Hollywood Party

Hollywood Party

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Speciale Senza il cinema. Con il cinema.
Apice del sodalizio artistico tra Blake Edwards e Peter Sellers, Hollywood Party è uno strepitoso concentrato di gag dal ritmo incalzante, nella migliore tradizione dei grandi comici americani nonché di Jacques Tati. Edwards ci mette tutto il suo sarcasmo nei confronti del sistema produttivo di Hollywood, e in generale di una società borghese opulenta e gretta che mette ai margini chi reputa inferiore. Alla distruzione di quel sistema concorrono anche i movimenti giovanili pacifisti dell’epoca.

Lei parla indostano?

Hrundi V. Bakshi, un attore indiano che fa la comparsa in un film stile Gunga Din, rovina le riprese a causa della sua estrema goffaggine. Il regista telefona quindi al produttore per far cacciare Bakshi dagli studios, ma la segretaria del produttore, per errore, lo inserisce nella lista degli invitati che parteciperanno ad una festa nella sua lussuosa villa. Durante la festa si susseguono le situazioni più strane e assurde. [sinossi]

Formidabile quell’anno, il 1968, anno della contestazione, inizio di una nuova epoca, anche da un punto di vista cinematografico. Uscirono opere seminali come 2001: Odissea nello spazio, C’era una volta il West, Rosemary’s Baby. Molti videro, in quel contesto, nel diavolo di quest’ultimo film un elemento corrosivo che mina all’interno la società piccolo-borghese incarnata dalla coppia dei protagonisti, lui un mediocre attore fallito. Trasferendoci dall’ambiente newyorkese raccontato da Polanski, alla opulenta aristocrazia californiana, il diavolo sterminatore prende le forme del buffo Hrundi V. Bakshi, uno dei personaggi incarnati dal grande trasformista Peter Seller, nel suo sodalizio con il grande regista di commedie Blake Edwards, nel capolavoro The Party, ribattezzato in italiano Hollywood Party. Si tratta dell’apice della collaborazione tra i due artisti, nonché l’unico loro film al di fuori della serie della Pantera Rosa.

Cosa avrebbe fatto Antonioni se una comparsa avesse per sbaglio fatto detonare prima, di predisporre le macchine da presa, l’esplosione della celebre scena finale di Zabriskie Point? Lo avrebbe allontanato dal set e lo avrebbe fatto interdire da ogni possibile film successivo? In realtà l’esplosione accidentale, causata da Hrundi V. Bakshi sul set, che vanifica la costosa messa in scena, non si discosta concettualmente da quel celebre finale, da quella deflagrazione che getta all’aria i feticci di una società consumistica. La distruzione anzitempo della fortezza, causata da una delle tante azioni maldestre del protagonista, che si allaccia le scarpe sul detonatore, non fa altro che anticipare quella che sarà la sua sistematica distruzione, con gli stessi mezzi, della lussuosa villa dove si svolgerà il party. L’uscita dal film nel film avviene con una rottura brusca della convenzione cinematografica, uno stop del regista che interrompe le riprese, rivelando che il film che credevamo di vedere fino a quel momento, era un film nel film. Lo stesso meccanismo che userà Truffaut per Effetto notte. Il film che si stava girando, doveva essere un kolossal storico, esotico indiano, un’opera calligrafica di matrice kiplinghiana. Bakshi lo definisce quale un film sfarzoso. La scena iniziale riproduce un momento di Gunga Din, quando il portatore d’acqua indiano si sacrifica per segnalare all’esercito britannico l’agguato teso loro dai cattivi selvaggi della setta Thug. Uno di quei film dal fascino esotico, dove qualche luogo della California simulava le ambientazioni dell’India. E peraltro con una posizione smaccatamente colonialista, dove l’unico indiano buono è quello filobritannico. Quando Bakshi incontrerà al party il famoso attore di western, questo giocherà con lui apostrofandolo come muso rosso, segnalando quella tradizione di villain assegnata ai nativi americani in tanto cinema hollywoodiano. La presenza del pasticcione Hrundi V. Bakshi nel film del film è già sufficiente per trasformarlo in satira.

Con The Party Blake Edwards riesce a congegnare un meccanismo perfetto di gag, sostanzialmente riconducibili allo schema del pasticcione maldestro e alla lotta contro gli oggetti, nella piena tradizione dei comici dell’età dell’oro e di Tati. Un’opera anarchica già nella sua lavorazione, su uno script che era solo un canovaccio, su cui costruire il film mano a mano che avanzavano con le riprese. La scenografia della lussuosa villa, con piscina interna e canali che creano giochi d’acqua, governata da meccanismi domotici ante litteram, si trasforma in una trappola continua per il povero protagonista. L’esplorazione degli interni della dimora è vista inizialmente ad altezza piedi, come l’incipit di L’altro uomo. Le scarpe della cameriera incontrano quelle di Bakshi, bianche, una delle quali è sporca. Sulle scarpe di Sellers si giocano numerose gag, già da quando, nel prologo, se le allaccia sul detonatore. In The Party ci sono gag reiterate, per esempio quella della padrona di casa che sviene inorridita e cade nell’acqua, o quella del cameriere che offre i due bicchieri nel vassoio finendo per berseli lui, e gag che si trasmettono: Bakshi che mette la mano nel vassoio di caviale e continua a dare la mano a persone che poi si accorgono di quell’insolita puzza. Ci sono i cosiddetti throwaway, i contrasti che si creano tra un’azione sullo sfondo e il primo piano dell’inquadratura, come quello in cui il cameriere viene catapultato sulle scale cercando di tenere il vassoio in equilibrio, dietro a una discussione animata del direttore di produzione con l’attrice francese. Il geniale Peter Sellers si fa portatore di quella comicità slapstick che Edwards rivendica come marchio di fabbrica e che contrappone a quel mondo ottuso della cupola di produttori hollywoodiani, incapaci di umorismo se non per delle barzellette patetiche, solo comicità verbale.

Hrundi V. Bakshi nel party cerca di comunicare, inserirsi nelle conversazioni ma invano. Viene relegato al ruolo di tappezzeria e finanche a cena è costretto a sedersi su un piccolo sgabello. È espressamente guardato con sufficienza dall’alta società presente al party perché straniero. È mortificato per tutti i danni che combina e si scusa con i padroni che ipocritamente fingono di perdonarlo. Gli unici a provare simpatia per lui sono l’attore cowboy e la sua ragazza italiana e poi Claudine, l’attrice francese. Sono personaggi positivi quindi gli artisti e gli stranieri. Doppio di Bakshi è il cameriere che finisce per bere uno dei due bicchieri, o entrambi, che dovrebbe porgere agli ospiti. Diventa ben presto ubriaco fradicio e combina anche lui disastri ed è per questo malmenato dai suoi superiori. L’etilismo torna spesso nel cinema di Edwards che l’aveva affrontato in chiave drammatica ne I giorni del vino e delle rose. Film che pure inizia con un party esclusivo, su uno yacht, dove l’alcol scorre a fiumi, e dove lo stato di ubriachezza porta alla distruzione, della casa, incendiata, o della serra. Hanno la dimensione di ubriachi i suoi antieroi, come l’ispettore Closeau, anche se astemi come proprio Bakshi che da indiano non beve alcol. Claudine è la donna angelicata, che non può reggere quel gioco squallido di sottomissione per la carriera. A lei è assegnato il momento sublime, il compito di cantare la canzone che Henry Mancini ha composto per il film, dal titolo Nothing to Lose, come prassi nel suo lavoro con Edwards. Durante la scena in bagno si ode in sottofondo il motivo di Meglio stasera, la canzone de La pantera rosa, autocitazione di Edwards e Mancini. Tra Claudine e Bakshi nasce un senso d’affetto nella affinità tra emarginati. Alla fine i due si allontaneranno insieme, come nel finale di Tempi moderni, ancora sulle note di Nothing to Lose.

La satira di Edwards è dunque rivolta al sistema produttivo di Hollywood, come farà in maniera ancor più corrosiva in S.O.B., che mette alla berlina nelle figure del direttore di produzione Divot e del produttore Clutterbuck, detto “il generale”. Il primo si accompagna con belle donne che usa come oggetti sessuali in cambio di promesse di successo, che abbandona se queste non ci stanno. Il secondo è un uomo di potere corpulento che mostra il suo vero volto cinico quando, a casa allagata, si preoccupa più dei gioielli e dei quadri di valore che non della moglie. I quadri d’autore sono dei feticci di potere, messi anche nel bagno, e la loro cancellazione, come aveva fatto Bakshi con la carta igienica su uno Chagall che era appeso sopra il water, rappresenta la vacuità di quella ostentazione. L’atto dello scolorimento torna nel film, come messa a nudo, e, quando verrà lavato l’elefantino, si genererà la liberazione finale. Il sarcasmo di Edwards su quella società ha anche una connotazione smaccatamente politica. Il generale offre dei pregiati sigari agli ospiti, lamentando che sono gli ultimi rimasti prodotti in epoca pre-castrista. Quando la moglie gli dice che stanno per arrivare i russi, manifesta uno sguardo perplesso. La moglie quindi specifica che si tratta dei ballerini russi, ma il suo sconcerto non passa. Saranno invece proprio i ballerini russi, insieme con i ragazzi hippy a scatenare la vera festa con musica e danze scatenate, facendo degenerale quello che era un ricevimento formale di lusso. Si arriva così alla catarsi, al caos totale, al rilascio dei freni inibitori, con la schiuma che si genera dal lavaggio dell’elefantino che straborda ovunque, la distruzione di quello spazio che contiene quella società gretta e meschina.

Ancora una volta Peter Sellers raggiunge vette di istrionismo notevoli. Per la seconda volta, dopo La miliardaria, interpreta un personaggio indiano, e, vedendo il film in lingua originale, si può apprezzare come l’attore avesse mimato un accetto indiano autentico, come quello francese dell’ispettore Clouseau. Il film ha ricevuto critiche di razzismo. Vero che la raffigurazione dell’indiano ci appare oggi stereotipata, ma alla luce di tutto, è chiaro che il personaggio di Hrundi V. Bakshi è una vittima, un ingenuo in un mondo di corrotti. La figura del pasticcione che, con la sua goffaggine, smaschera e ridicolizza i potenti, come i veri mediocri, sarebbe stata ulteriormente nobilitata dallo stesso Sellers con la sua grande interpretazione in Oltre il giardino. La figura di Hrundi V. Bakshi è buffa, alternativa già nella sua macchinina che contrasta, nel parcheggio, con le macchine lussuose del gotha dell’industria del cinema. È portatore della sua cultura, è pacifista, chiede ai ragazzi di lavare l’elefantino perché non può tollerare che sia stato dipinto un animale a lui sacro. La musica dei titoli di testa, come sempre del grande Henry Mancini, subisce un’impronta di sonorità indiane, impresse diegeticamente dallo stesso Bakshi che suona il sitar. Vediamo brevemente la sua casettina, con un giardino coloratissimo, pieno di fiori. E alla fine rivela anche di avere una scimmia che si chiama Apu.

Info
Il trailer di Hollywood Party.

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