The Hypnosis

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Si muove nel mondo dei creatori di app The Hypnosis, primo film del giovane regista svedese Ernst De Geer. La tipica ricetta scandinava a base di umorismo acido e destabilizzante all’inizio funziona, ma poi si fa fin troppo ripetitiva e finisce per irritare. Alla Festa del Cinema di Roma 2023.

App-normal Beauty

Vera ha deciso di smettere di fumare e ricorre all’ipnoterapia. Subito dopo, assieme al suo fidanzato André, i due si recano a un convegno rivolto agli app founder per presentare la loro app Epione, dedicata alla salute e alla protezione delle donne. Di punto in bianco Vera, prima sempre conciliante e mansueta, inizia a manifestare un comportamento dominante e imprevedibile che mette in serio imbarazzo il suo compagno. [sinossi]

The Hypnosis, come molti film scandinavi, vuole riflettere sugli scompensi generati da una società rigida e (auto)controllata. Un po’ come fa Lars von Trier in Idioti (Idioterne, 1998), il film vorrebbe indagare le ragioni di un comportamento improvvisamente eccentrico, sopra le righe, persino (auto)distruttivo, che alla fine, contro i propri stessi interessi, si rivela come un vero e proprio cavallo di Troia in uno dei templi moderni del capitalismo: il mondo delle app. Anche se di Trier il regista svedese esordiente Ernst De Geer non possiede né la portata satirica né la radicalità. Allora bisogna capire bene il suo film in che direzione si muove e perché.

Vera (Asta Kamma August) viene presentata come una giovane donna un po’ insicura, la tipica persona che tende al compromesso per evitare il conflitto, e questo sia con la madre, nei suoi confronti sempre sprezzante, che con il suo compagno, André (Herbert Nordrum), apparentemente gentile e di supporto, oltre che ad avere a cuore la questione femminile, dato che la app che i due hanno creato insieme, Epione, riguarda la sicurezza e la salute delle donne. In realtà André, come ben presto si scopre, è profondamente egoista, arrivista e bugiardo. Un giorno Vera decide di recarsi da un’ipnoterapista, col proposito di ottenere aiuto per smettere di fumare, un’abitudine che il suo compagno non gradisce molto. Dopo la seduta, qualcosa in lei si “sblocca” e la ragazza inizia a manifestare un comportamento libero di inibizioni. Smette di adattarsi all’ambiente. E questo proprio nel momento in cui la coppia si è recata nell’hotel in cui si sta tenendo un seminario di preparazione dedicato ad app founder come loro, Shake up, guidato da una specie di “guru” del marketing, borioso e scostante, di nome Julian (David Fukamachi Regnfors).

Inizialmente lo spettatore è portato naturalmente a immedesimarsi con Vera e a ridere delle sue “uscite” che tanto imbarazzo causano al suo represso fidanzato. Poi però De Geer sembra cambiare messa a fuoco e, da bravo scandinavo, s’ingegna in ogni modo per mettere in imbarazzo, oltre che André, anche Julian e tutti gli altri partecipanti al corso, nonché, di riflesso, lo stesso spettatore. La trovata del cane inesistente, portata avanti fino alle estreme conseguenze, ne è la manifestazione più radicale: effetto dell’ipnoterapia? Oppure c’è dell’altro sotto?

Questa volontà di destabilizzare, sempre e comunque, si evince sin dalla scelta della prima sequenza del film, che presenta Vera, una ragazza carina, dai capelli castani, in piedi contro uno sfondo rosso, quasi una citazione visiva di Irène Jacob in Film rosso (Trois couleurs: Film rouge, 1994, Krzysztof Kieślowski), ma al polo opposto dello spettro poetico/estetico rispetto al regista polacco. In questa introduzione, Vera parla in maniera aperta delle sue mestruazioni davanti ad André e ad alcuni investitori persone: è il suo discorso di presentazione dell’app. La sensazione di disagio rientra. Più avanti però riemerge con prepotenza e si passa perciò da un’ottica di sacrosanta riappropriazione femminile della propria identità e del proprio spazio, non più condizionati e/o manipolati dall’ambiente esterno e dalle altrui aspirazioni e aspettative, a un’ottica diversa, votata a quella che sembra una ribellione senza causa. A dire il vero, guardando con attenzione, una causa c’è: nel riappropriarsi di sé, Vera si rende conto che quella non è la sua strada, non lo è mai stata e compie perciò un atto di autosabotaggio e, contemporaneamente, lancia un guanto di sfida al suo compagno, messo in condizione di dover scegliere tra le proprie ambizioni e la loro storia d’amore. Nel frattempo, soprattutto nella prima parte, vediamo portato a segno il colpo contro la viltà di André, il suo conformismo, ma anche la sua fragilità e insicurezza, di cui l’autore, tramite le imprevedibili gesta di Vera, si fa beffe in modo anche alquanto facile e manicheo. E’ certo però che il paternalismo di André, il suo mansplaining e il suo subdolo istinto manipolatore vengono sonoramente “fischiati” con terribile reprimende, spesso dai risvolti esilaranti. A suscitare ilarità è il contrasto – sottolineato in tutti i modi possibili – fra il nuovo atteggiamento di Vera, non più timida e incline al compromesso, ma disinibita e libera, fino alla totale anarchia, persino clownesca e quel contesto sociale così rigidamente strutturato e regolamentato. Dove ci si prende enormemente sul serio.

Apprezzabilissimo l’intento del regista di mettere alla berlina certi atteggiamenti e certi ambienti, e ancor più il tempismo con cui si esplora gli ambienti delle nuove professioni e dei nuovi (e giovani) ricchi. Molto meno lo è la modalità grossolana e insistente con cui cerca di provocare e creare imbarazzo a tutti i costi, a spron battuto. Così facendo, la leva su cui fa forza perde appoggio, il meccanismo si spana e l’effetto, inizialmente divertente, diventa ripetitivo, sterile e alla fine anche irritante.

Info
The Hypnosis, il trailer.

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