Wonka

Wonka

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Film genuinamente nostalgico, elaborato nell’impianto visivo e musicale quanto (giustamente) semplice narrativamente, Wonka conferma la dimestichezza del regista Paul King col cinema per famiglie, nonché con la rielaborazione dei classici. Non tutto funziona al meglio, e il film andava probabilmente (ulteriormente) sfoltito nella durata, ma il risultato resta complessivamente piacevole.

La fabbrica prende vita

Un giovane ma squattrinato Willy Wonka arriva in città con le sue mirabolanti creazioni al cioccolato, fiducioso di poterle rivelare al mondo per realizzare finalmente il suo sogno di bambino. Ma Willy dovrà presto scontrarsi con un vero e proprio “cartello del cioccolato”, pronto a far valere il suo potere con tutti i mezzi, legali e non. [sinossi]

Come tutte le rivisitazioni di classici prodotte in tempi recenti, quella di Wonka era un’operazione che presentava diversi rischi. Da un lato c’era il peso che il film del 1971 Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, adattamento del classico per ragazzi Charlie and the Chocolate Factory di Roald Dahl, ancora riveste nella memoria collettiva: un peso dovuto in parte alla prova attoriale di Gene Wilder, in parte al suo essere uno degli ultimi esemplari di un cinema per famiglie che proprio in quel periodo (insieme alla cinematografia hollywoodiana tout court), stava rapidamente cambiando faccia. Dall’altro lato, il film di Paul King scontava indubbiamente un generale scetticismo del pubblico contemporaneo – specie di quello più stagionato – per le ormai frequenti operazioni di restyling di classici del passato, ritenuti a torto o a ragione intoccabili; operazioni che in questi anni hanno avuto nella Disney (e in tutte le realtà da questa controllate) il loro centro principale, oltre che una sorta di modello per le altre major. Mettiamoci pure la scelta di affidare il ruolo che fu di Wilder (e poi, nel discusso ma riuscito remake Charlie e la fabbrica di cioccolato diretto da Tim Burton, di Johnny Depp) a un attore come Timothée Chalamet: un interprete talentuoso quanto capace di dividere, che in questo caso – quanto e più del suo predecessore Depp – è andato a confrontarsi con un mostro sacro che aveva legato indissolubilmente le sue fattezze al personaggio.

Se vogliamo analizzare questo Wonka partendo proprio dalla prova di Chalamet – e dalla sua capacità di “vestire” più o meno bene il personaggio – possiamo dire che l’interprete di Dune, a dispetto dei timori iniziali, ne esce decisamente bene. Trattandosi di una origin story a tutti gli effetti, sia Chalamet che il regista Paul King possono seguire le rispettive traiettorie di approccio al personaggio e alla storia, evitando confronti ingombranti quanto fuori luogo: come tutti i prequel – almeno idealmente – il film di Paul King mostra un protagonista chiamato a portare con sé in nuce (ma non ancora a esplicitare) quelle caratteristiche, in primis in termini di fascino istrionico, che poi lo imprimeranno nell’immaginario collettivo. Un compito che a Chalamet riesce in modo sicuramente buono, incarnando un Willy Wonka ancora ingenuo idealista: un sognatore giunto da oltreoceano che – sullo sfondo di un coté visivo e tematico vagamente dickensiano – finisce prima intimidito dal “cartello del cioccolato” formato dai tre boss del settore (un tempo suoi idoli), poi derubato e infine ridotto a schiavo di una malvagia albergatrice (l’ottima Olivia Colman). Naturalmente, Willy riuscirà facilmente ad aver ragione dei suoi nemici – col fondamentale aiuto di nuovi alleati e vecchi avversari – a suon di invenzioni mirabolanti e (soprattutto) numeri musicali. Perché quello di King, com’era stato in parte annunciato dai trailer, è anche e soprattutto un musical.

La componente canora e danzante – che vede Chalamet, nei minuti iniziali, ammiccare persino al classico Cantando sotto la pioggia – è in effetti molto più presente nel film di Paul King rispetto a quanto non lo fosse nei suoi predecessori: una scelta che permette da un lato al mattatore-Chalamet di esprimere per la prima volta le sue doti di cantante e ballerino, dall’altro allo stesso King di ricollegarsi a un cinema hollywoodiano d’altri tempi, spesso celebrato negli ultimi anni quanto raramente davvero compreso, e riprodotto nella sua essenza. Wonka sembra in effetti guardare – anche nell’impianto scenografico, oltre che nella presenza e frequenza dei numeri canori – a un periodo ancora precedente a quello del film del 1971, in cui il genere musical andava a “invadere” spesso e volentieri altri filoni – primo tra tutti quello del cinema per famiglie – coniugando magniloquenza a semplicità e fruibilità narrativa. Qualità di cui il film di Paul King, bisogna dirlo, fa complessivamente buona mostra: l’impianto visivo e sonoro di Wonka, com’era intuibile dallo stesso trailer e dalle immagini finora trapelate in rete, è sontuoso ed elaborato, in bilico tra il coté da fiaba urbana natalizia (l’uscita festiva, non preventivata dalla produzione, resta comunque indovinata) e i pochi ma riusciti tocchi gotici, memori della rilettura del 2005 di Tim Burton. Ma il film, soprattutto, si giova di uno sguardo fresco sul materiale di partenza, dovuto in primis a un Paul King che, già col dittico dei suoi Paddington, aveva dimostrato di sapersi ben muovere, tanto narrativamente quanto visivamente, nel campo del cinema per ragazzi.

Colorato di un gusto nostalgico che per una volta non stona, memore del cinema a cui si rifà anche nella morale – quella di un immaginato “capitalismo etico” che celebra la creatività, contrapposta alla rapacità incarnata dal trust ante litteram dei tre villain – Wonka resta comunque un film non perfetto: qualcosa, nel meccanismo narrativo della sceneggiatura, sembra incepparsi nella parte centrale del film, in cui il rallentamento nel ritmo è sensibile, e i numeri musicali appaiono più come riempitivi che come parentesi narrative realmente integrate nella storia. Un limite comunque superato in una fase finale scoppiettante e ben orchestrata, che si giova anche dell’annunciata presenza di Hugh Grant nelle vesti del primo Oompa-Loompa collaboratore del protagonista: proprio il personaggio di Grant, capace di massimizzare la resa del suo tempo sullo schermo con una certa classe mista a autoironia, avrebbe probabilmente meritato uno spazio maggiore. Più in generale, il gradevole film di Paul King soffre un po’ della mancanza di sintesi (pur nelle sue due ore scarse di durata) che affligge gran parte del cinema hollywoodiano odierno: venti minuti in meno avrebbero probabilmente snellito ulteriormente la storia, limitando anche le pause di cui questa soffre. A ciò aggiungeremmo – ma questo è un limite che non si può imputare al film in sé – la discutibile scelta della distribuzione italiana di adattare e doppiare tutte le canzoni presenti: al di là di quanto si possa pensare sulla qualità dell’adattamento, l’abbondanza dei primi piani, durante i numeri canori, rende quantomai evidente la non corrispondenza del labiale con ciò che ascoltiamo. L’uso dei sottotitoli, almeno in certi filoni cinematografici (tra cui quello del cinema per famiglie) rappresenta evidentemente, ancora oggi, una sorta di tabù.

Info
Il trailer di Wonka.

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