumistico proteso ad autodivorarsi, qui risponde una razzistica fame di confini, di spazi vitali, di territori da sottrarre all’espressione dell’altro per annientarlo, o da delimitare nettamente per difendere la propria presunta purezza biologica e culturale. I bianchi sterminatori del West giocano una sorta di secondo tempo, puntando al completamento di un tragico genocidio da perfezionare ulteriormente. Mentre, come suggerisce il titolo, il sangue non deve contaminarsi ed è soggetto a ideali misurazioni, a un passo da suggestioni di razza ariana.

L’intento allegorico di Barnaby è insomma dichiarato ed evidente, ma tuttavia resta a metà strada, senza comporsi mai in un quadro coerente e ben delineato, rintracciabile solo a sprazzi come richiamo e risonanza. Prevale invece il gusto per l’intrattenimento di genere, che però qui si scontra con una macrostruttura narrativa non particolarmente equilibrata. Blood Quantum ha infatti un buon esordio nella primissima sequenza in cui Gisigu, nonno nativo di poche parole, fronteggia un gruppo di pesci riottosi e immortali durante un’uscita a pesca. Barnaby racconta il rapido crescere dell’epidemia con un apprezzabile senso per l’angoscia e la paura, componendo un pugno di buone sequenze che combinano il jumpscare a un elegante splatter.

Il film però accusa un netto calo di tensione narrativa alla svolta principale del racconto (a circa un terzo del percorso), quando Barnaby fa compiere alla linea diegetica un salto di sei mesi per presentare una situazione in cui i non contaminati sono asserragliati come resistenza umana mentre là fuori gli zombi dominano selvaggiamente. Da qui si apre una lunga sezione centrale di racconto che non aggiunge molto a quanto già mostrato, e che cerca di avvitarsi anche in una serie di rapporti tra i personaggi non particolarmente coinvolgenti. Recuperando un ulteriore canone da cinema di sopravvivenza e resistenza umana, Barnaby conferisce primaria importanza narrativa al personaggio di Charlie, giovane donna incinta che porta in grembo uno dei probabili futuri dell’umanità. Su tale linea Barnaby tenta anche qualche affondo drammatico, che tuttavia non giunge praticamente mai al coinvolgimento emotivo, troppo evidentemente imbrigliato dall’uso di convenzioni senza particolare e rivitalizzante originalità.

Eccessivamente allungato verso la conclusione, più di una volta Blood Quantum dà la sensazione di volgere al termine e di procrastinare inutilmente lo scioglimento, dando luogo a una seconda parte decisamente sbilenca e fuori controllo rispetto alle buone premesse dell’esordio. Ad aggravare il tutto intervengono sporadiche sequenze animate decisamente fuori luogo, veri e propri scivoloni stilistici che danno la misura di un’operazione confusa e poco convinta delle proprie potenzialità. Restano una confezione qua e là dignitosa, l’uso apprezzabile delle location, e uno spirito sostanzialmente western che depotenzia a poco a poco le ambizioni horror. Qualche tuffo al cuore c’è, ma è demandato in realtà più all’efficace spada di nonno Gisigu che agli indemoniati morsi degli zombi. Per cui nell’insieme Blood Quantum raccoglie meno di quanto semina, e riduce le proprie ambizioni verso un prodotto di genere volenteroso, che evoca e non chiude. E quando deve chiudere, sceglie poi le vie più facili e facilmente melodrammatiche.

Info La scheda di Blood Quantum sul sito del Torino Film Festival

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