A Chiara

A Chiara

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A Chiara di Jonas Carpignano non è la “versione breve” del lungometraggio omonimo, ma la dimostrazione di una dinamica lavorativa, di una prassi del cinema che nasce dalla conoscenza e dalla relazione umana per svilupparsi in narrazione in un secondo momento. Evento di chiusura fuori concorso nella sezione SIC@SIC della Settimana Internazionale della Critica di Venezia.

Risvegli notturni

Chiara sente che c’è qualcosa che non va. Ha degli strani presentimenti che non riesce a spiegare alla madre e alla sorella. Durante la notte, dopo aver sentito una concitata discussione fra i suoi genitori, e dopo avere assistito a un episodio sconcertante, il suo mondo comincia a ribaltarsi e le sue sicurezze a venir meno. Realtà e sogno si confondono e la vita di Chiara sarà cambiata per sempre. [sinossi]

Chissà in quanti, nello sfogliare distrattamente il programma della trentaseiesima Settimana Internazionale della Critica, avranno dato per scontato A Chiara di Jonas Carpignano, magari addirittura pensando che si trattasse di un “recupero” del film proiettato in anteprima mondiale a Cannes all’interno della Quinzaine des réalisateurs – da cui è uscito brandendo il premio Europa Cinemas Label. Oppure si sarà pensato che Carpignano, desiderando non perdere per strada passaggi esclusi dal montaggio definitivo del film, avesse deciso di trarne un cortometraggio, una versione breve. In molti probabilmente hanno mosso la propria mente in una delle succitate direzioni. Sbagliando. Chi ben conosce le abitudini del trentasettenne cineasta sa che ogni volta che una narrazione inizia a prendere corpo nella sua mente si rende necessaria intrappolarla nella retina dell’occhio, fermarla attraverso l’immagine per valutarne la consistenza, prendere le misure, iniziare ad avere reale dimestichezza con ciò che poi, nel tempo, si trasformerà in un lungometraggio. Fu così con Mediterranea, anticipato nel 2011 – vale a dire quattro anni prima della partecipazione alla Semaine de la Critique del lungo – dal film breve A Chjàna, presentato e premiato alla Mostra di Venezia nell’ultima edizione in cui era presente “Controcampo Italiano”, la sezione voluta da Marco Müller per cercare di fare il punto sulla produzione nazionale. Per quanto in pochi probabilmente ne abbiano contezza esiste anche una versione breve di A Ciambra, vista nel 2014 alla Semaine, tre anni prima che il lungometraggio venisse accolto da scroscianti applausi nella sala del Marriott, luogo deputato alle proiezioni della Quinzaine. L’anomalia, se così la si vuole apostrofare, di A Chiara, presentato come evento di chiusura fuori concorso per la sottosezione SIC@SIC, sta semmai nel fatto che per la prima volta nella pur giovane carriera di Carpignano il cortometraggio che ha fornito spunti estetici e narrativi al regista per la seguente realizzazione del progetto viene proiettato dopo che il lungometraggio ha già avuto la sua prima mondiale. Per questo non si può però che incolpare la pandemia legata al diffondersi del COVID-19, e le restrizioni che hanno rallentato, modificato e in molti casi persino bloccato il percorso festivaliero. Merito doppio dunque quello della Settimana della Critica veneziana, che ha permesso di non perdere per strada un’opera preziosa, tanto per quel che avviene in scena che per il significato che porta nel suo stesso esistere.

Cos’è, a conti fatti, la versione corta di A Chiara? La domanda è legittima, visto che il film è stato girato prima del lungometraggio, ma quando questo aveva già una struttura narrativa chiara – si perdoni il gioco di parole – e forte. Ebbene, A Chiara è uno squarcio di luce nel pieno della notte. Anzi, come suggerisce benissimo l’incipit, un’irruzione della realtà nel progredire quotidiano della natura: nella prima sequenza la quattordicenne Chiara è sulla battigia, davanti alle onde del mare che si infrangono sulla terra per poi ritrarsi. Il rumore dell’acqua arriva alle orecchie dello spettatore quando gli occhi sono ancora imprigionati dal titolo. Chiara cerca qualcosa, forse, attorno ai piloni di legno del molo, e la luce del cellulare – la realtà – si sostituisce a quella della luna – la natura. Oi il telefono squilla, e anche se la ragazzina non risponde alla chiamata della madre il vago sentore onirico che accompagnava l’azione è costretto a venire meno, a svanire. Questa luce nella notte, che Carpignano insegue per tutto il cortometraggio, è anche l’immagine evocativa di un’adolescente che si ridesta da un sogno per scoprirsi in un incubo, e cerca di illuminare con le armi che ha a disposizione un buio che la avvolge e la circonda. È interessante notare come la dimensione onirica sia qui presente in modo molto più ottundente rispetto a un film che si muove con maggior decisione nelle direttrici del “reale”, pur nella consueta complessità intima, emotiva, psicologica e antropologica che è una delle costanti nel cinema di Carpignano. Nel suo approccio a un mondo che deve imparare come raccontare, il regista si muove nel limbo tra sogno e realtà, tra percepito ed evidente. Il finale, con quell’effetto speciale che porta direttamente la mareggiata in casa, quando oramai non esiste più un luogo sicuro per proteggersi dalle ugge del vero, è in tal senso a dir poco esemplificativo.

Al di là di questo, anche sotto il profilo puramente teorico A Chiara si dimostra un testo di notevole interesse, nonché un punto di partenza fondamentale per cercare di comprendere il senso profondo e non superficiale dell’approccio registico di Carpignano, osservabile da un punto di vista privilegiato quanto inedito. Perché per quanto sia interessante riscontrare durante la visione affinità e divergenze rispetto al testo filmico già conosciuto e apprezzato a Cannes, A Chiara non è la “versione breve” del lungometraggio omonimo, ma la dimostrazione di una dinamica lavorativa, di una prassi del cinema che nasce dalla conoscenza e dalla relazione umana per svilupparsi in narrazione solo in un secondo momento. Il cortometraggio proiettato a Venezia è una tappa di avvicinamento, il campo controcampo ideale tra il regista e la sua protagonista, un momento di conoscenza che non può che passare anche attraverso l’immagine filmata, perché il cinema non è il superamento della vita ma la sua sublimazione, in cui tangibile e ideale riescono a fondersi l’uno nell’altro e a trovare una propria forma autonoma. A Chiara, come suggerisce il titolo, è un dono, un omaggio, una dedica alla sua protagonista. L’atto del meraviglioso, per sgraffignare i termini ad Antonin Artaud, rivive nel cinema di Carpignano, ed è per questo che ogni sua sortita registica appare indispensabile.

Info
A Chiara sul sito della SIC.

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