Il mostro della laguna nera

Il mostro della laguna nera

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Con Il mostro della laguna nera Jack Arnold riesce nel difficile compito di amalgamare le suggestioni più differenti senza per questo perdere di vista l’obiettivo spettacolare. Ne viene fuori un classico della fantascienza a basso costo, imitato e omaggiato nel corso dei decenni e ancora modernissimo, con l’ineguagliata poesia in movimento della nuotata speculare tra Kay e la creatura. Al Trieste Science+Fiction Festival nella sezione Classix.

La difformità dell’acqua

Nel folto dell’Amazzonia vengono rinvenuti i resti fossili di una creatura misteriosa; un gruppo di ittiologi statunitensi si reca sul posto, e si troverà costretto ad affrontare un nemico sconosciuto, dalla forma umanoide ma in grado di vivere sott’acqua. [sinossi]

“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta. Questo è il neonato pianeta Terra; la sua temperatura scende rapidamente, da 3000 a poche centinaia di gradi in meno di 5 miliardi di anni. Il calore sale, incontra l’atmosfera, si formano le nuvole e per secoli la pioggia cade sulla superficie in fase di solidificazione. I mari inquieti crescono, trovano delle barriere, vengono arginati. Poi, nella calde profondità marine, ha inizio il miracolo della vita. Compaiono infinite varietà di creature, che si evolvono e raggiungono la terra lasciando una traccia del loro arrivo, della loro lotta per la sopravvivenza, e della loro scomparsa. Le tracce della vita sono impresse nella terra dove, 15 milioni di anni più tardi, nel tratto superiore del Rio delle Amazzoni, l’uomo cerca ancora di interpretarle”. Queste le parole, pronunciate dalla voce di Art Gilmore (speaker radiofonico che fu tra i narratori per eccellenza del cinema statunitense a cavallo tra gli anni Quaranta e Sessanta: lo si può ascoltare tra gli altri in Sabotatori e La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, Rapina a mano armata di Stanley Kubrick, Le folli notti del dottor Jerryll di Jerry Lewis, Ribalta di gloria e L’alibi di Satana di Michael Curtiz, The Man Who Dared di John Sturges, Un posto al sole di George Stevens – è sua anche la voce del trailer originale de Il buio oltre la siepe, che nel 1962 Robert Mulligan trasse dal capolavoro letterario di Harper Lee), su cui si apre Creature of the Black Lagoon, vale a dire Il mostro della laguna nera. Un incipit che in qualche misura sembra quasi anticipare, e rovesciare, il celeberrimo monologo scritto da Richard Matheson che conclude Radiazioni BX: distruzione uomo: “Sono così vicini l’infinitesimale e l’infinito. Ma ad un tratto capii che erano due termini di un medesimo concetto. Lo spazio più piccolo e lo spazio più vasto erano nella mia mente i punti di unione di un gigantesco cerchio. Guardai in alto come per cercare di aggrapparmi al cielo: l’Universo, mondi da non finir mai, l’arazzo argenteo di Dio sul cielo notturno. E in quel momento trovai la soluzione all’enigma dell’infinito. Avevo sempre pensato nei limiti della mente umana, avevo ragionato sulla natura. L’esistenza ha principio e fine nel pensiero umano, non nella natura. Sciogliersi, diventare il nulla, le mie paure svanivano, e venivano a sostituirle l’accettazione. La vasta maestà del creato doveva avere un significato, un significato che io dovevo darle. Sì. Più piccolo del più piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto ancora”.
Non è così casuale mettere l’uno a fianco all’altro questi due film, usciti nelle sale statunitensi a tre anni di distanza (Il mostro della laguna nera nel marzo 1954, Radiazioni BX: distruzione uomo nell’aprile 1957), visto che condividono lo stesso regista. Lo scorso marzo sono rintoccati i trent’anni dalla scomparsa di Jack Arnold, e in pochi soprattutto nelle giovani generazioni sembrano serbare memoria di questo cineasta acuto, dalla forte impronta autoriale ma allo stesso tempo a suo agio con le pretese dell’industria, e ancor più con le sempiterne ristrettezze del budget. Quando l’ittiologa Kay fa notare al focoso collega e fidanzato David che nonostante il suo spirito puramente capitalista c’è bisogno di una persona come il loro capo Mark perché altrimenti la ricerca non avrebbe i finanziamenti per procedere sembra quasi di leggere un riferimento al ruolo del produttore, che guarda prioritariamente al guadagno della pellicola senza andare troppo per il sottile rispetto ai tecnici – gli scienziati – che sono più attratti dalla possibilità di sperimentare.

Dopotutto la persona a cui si deve Il mostro della laguna nera, vale a dire William Alland, nacque come attore, e per di più al fianco – a teatro, in radio, e quindi al cinema – di un rivoluzionario come Orson Welles, che in Quarto potere arriva ad affidargli il ruolo di Jerry Thompson, il giornalista che deve scoprire il significato di “Rosebud”, l’ultima parola pronunciata dal magnate Charles Foster Kane prima di morire. Proprio durante il tour promozionale di Citizen Kane Alland si ritrovò a chiacchierare con Gabriel Figueroa, tra i più grandi direttori della fotografia messicani (lavorò per Sergej Ėjzenštejn a ¡Que viva México!, e quindi tra gli altri con Fernando de Fuentes, Fernando Soler, Emilio Fernández, Roberto Gavaldón, Roberto Rodríguez, e Ismael Rodríguez: diede il suo contributo a ben sei film messicani di Luis Buñuel, tra i quali Los olvidados, Él, e L’angelo sterminatore), che gli raccontò una leggenda secondo la quale l’Amazzonia avrebbe celato nella sua misteriosa foresta una creatura metà uomo metà pesce: Alland elaborò l’idea nel corso degli anni, riuscendo a trasformarla in realtà solo dopo oltre un decennio. Subito prima di iniziare le riprese il produttore si presentò davanti alla commissione per le “attività antiamericane”, si autodenunciò come comunista – pentito, ovviamente – e fece il nome di alcuni compagni: nonostante questo tradimento il film trasuda di vaghe reminiscenze socialiste, sia nella rappresentazione del mostro che nelle dinamiche di classe, e nella già citata messa alla berlina dell’essere umano spinto in avanti solo dalla sete di potere economico. A distanza di quasi settant’anni dalla sua realizzazione, Creature of the Black Lagoon continua a sorprendere per la straordinaria capacità di mescolare insieme le suggestioni più varie senza per questo perdere mai di vista l’orizzonte, e con un rigoroso senso del ritmo. Tra vagheggiamenti evoluzionistici, come quello racchiuso nel già citato incipit, riallacci al sempiterno tema de La bella e la bestia che già era alla base di King Kong – cui evidentemente il film guarda, e non potrebbe essere altrimenti –, triangoli amorosi, una spruzzata scientifica come ad esempio il riferimento ai dipnoi, battaglie subacquee e dirazzamenti puramente orrorifici, Jack Arnold riesce in realtà a costruire un prototipo, che attraverserà i decenni solleticando molti registi (si pensi a quanto il bagno solitario di Kay somigli alla prima sequenza de Lo squalo di Steven Spielberg, che poi riprenderà anche altri elementi come ad esempio le strutture stesse dell’imbarcazione messe a repentaglio dalla forza bruta della “bestia”) fino a spingere Guillermo del Toro in direzione del cripto-remake con La forma dell’acqua, senza per questo rinunciare allo spettacolo puro.

Si consideri per di più che Il mostro della laguna nera venne distribuito negli Stati Uniti d’America ricorrendo alla visione tridimensionale, e a questo si devono alcuni accorgimenti nelle inquadrature, su tutte ovviamente la mano-zampa palmata della creatura che esce dall’acqua per muoversi verso la macchina da presa, e dunque verso gli occhi degli spettatori. Nell’Italia ancora in fase di ricostruzione dopo il disastro bellico non c’erano invece fondi adeguati per modernizzare le sale in direzione della stereoscopia, e così il film venne distribuito nella versione canonica. Nulla di grave, verrebbe da sottolineare, visto che la perdita del 3D non riduce certo la meraviglia di fronte al nuoto specchiato tra Kay e la creatura, una delle sequenze più liriche, libere, e “desideranti” dell’intera storia del b-movie, e non solo. Così come non viene meno il senso dello specchio d’acqua, la linea divisoria che separa il moderno dall’antichissimo, la forza di gravità dalla forza di Archimede, l’umano dal mostruoso che altro non è se non il suo progenitore. Così come accadrà in Tarantola, Ricerche diaboliche, e il già citato Radiazioni BX: distruzione uomo, Arnold non vede nel diverso un colpevole, e per quanto sia magari necessario combatterlo – per difendersi, visto che la creatura non è certo amichevole nei confronti degli umani, a partire dai due assistenti brasiliani uccisi nella tenda –, ciò non toglie che sia degno di pietas, e lo testimonia proprio il finale, quando David esorta i suoi compagni d’avventura a non sparare ulteriormente mentre il loro “nemico” torna a inabissarsi. Il regista che per primo aveva raccontato gli alieni non come perfidi invasori ma solo come viaggiatori interstellari (Destinazione… Terra!, 1953), si spinge a vedere anche nel “mostro” l’umanità, per rappresentarne la complessità. Anche per questo motivo stona molto il titolo italiano, con creatura – accezione neutra, scevra da pregiudizi morali – che viene abbandonato a favore di mostro, forse per convincere il pubblico che ci sarà da spaventarsi durante la visione. In fin dei conti avevano capito tutto il drammaturgo George Axelrod e Billy Wilder che in Quando la moglie è in vacanza fanno affermare a una sublime Marilyn Monroe, appena uscita dal cinema dove proiettano il film di Arnold: “A lei non è piaciuto questo film? A me sì, ma mi è dispiaciuto tanto per il mostro, alla fine. […] Faceva paura a guardarlo, però in fondo non era cattivo, forse cercava solo un po’ d’affetto. Non so, di sentirsi amato, desiderato, coccolato”. Un istante più tardi lo spostamento di vento provocato attraverso una grata dalla metropolitana darà vita a una delle immagini più celebri e celebrate dell’intera storia del cinema. Ma questa è un’altra storia.

Info
Il mostro della laguna nera sul sito del Trieste S+F.

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