Zabriskie Point
di Michelangelo Antonioni
Primo dei due film americani di Michelangelo Antonioni, Zabriskie Point rappresenta la visione dell’autore ferrarese sugli USA della contestazione e del Vietnam. Il film ritrae due giovani, due spiriti liberi che si estraniano dal proprio contesto sociale per trovare, nel punto più estremo del deserto, la catarsi, la libertà assoluta, la fuga dal mondo. Un momento destinato a essere effimero.
Il deserto rosso, bianco e blu
Nell’America degli anni della contestazione giovanile e del Vietnam, a Zabriskie Point, nel paesaggio estremo della Death Valley, si incontrano due perfetti estranei. Mark, un giovane sognatore universitario in fuga per l’accusa della morte di un poliziotto durante i tafferugli nel campus, ruba un piccolo aeroplano e vola attraverso il vasto deserto californiano. La sua traiettoria incrocia quella di Daria, impiegata presso una società immobiliare, la Sunnydunes, che sta guidando in una strada nel deserto con la sua Buick. I due giovani ribelli si incontreranno facendo l’amore sul terreno polveroso di Zabriskie Point. [sinossi]
Nella storia del cinema si ricorda Il deserto rosso come esempio di uso espressivo del colore, ottenuto intervenendo sulla realtà, dipingendo muri, alberi e case. Il titolo di quel film esprime un deserto dell’anima, rosso perché sanguinante. Due film dopo, Michelangelo Antonioni, nella sua prima avventura americana dopo la Swinging London di Blow-Up, approda a un deserto autentico con Zabriskie Point, nella vastità del territorio americano, in quella Death Valley tanto carica di ricordi cinematografici. A intervenire nella realtà colorandola, nell’illusione di renderla più bella, sono nel film i due giovani protagonisti, Mark e Daria, che incarnano lo spirito autentico della rivoluzione filosofica dell’epoca, della controcultura, che dipingono il piccolo aeroplano Cessna, già mezzo della fuga del ragazzo che se ne è facilmente impossessato senza quasi la consapevolezza di averlo rubato. Lo riempiono di colori e di scritte pacifiste e contro il capitalismo e disegnano un grande seno sulle ali, inno alla libera sessualità. Al suo atterraggio con quell’aereo dipinto, Mark sarà prontamente freddato, accerchiato dalle macchine della polizia come in un film americano, eliminato come ci si libera di un corpo estraneo, con la stessa facilità con cui sono uccisi i protagonisti nel finale di Easy Rider. Cancellato da una società dedita al profitto che non tollera la fantasia e l’arte. Lui che aveva manomesso il computer della sua università facendo fare corsi d’arte agli ingegneri, il che ricorda il protagonista di Lo zoo di vetro di Tennessee Williams che viene licenziato per aver scritto una poesia su una scatola di scarpe. In Zabriskie Point il deserto è dipinto naturalmente come la spiaggia di Budelli del film precedente, e i manufatti artificiali, quelle cabine di color rosso sgargiante, si distinguono per contrasto cromatico. Come recita il cartello, lo Zabriskie Point rappresenta il punto di osservazione del paesaggio della Death Valley, che è un antico territorio lacustre prosciugatosi dai 5 ai 10 milioni di anni fa, ed eroso dagli agenti atmosferici. Un ambente estremo e maestoso, reso tale dalla primordiale assenza d’acqua.
Antonioni prosegue con la sua lettura del territorio, nel conflitto tra paesaggio antropizzato, industriale, urbano, e naturale, dove il primo sta lentamente inglobando il secondo (il destino dei paesaggi italiani del ravennate e del ferrarese di Il grido o Il deserto rosso cari all’autore) anche nell’America dove sopravvivono ancora vasti territori incontaminati, appetibili per la speculazione edilizia, dalla rapacità immobiliare. Lettura che il regista sviluppa nelle antinomie di colori naturali e artificiali, e di assenza e presenza d’acqua. L’invasione antropica nel deserto passa per il trasferimento d’acqua, con la realizzazione di bacini idrici artificiali (come evidente in Chinatown di Polanski) per la realizzazione di nuove oasi di villaggi nel deserto, di piscine come quella della lussuosa villa di Lee. Ambienti artificiali patetici, come si mostra nello spot della Sunnydunes, fatto con manichini, in un’estetica misera e kitsch, dove la prima cosa che si mostra, nella partita a tennis del futuro villaggio residenziale, è proprio quella pallina mancante del cinema del regista. L’acqua equivale all’oro in quei territori, come dicono i rapaci imprenditori immobiliari, o al petrolio. I distributori di benzina sono l’avamposto del paesaggio industriale (come ancora in Il grido), in un territorio dove l’acqua è disponibile solo per i radiatori, per far bere l’automobile, estroflessione dell’individuo negli sterminati paesaggi americani. L’assenza d’acqua in Zabriskie Point rappresenta il baluardo ultimo dove ancora non è arrivata la civiltà, la frontiera americana. La famigliola che attraversa il deserto, con un camper e un surreale motoscafo a traino, rappresenta la grettezza della cultura colonica americana, non in grado di percepire la bellezza di quei luoghi, adatti giusto per farci un bel drive-in, come commentano. Il paesaggio desertico è colto nella sua rarefazione estrema, nell’essere terra di nessuno, come rappresentato poi anche da Philippe Garrel in La cicatrice intérieure. Nell’assenza d’acqua, nel punto più lontano dalla civiltà, avviene l’incrocio inverosimile tra due traiettorie, tra due esseri che vagano senza meta in fuga dalla civiltà, una ragazza in macchina e un ragazzo in aereo. Incontro che diventa una manifestazione del libero amore, uno dei cardini della rivoluzione dei costumi dell’epoca che Antonioni raffigura in chiave metaforica, come movimento filosofico, che non combacia con le assemblee e i moti di protesta dell’inizio. La famosa scena dell’amplesso, con i corpi polverosi, che si moltiplica in una gran quantità di coppie che giacciono insieme, che fanno l’amore nel deserto, all’assolo di chitarra di Jerry Garcia, in uno spazio ancestrale, un limbo al di fuori del tempo e del mondo, è un momento sublime, primordiale, naturale, senza inibizioni, depurato da qualsiasi connotazione morbosa, di erotismo. Viene messo in scena dagli attori dell’Open Theater di Joseph Chaikin, il gruppo d’avanguardia di cui faceva parte lo stesso Sam Shepard, tra gli sceneggiatori del film, riproducendo il brano dell’esperienza sessuale terrena di Adamo cacciato dal Paradiso, dal loro spettacolo The Serpent. Celebre anche l’esplosione finale del film, sulle note dei Pink Floyd, la distruzione dei simboli e feticci della società consumistica, ancora un momento onirico basato sulla moltiplicazione, della scena stessa, che potrebbe ripetersi all’infinito, e dei punti di vista, 17, in luogo dell’unico punto di osservazione della veduta dello Zabriskie Point.
L’America colta da Antonioni è fatta di conflitti tra natura e cultura pop, cartelli pubblicitari kitsch, città e degrado industriale, discariche e raffinerie. La società americana è descritta in modo che oggi può sembrare stereotipato. Una società dove non si sa chi sia Karl Marx, dove la colf ha i tratti dei nativi americani, dove le armi vengono facilmente vendute da un negoziante che suggerisce: «Se gli sparate in giardino, portateli dentro» in modo che risulti legittima difesa per violazione di domicilio, e dove alla radio si parla della guerra in Vietnam. Ovviamente c’è anche tanto cinema che torna, dall’aereo a bassa quota di Intrigo internazionale, dal poliziotto con occhiali da sole, simbolo di un potere pervasivo che tutto controlla e da cui nascondersi, dai bambini inquietanti da Il villaggio dei dannati, dall’esplosione finale che richiama l’apertura del vaso di Pandora di Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly). E in generale le tematiche dell’evasione, della condizione di fuorilegge, la deriva, ci portano a tanto cinema hollywoodiano, tanto classico (Detour – Deviazione per l’inferno) quanto alla New Hollywood (Easy Rider, Strada a doppia corsia).
Info
La scheda di Zabriskie Point su Wikipedia.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Zabriskie Point
- Paese/Anno: USA | 1970
- Regia: Michelangelo Antonioni
- Sceneggiatura: Clare Peploe, Franco Rossetti, Michelangelo Antonioni, Sam Shepard, Tonino Guerra
- Fotografia: Alfio Contini
- Montaggio: Franco Arcalli, Michelangelo Antonioni
- Interpreti: Bill Garaway, Daria Halprin, G.D. Spradlin, Harrison Ford, Jim Goldrup, Kathleen Cleaver, Lee Duncan, Mark Frechette, Michael L. Davis, Paul Fix, Peter Lake, Rod Taylor
- Colonna sonora: Jerry Garcia, Pink Floyd
- Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer (MGM)
- Durata: 113'
