Intrigo internazionale

Intrigo internazionale

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Da nord a nord-ovest, secondo il titolo originale, vaga il protagonista di Intrigo internazionale, braccato e braccatore allo stesso tempo. Ma da nord a nord-ovest è anche la direzione in cui soffia il vento della pazzia, stando all’Amleto di William Shakespeare. È un elogio alla follia, Intrigo internazionale, il più avventuroso dei film di Alfred Hitchcock, quello in cui più di ogni altro il regista inglese infrange le (sue) regole. Da New York al monte Rushmore, un viaggio attraverso l’America, e il cinema che ne codifica l’esistenza stessa. Per l’ultima volta Cary Grant, uno dei volti più hitchcockiani, lavora con il regista britannico.

L’uomo che camminò sul naso di Lincoln

Roger Thornhill è un agente pubblicitario newyorchese, che suo malgrado si trova invischiato in una vicenda a dir poco losca. Dapprima viene scambiato per un tal George Kaplan e rapito; quindi quello che considera l’uomo che l’ha rapito viene ucciso davanti ai suoi occhi, e proprio lui è l’unico sospettato. Braccato dalla polizia ma intenzionato a scoprire chi si celi dietro il nome Kaplan Thornhill si avventura su un treno, dove riceve l’aiuto inatteso di una bella ragazza, Eva Kendall… [sinossi]

Quando, sul finire degli anni Cinquanta, Cary Grant interpreta il ruolo di Roger Thornhill in Intrigo internazionale, la sua carriera cinematografica è quasi agli sgoccioli. Lo stesso anno, nel 1959, esce nelle sale anche Operazione sottoveste di Blake Edwards, dove fa coppia comica con Tony Curtis, di vent’anni più giovane; con l’avvento degli anni Sessanta, che rivoluzioneranno Hollywood, la sua presenza in scena si fa appena percepibile, appena cinque film in sei anni – tra il 1960 e il 1966 – e poi l’abbandono definitivo delle scene. Una delle superstar assolute dell’età dell’oro di Hollywood si fa da parte, in un pensionamento che durerà un ventennio – le coronarie lo tradiranno nel 1986. Nessuno degli ultimi film interpretati da Grant è senile, neanche quando (come ne Il gran lupo chiama e Cammina, non correre) l’attore veste i panni di personaggi con i quali può finalmente condividere l’età. Perché all’interno della storia del cinema Cary Grant ha oscillato, per circa un trentennio, tra i trenta e i quarant’anni di età: un caso più unico che raro anche nell’impero del travestimento del reale che fu la Mecca del Cinema durante il Codice Hays, e un’esperienza se di tal si può parlare che l’attore non condivide neanche con l’altro volto hitchcockiano per eccellenza, quello di James Stewart. Nell’immaginario di Hitchcock Stewart era l’uomo colto, l’intellettuale serio o comunque il professionista affidabile, il vicino di casa che chiunque vorrebbe avere – a parte l’uxoricida Lars Thorwald, ovviamente, che vede sfumare il suo ingegnoso piano criminale ne La finestra sul cortile proprio perché Stewart abita nello stesso comprensorio –, un borghese posato e al limite più propenso alla depressione e alla solitudine che alla bella vita. A Cary Grant invece Hitchcock cucì addosso i panni dell’uomo di mondo, dello scapolo impenitente e birichino, pronto a ghermire la malcapitata fanciulla in fiore su cui ha posato gli occhi. È così ne Il sospetto, ma anche in Notorious e Caccia al ladro. Se Stewart è l’uomo comune, anche e soprattutto nei comportamenti, che per sua sventura si ritrova a tu per tu con il male sotterraneo della società (da Nodo alla gola fino alla vetta assoluta La donna che visse due volte, che sancì la rottura dei rapporti, per lo meno quelli lavorativi, con Hitchcock), il fascino di Grant non è privo di profonde ambiguità: ne Il sospetto il film ruota attorno al fatto che Joan Fontaine teme possa essere un assassino, in Notorious si presta al doppio gioco spionistico al punto da far rischiare la morte a Ingrid Bergman, e in Caccia al ladro è – per l’appunto – un rapinatore, per quanto dispensi modi da gentiluomo. Anche Intrigo internazionale, d’altro canto, mostra da subito un personaggio cui non manca né la parlantina né l’alterigia e la fiducia in se stessi: basta vedere come tratta la sua segretaria e che tipo di lettere le fa inviare alle persone che deve contattare. Tutto il film, d’altro canto, ruota attorno a un uomo qualunque, ma così sfrontato e coraggioso da riuscire a sgominare quasi da solo un’intera rete criminale e a conquistare, ça va sans dire, la bella di turno (ovviamente bionda e longilinea, come da copia conforme hitchcockiana).

L’uomo normale in condizioni straordinarie si trova ad affrontare stavolta un’avventura che non prevede solo il rischio ferale della caduta – l’horror vacui, metaforico e materiale, è d’altro canto uno dei topos della messinscena di Hitchcock – ma addirittura uno spostamento geografico continuo. Il film si apre nel cuore della modernità, la Grande Mela, ed è in due dei suoi luoghi più iconici che Thornhill vede compiersi il suo destino iniziale: l’Hotel Plaza sulla Fifth Avenue, per la prima volta immortalato in un film (sarà poi scenario per innumerevoli pellicole, da A piedi nudi nel parco a Come eravamo, da Cotton Club a King of New York e Hollywood Ending) e il palazzo delle Nazioni Unite. Inaugurato neanche dieci anni prima, nel 1951, il palazzo dell’ONU fu il primo grattacielo newyorchese a utilizzare una facciata continua, grazie all’intuizione di Oscar Niemeyer. Il progetto del Plaza, ristrutturato sempre tra gli anni Quaranta e Cinquanta, fu quello d’inizio secolo in stile neorinascimentale di Henry Janeway Hardenbergh. Le linee rette e la forma di un parallelepipedo a base rettangolare del palazzo dell’ONU si scontra con il riferimento alla renaissance francese del Plaza. Viaggio tra l’America e il senso di una nazione spazialmente così vasta, Intrigo internazionale è anche il film formalmente più ricco di cambi di tono e di registro tra quelli realizzati da Hitchcock. Approfittando delle diverse architetture con cui va a confrontarsi, il regista britannico allestisce uno spettacolo a perdifiato, che costringe lo spettatore a non lasciare mai per un attimo il contatto visivo con lo schermo. Dentro c’è di tutto, da alcune situazioni prossime alla commedia sentimentale (tutti i doppi sensi nello scompartimento di Eva Kendall, dove ha trovato rifugio Thornhill) al thriller, dal giallo al poliziesco, dal film di spionaggio al dramma. Per cavalcare un ritmo incessante, che non dà tregua per l’intera durata del film – circa due ore e venti, il più lungo dell’intera filmografia – Hitchcock salta da un mezzo di locomozione all’altro, da un “mito della velocità” all’altro. Ci sono automobili private, taxi, aerei, treni, torpedoni, tutte macchine create dall’uomo per eliminare lo spazio, riscrivere le dinamiche del tempo, illudere l’umano di essere al sicuro, di non poter più temere nulla. Ma la minaccia è invisibile almeno quanto l’evanescente George Kaplan, l’uomo per il quale Thornhill è scambiato e che nessuno sa che aspetto abbia, che abiti indossi, che lineamenti del volto sfoggi. La minaccia fantasma, l’uomo che non può essere visto ma è ovunque, e tutto condiziona, a partire dalla vita di un uomo che passa dalla quotidianità di uno studio pubblicitario al tentativo di sfuggire tanto alle grinfie della polizia quanto a quelle di persone tutt’altro che gentili che amerebbero levarselo di torno. Nella trentina di lungometraggi che Hitchcock girò a Hollywood, dopo aver abbandonato l’Europa proprio a un passo dallo scoppio del conflitto mondiale, nessuno possiede lo spirito puramente picaresco di Intrigo internazionale: un’aria che sa di Vecchio Continente, e che riporta alla mente semmai i thriller a pochi passi dalla commedia girati dal regista negli anni Trenta, da La signora scompare alla versione inglese de L’uomo che sapeva troppo, fino a Il club dei 39. Il cognome del protagonista già nasconde al proprio interno una sottile ironia: thorn è la spina, quelle che si conficcano nel fianco dell’uomo ingiustamente accusato di un delitto che lo spettatore sa benissimo non aver commesso, mentre hill, collina, rimanda con sghignazzante e sulfurea risata a quel finale montano che farà entrare il film nel mito. Assai distante dal tono plumbeo e disperato del film immediatamente precedente, quel La donna che visse due volte che venne accolto con freddezza e scetticismo prima di essere considerato a livello universale uno dei più cristallini capolavori della Settima Arte (e proprio lo scarso successo del film fece virare Hitchcock verso un progetto così diverso, schivando le richieste della MGM di dirigere I giganti del mare, che poi verrà tradotto in immagini da Michael Anderson), Intrigo internazionale è l’intrattenimento allo stato più puro, così puro da superare le soglie del credibile per entrare nell’astrattismo più totale.

Basta un uomo, una strada che si perde a vista d’occhio, un’area desertica, e l’attesa. Bastano questi elementi, in cui lo spazio e il tempo cozzano tra loro (lo spazio è infinito, il tempo ha una sua scadenza perfino letale) per ridefinire, in circa dieci minuti, il concetto stesso di suspense, portarlo a un livello superiore, là dove solo ai più grandi è consentito accedere. La sequenza dell’attentato alla vita di Thornhill, nel bel mezzo del deserto, con la minaccia che arriva da un aereo che sparge diserbante sui campi di mais e sparacchia a più non posso contro il protagonista, è una delle reali summe estetiche del thriller, un concentrato di ingegno, capacità di gestire lo spazio, ironia nel gioco del gatto col topo con lo spettatore – chi è quell’uomo dall’altra parte della strada? Quando arriverà il torpedone? –, e straordinaria capacità di sovvertire le regole del genere. Tutto si svolge en plein air, all’aria aperta, con il sole battente, in un’anonima e del tutto priva di identità strada di campagna. Nessuno degli elementi canonici del noir e del giallo è presente, e perfino l’arma utilizzata – il succitato aereo – esula dalla prammatica cui può essere abituato lo spettatore. Giunto all’apice della sua carriera, a pochi passi dal termine della stessa (nei successivi diciassette anni girerà solo sette film), Hitchcock non sa più che farsene delle cornici così sbiadite e prive di personalità che l’industria produce a rotta di collo, in maniera quasi incessante. Molti registi si perdono dietro supposti hitchcockismi? Ebbene, sta a lui dimostrare quale e quanta sia la distanza tra l’imitazione e l’originale. In questo senso Intrigo internazionale è la quintessenza della genialità del regista: ogni singola sequenza – il film sembra in molti casi strutturato quasi per accostamento di scene madri, in un processo che però grazie al dinamismo spaziale già citato non produce alcun tipo di straniamento per lo spettatore, né lo scolla dall’interesse per la storia narrata – contiene al proprio interno elementi di reale insubordinazione rispetto alla prassi, anche quando non sono evidenti o maiuscoli come quelli riscontrabili nella scena del deserto (così iconica da ispirare uno dei passaggi più riusciti di Arizona Dream, l’omaggio al (bi)sogno hollywoodiano di Emir Kusturica, con uno spassoso Vincent Gallo). Dall’incipit fino alla conclusione Intrigo internazionale è un vero e proprio fuoco di fila di idee, intuizioni, ragionamenti tanto sul corpo narrativo del film tanto sul significato recondito che ogni singola scelta trascina con sé. Ovvio, tornando per un momento al discorso sull’architettura americana, e il suo sviluppo novecentesco, che dopo Niemeyer e Hardenbergh non si possa esulare da Frank Lloyd Wright: Hitchcock avrebbe voluto proprio girare all’interno della Casa sulla Cascata, ma la famiglia Kaufmann, proprietaria dell’abitazione/oggetto d’arte, non concesse i permessi. Fu quindi ricostruita in studio, per ospitare la magione del villain di turno, un James Mason che di lì a un paio d’anni si sarebbe perso dietro le forme immature di Lo-li-ta. Più Thornhill prosegue nella sua avventura, fatta di doppi e tripli giochi, di potenze straniere – tutte supposte, come quasi sempre in Hitchcock, eccezion fatta per i nazisti e il blocco del Patto di Varsavia ne Il sipario strappato e Topaz –, e mascheramenti d’ogni sorta, più l’impressione è quella di sprofondare in un deliquio onirico, lo stesso di cui viene accusato all’inizio del film Thornhill quando porta la polizia nella casa in cui è stato, seppur per poco, segregato, trovandola completamente diversa. L’acme lo si registra nella maiuscola scena d’inseguimento sul monte Rushmore, con Eva Kendall e Roger Thornhill a pochi passi dal baratro, nascosti sul bordo del naso di Washington o dietro un orecchio di Jefferson: qui lo spazio si fa totalmente astratto, sia nella forma sia nella sostanza – l’uomo comune deve muoversi tra le fattezze abnormi dei grandi padri degli Stati Uniti – e Hitchcock può confrontarsi una volta di più con l’orrido, la caduta nello strapiombo. Lì cade l’assistente di James Mason (un trentenne e pressoché esordiente Martin Landau), e la stessa fine potrebbe colpire Eva. Ma nell’ultimo dei suoi grandi film classici, a pochi passi dall’avvento del moderno che irromperà in una donna con il reggiseno a letto con l’amante e un motel in cui si consumano delitti innominabili (Psycho, per chi non avesse colto il riferimento), Hitchcock non viene meno al suo sentimento, ed ecco che Thornhill tira su Eva scalciante dal burrone e i due si ritrovano, grazie a quell’artificio dello stupore che è il montaggio, nella cuccetta di un treno, pronti per la notte. Si baciano. Il treno entra in una galleria. Parlando di questa scelta conclusiva Hitchcock chioserà così con Truffaut: «È il finale più impertinente che abbia mai girato».

Info
Il trailer originale di Intrigo internazionale.

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