Hypnotic

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Nell’anno in cui sulla Croisette l’amico fraterno Quentin Tarantino si presenta per parlare di cinema partendo dalla riscoperta di Rolling Thunder, Robert Rodriguez porta tra le “séances de minuit” Hypnotic, thriller psicologico con protagonista Ben Affleck. Un lavoro in gran parte di prammatica, ma che riesce a dire qualcosa sul senso della messa in scena, e sulla vita come rappresentazione.

Find Lev Dellrayne

La vita del detective di Austin Danny Rourke è cambiata in modo radicale dal giorno in cui gli è stata rapita sotto gli occhi la figlioletta di sette anni, scomparsa poi nel nulla. Ora Rourke si affida alle cure di una psicologa, con scarsi risultati, fino a quando non riceve una telefonata anonima che lo indirizza verso una bizzarra rapina a una banca… [sinossi]

Era già accaduto nel 2019, quando C’era una volta… A Hollywood aveva preso parte alla corsa per la Palma d’Oro (assegnata dalla giuria a Parasite di Bong Joon-ho) nei giorni in cui alla Quinzaine des réalisateurs si poteva ammirare Red 11, e si è replicato anche nel 2023: i fratelli non di sangue Quentin Tarantino e Robert Rodriguez si sono ritrovati sulla Costa Azzurra, a Cannes, durante le giornate del festival. Stavolta è toccato a Tarantino fare la sua apparizione nella sala del Marriott, tradizionale sede della Quinzaine – da quest’anno ribattezzata “des cinéastes” – dove un pubblico di affezionati cultori l’ha sentito parlare della sua visione di cinema a partire dalla pubblicazione di Cinema Speculation dopo aver goduto sul grande schermo di Rolling Thunder di John Flynn nella copia personale 35mm del regista. Proprio sul filo di lana, il penultimo giorno di festival, è invece stato presentato nella sezione ufficiale, tra le cosiddette “séances de minuit” Hypnotic, il nuovo film diretto da Rodriguez. La presenza al Grand Théâtre Lumière – e il giorno successivo nella sala IMAX del Cineum, il multiplex de La Bocca che dalla scorsa edizione si è aggiunto tra le proposte del festival – del ventesimo lungometraggio del regista texano è in realtà sembrata passare quasi sotto silenzio, tanto per quel che concerne la copertura mediatica quanto per il chiacchiericcio tra gli accreditati, e l’impressione in generale è che Rodriguez non sia più un nome centrale nello scacchiere cinefilo che si interessa alla produzione statunitense. Anche il già citato Red 11 all’epoca venne quasi completamente snobbato, al punto da non ricevere neanche una distribuzione in Italia – caso unico nell’intera produzione di Rodriguez –, e il successivo We Can Be Heroes, seguito de Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3-D, è approdato direttamente su Netflix anche a causa della pandemia senza produrre particolare clamore o risvegliare attese. Il cinema di Rodriguez, che pure aveva marchiato a fuoco due decenni di exploitation a stelle e strisce (solo per portare qualche esempio si pensi a titoli quali Dal tramonto all’alba, C’era una volta in Messico, Planet Terror, Machete), sembra oramai distante dalla vulgata comune, eccezion fatta per titoli quali Alita – Angelo della battaglia, che il regista però “ereditò” da James Cameron. Va anche fatto notare come a Cannes il film sia stato tra i pochissimi non presentati in anteprima mondiale – insieme anche a Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti –, in quanto già uscito in patria il 12 maggio, senza alcun clamore. Anzi, segnalandosi come il peggior esordio in sala tanto per un film diretto da Rodriguez quanto per uno interpretato da Ben Affleck.

Hypnotic, con quella sua mise da thriller psico-mentalista anni Novanta, e la sua riflessione su ciò che è “vero” in quanto “visibile” che lo ricolloca – pur senza ragionare sulla virtualità – dalle parti di Matrix e affini, non fa che ribadire l’inattualità di Rodriguez. Una mancanza di aderenza con il discorso collettivo contemporaneo che va letta come un punto di forza, perché in qualche misura ribadisce l’unicità dell’approccio cinematografico del regista, e che ammanta ogni sua opera di un’aura démodé, la memoria di un tempo non troppo lontano ma perduto, accantonato dal mainstream hollywoodiano che si è invece mosso in altre direzioni, non necessariamente migliori. Basta la prima sequenza di Hypnotic per percepire lo scollamento dalla realtà, con il “risveglio” dall’ipnosi del detective texano Danny Rourke durante una seduta di terapia con la sua psicologa: l’obiettivo è tornare con la memoria al momento in cui Minnie, la figlioletta di sette anni, è stata rapita mentre era con lui al parco, a giocare. Da lì la vita del detective si è sbriciolata pezzo per pezzo, tra il distacco dalla moglie e l’incapacità di andare avanti come se nulla fosse, anche se la speranza di ritrovare viva la bimba non è mai scomparsa dalla sua mente. Così, quando riceve una telefonata anonima che lo avverte di una possibile rapina in una banca e nel caveau della stessa trova una foto della pargola con la scritta “Find Lev Dellrayne”, in lui scatta una molla. Il problema è che l’avversario da combattere, Dellarayne, non è un criminale comune ma un potente mentalista in grado di far credere qualunque realtà a chi gli sbarra la strada.

Lo spettatore smaliziato non impiegherà molto tempo a comprendere in quali territori Rodriguez ha intenzione di muoversi: nulla è come sembra, tutto ciò che accade può essere solo frutto dell’illusione (indotta) della mente dei personaggi. In questo racconto di verità (in)visibili non ci sarebbe molto per cui risvegliare le sinapsi, non fosse per la brillante intuizione del regista di far approdare Hypnotic a un punto in cui la riflessione non è più solo sulla verità che stanno “vedendo” i personaggi in scena, ma sulla vita come rappresentazione, e infinito set. Nel momento in cui tutto ciò che sta accadendo ed è accaduto nel film può essere ricondotto al concetto di finzione Hypnotic compie un inevitabile salto in avanti, permettendo al pubblico di sganciarsi dalla mera narrazione, che propone ben pochi spunti d’interesse, per muoversi in un campo in cui è l’immagine in movimento in quanto tale a dover essere indagata, e forse (probabilmente?) smentita. In quel passaggio le tribolazioni di Ben Affleck e Alice Braga (Diana Cruz, la mentalista di scarso potere con cui l’uomo si accompagna alla ricerca del “vero”) scompaiono, lasciando spazio al cinema, e alla sua innata capacità di mentire il vero e credere nel falso. Lì l’occhio di Rourke può davvero riaprirsi, lì la storia può principiare realmente. Lì, e solo lì. Peccato che Rodriguez, che pensava a questa storia da venti anni – altra dichiarazione di vecchiaia, in un certo senso –, non imbastisca l’intero film su questa intuizione, lasciandosi prendere la mano dalla narrazione, e dalle sue ovvietà.

Info
Hypnotic sul sito di Cannes.

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