Daaaaaali!

Daaaaaali!

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Con Daaaaaali! il vulcanico Quentin Dupieux omaggia sia il genio del grande artista catalano che quello di Luis Buñuel, in una cavalcata surrealista che testimonia una volta di più la componente ludica dell’approccio al cinema del regista parigino. A Venezia 2023 nel fuori concorso.

Il sogno di un curato di campagna

Una giovane giornalista francese incontra ripetutamente Salvador Dalí per il progetto di un film documentario le cui riprese non hanno mai inizio. [sinossi]

Tra i mille e forse più aforismi rintracciabili lasciati un po’ alla maniera di petali lungo il percorso da Salvador Dalí ce ne sono (almeno) due che possono essere utili per approcciarsi a Daaaaaali!, tredicesimo lungometraggio diretto dall’infaticabile Quentin Dupiex presentato nel fuori concorso all’ottantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La prima affermazione recita «Ogni mattina, al risveglio, provo un piacere supremo, il piacere di essere Salvador Dalí», mentre la seconda ribatte «Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla». Prendendo la prima frase come l’interpretazione che Dupieux dà del multiforme ingegno dell’artista catalano e la seconda come il criterio con cui colui che fu noto come Mr. Oizo si dedica alla settima arte si può delimitare con una accettabile approssimazione il senso di un’opera come Daaaaaali!, accolta al Lido da molte risate durante le proiezioni dedicate alla stampa. Difficile in effetti resistere ad alcune intuizioni di Dupieux, a partire dal brillantissimo incipit che già conforma lo statuto di sogno incastonato nel sogno che sarà il motivo dominante del film e che propone un’interminabile e deflagrante camminata di Dalí lungo il corridoio dell’albergo dove l’attende una giovane giornalista che vorrebbe proporgli un’intervista in esclusiva. Ma Dalí, una volta conclusa la lunghissima traversata del corridoio – con una rivisitazione encomiabile dello spazio-tempo che permette allo spettatore di entrare nel sentimento che accompagnerà l’intera proiezione – si rende conto che l’intervista sarà solo cartacea e non registrata da cineprese e dà forfait.

Inizia così, con un’attesa che resterà perenne, in un vortice volutamente incompiuto di azioni che arriverà a una fine reiterata in modo altrettanto estenuante – e divertente –, un viaggio nella mente daaaaaaliana che si tramuta però ben presto anche in buffo e sentito peana nei confronti del cinema di Luis Buñuel, che dopotutto con l’autore di Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio e Il grande masturbatore ebbe una proficua frequentazione e collaborazione (Un chien andalou e L’âge d’or) prima della rottura dell’amicizia nel 1939. Gentilmente dada, anticlericale alla maniera di un Buñuel meno caustico – l’assurdo sogno che il prete racconta a cena all’artista, e che ritorna come un infinito gioco a incastri quasi alla maniera di Poe, attraversa di fatto quasi l’intera opera – Daaaaaali! si propone di rinverdire i fasti di un mito che le giovani generazioni non hanno più saputo o forse voluto coltivare. L’ipotesi di un’arte che non fosse regolata dai dettami della norma, e che non accettasse nemmeno i più basilari ammonimenti della prassi, ma si elevasse liberissima al di sopra di tutto e tutti, con fare forse finanche sprezzante. A Dupieux, che di bizzarrie ne ha messe in fila un numero oramai non indifferente, non è ancora passata la mattana e anche se può solo imitare il genio senza speranza di sedervisi a fianco – un po’ come la povera bistrattata giornalista interpretata da Anaïs Demoustier che ogni volta vede sfumare sul più bello la possibilità di confrontarsi davvero con Dalí – facendo leva sulla già citata tavola della legge che recita quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla, dimostra di saper giocare con il cinema e l’immagine con una levità encomiabile.

Non è in fin dei conti così rilevante presagire se Daaaaaali! alla stregua di precedenti opere del cineasta transalpino possiederà la forza necessaria per scavare un solco nell’immaginario dei giovani cinefili; è sufficiente bearsi di qualche trovata ben costruita, a partire dalla semplicissima idea di affidare il ruolo del grande artista a ben cinque interpreti diversi (Gilles Lellouche, Édouard Baer, Jonathan Cohen, Didier Flamand, e Pio Marmaï), e di respirare per circa un’ora e venti l’aria di un cinema d’antan, non calligrafico ma vitale nella sua assoluta mancanza di rispetto per l’ovvio, per il predigerito, per il conforme. Un giochino non abbastanza sferzante da trasformarsi in gesto artistico? Probabilmente sì, ma almeno libero dalle pastoie di un immaginario contemporaneo sempre più ritorto su se stesso, e privo di anarchia.

Info
Daaaaaali! sul sito della Biennale.

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