Les Pires

Esordio alla regia di due ex direttrici di casting, Les Pires di Lise Akoka e Romane Gueret fa confluire continuamente cinema e vita per un racconto metacinematografico tutt’altro che cervellotico e, anzi, pieno di umanità. In concorso a Cannes nella sezione Un certain regard.

Le plat pays

Un gruppo di adolescenti scelti per strada nel loro quartiere e selezionati per recitare in un lungometraggio durante l’estate. [sinossi]

Quando, solo dopo aver visto Les Pires, in concorso a Cannes 75 in Un certain regard, abbiamo scoperto che le due registe, Lise Akoka e Romane Gueret, sono state entrambe direttrici di casting, allora ci è apparso tutto perfettamente chiaro e giusto. Forse è la prima volta – ma siamo pronti a essere smentiti – che qualcuno specializzato nei casting si trovi a passare dietro alla macchina da presa e che, nel farlo, si metta a ragionare proprio su questo particolare aspetto del fare cinema, forse quello più contiguo al reale, al mondo esterno, alla vita; quello che sostanzialmente si sobbarca il compito di far travasare la realtà nel cinema, di mediare tra l’una e l’altro. E non è un caso che Lise Akoka e Romane Gueret siano soprattutto specializzate nel lavorare con attori non professionisti, in particolare bambini.

Les Pires inizia dunque con alcuni casting in cui vengono scelti i ragazzi protagonisti per un film da girare a Boulogne-sur-Mer, all’estremo nord della Francia, un film diretto da un regista belga in cerca di storie di degrado sociale, nella cui figura forse si allude ai fratelli Dardenne e al loro modo di fare cinema. Fatti i casting, il film nel film inizia e subito veniamo catapultati in un mondo alla Effetto notte, dove però, più che la magia atemporale del cinema, ciò che si cerca di portare alla luce è il realismo esasperato, come la rissa tra il ragazzino protagonista e alcuni compagni di classe che hanno insultato sua madre, una rissa che fatica a esplodere e che però quando deflagra fa perdere del tutto il controllo ai ragazzini. Lise Akoka e Romane Gueret ci mostrano dunque le contraddizioni insite nel portare il cinema, la finzione, all’interno del mondo reale, nella quotidianità di persone che non hanno mai visto un set in vita loro. E, a più riprese, il regista belga e la produzione verranno contestati, non solo dal ragazzo che si vergogna di aver partecipato a una scena di sesso, ma anche da tutta la comunità che ad un certo punto si lamenta del fatto che siano stati scelti come attori dei ragazzi del posto quando invece si potevano chiamare degli attori veri. E in questa scena, che arriva verso la fine di Les Pires, un’altra accusa che viene fatta è quella di volersi andare a cercare per forza delle situazioni di degrado, rovinando così l’immagine del quartiere; una polemica che non può non far venire in mente anche quel che accade da noi, basti pensare alla Napoli camorristica di tanti film e serie TV.

Ma i lati oscuri in fin dei conti soccombono di fronte agli aspetti positivi del fare cinema. Ed è qui, in questo continuo travaso tra cinema e vita che Les Pires acquista il suo vero valore, in particolare in quelle sequenze in cui i ragazzini protagonisti confessano al regista o all’aiuto-regista delle cose personali mai raccontate a nessuno, oppure dove – al contrario – è lo stesso regista a confessarsi con i suoi attori, raccontando aspetti sgradevoli di sé. Dunque, Lise Akoka e Romane Gueret sembrano volerci dire che il cinema è sì un processo di falsificazione, ma è anche un meccanismo che ti costringe a guardarti in faccia, a non mentire più a te stesso, e dunque a stare meglio. Il cinema come educazione alla vita: è questo l’insegnamento prezioso di Les Pires.

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